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Aggregazione e disgregazione sociale

Fonte:
CulturaCattolica.it
L’altra faccia del calcio. – Intervista a Nando Sanvito 2

D. Quanto pesa a tuo parere la disgregazione sociale nel formarsi delle bande di ultrà?
Sanvito: Io credo che da una parte ci sia la forte attrattiva dell’aggregazione anche a livello ideale... la squadra del cuore, il tifo: c’è gente che fa veramente sacrifici per seguire la squadra del cuore, per tifare. C’è un fenomeno identificativo che è talmente più impressionante oggi perché altri fenomeni aggregativi sono in crisi o non ci sono più. La politica negli anni Settanta era un fenomeno aggregativo, alternativo spesso a quello dello sport; oggi purtroppo tranne che dentro il volontariato e le proposte educative che la Chiesa fa c’è molta solitudine, molta disgregazione, per cui c’è una forte attrattiva e identificazione nel fenomeno del tifo calcistico, anche perché quest’ultimo ha una forte esposizione mediatica, oltre che una tradizione consolidata. Io credo che tutto il nichilismo, tutta la violenza che c’è dentro la società di oggi anche lì trovi un modo di essere, si sfoghi nella delinquenza o nello stadio, che diventano proprio per questo appetibili anche per l’eversione politica; non dimentichiamo che non solo i gruppi di estrema destra utilizzano lo stadio come ambito aggregativo, ma anche l’ultimo documento che è stato trovato alle Brigate Rosse teorizzava che uno dei luoghi dove andare a reclutare erano proprio gli stadi. Sono situazioni a rischio. Se andiamo a vedere l’età dei leader rimaniamo esterrefatti; il leader della curva di Bergamo ha 52 anni, altri sono sopra la quarantina. Hanno poi anche degli strumenti: a Roma ci sono 6/7 radio che parlano solo di Roma e Lazio tutto il giorno e che durante questi scontri hanno avuto un ruolo attivo. Il goffo tentativo della Questura di Arezzo di essere vaghi nell’attribuire le responsabilità forse avrebbe potuto funzionare in altri tempi, ma oggi nel mondo del calcio non può più accadere: le notizie si diffondono a una velocità tale, grazie a internet e alle radio che parlano solo di calcio, che la versione sul poliziotto che aveva sparato era disponibile già verso le 10.30/11 quando la gente si recava allo stadio, e ha funzionato da tam tam per una chiamata a raccolta per una vendetta contro la Polizia.

D. Di riflesso fai capire che una capacità aggregativa delle forze educative sarebbe come togliere un po’ il mare ai pesci.

R. Ci vuole soprattutto un cambiamento culturale; noi veniamo da decenni in cui il calcio è stato considerato una zona franca rispetto a tutto il resto; cioè si pagano le tasse, ma nel calcio si può non farlo, è successo negli anni del boom economico del calcio, con evasione di tasse da parte di club; nel mondo normale chiunque danneggi o si renda responsabile di reati contro il patrimonio pubblico o contro le persone viene perseguito ferocemente e paga; nel mondo del calcio tutte le volte che succede qualcosa attorno agli stadi o in gruppo praticamente la fanno sempre franca. Tanto è vero che proprio lunedì 12 novembre si è sentito parlare di estendere il reato di terrorismo a questi esagitati ultrà del calcio, perché con la normale legislazione non si riesce mai a fare qualcosa di serio; se si va ad assaltare un autogrill si paga, quando si va in gruppo con una sciarpa al collo non succede niente. Nelle curve non possono entrare gli addetti alla sicurezza, gli steward. Finora il mondo del calcio è stato considerato qualcosa al di fuori della normalità, di autoreferenziale, quindi di “a parte”; noi paghiamo anche questa cultura dove il fenomeno sportivo è autoreferenziale o sta in piedi per conto suo, senza nessun senso di responsabilità verso la società civile; siamo arrivati al punto che la domenica sottraiamo tutte le risorse di polizia e le forze dell’ordine a tutte le altre emergenze, perché devono scortare qualche centinaio di tifosi che da una città si recano ad un’altra per andare a vedere una partita, con la coda alla stazione di danni, di treni e pullman danneggiati.. Il calcio è stato per decenni un particolare impazzito che andava per la sua strada, e questo non è mai stato denunciato se non negli ultimi anni. E’ vero che la comunicazione legata allo sport, quindi le TV, i giornali, i giornalisti sono stati molto compiacenti e conniventi con questo tipo di situazione, tanto è vero che quando certi scandali sono avvenuti sono stati i giornali non sportivi a denunciarli perché interveniva la magistratura; ovviamente c’è sempre una complicità tra le società di calcio, il tifo organizzato, la comunicazione e solo negli ultimi anni questa spirale ha cominciato a spezzarsi. Bisogna comunque smettere di considerare normale che quando si incontrano due tifoserie deve scoppiare una rissa (a meno che non debbano attaccare la Polizia, allora sono tutte unite), si deve smettere di pensare che sia normale che quando un giocatore è a terra in 5/6000 urlino: “Devi morire!” e nessuno si scandalizzi, o che i cori “Finché vivrò odierò la polizia” siano normali. Infatti hanno cominciato ad intervenire anche a livello culturale, certi striscioni cominciano ad essere tolti, comincia ad essere squalificata la curva. Negli altri paesi si è arrivati a vincere questa battaglia, noi abbiamo cominciato troppo tardi a combatterla, però lo stiamo facendo, non possiamo fermarci adesso, dobbiamo andare fino in fondo e secondo me possiamo farlo. E’ chiaro che è un problema di educazione: le forze politiche, la comunicazione, il mondo dello sport devono essere uniti, non remare contro ma andare tutti nella stessa direzione.

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