La sentenza di Cagliari apre la strada ai figli fatti su misura
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Non c’è pace per la legge 40, che regola la procreazione medicalmente assistita in Italia: con una sentenza sconcertante il Tribunale di Cagliari ha stabilito che una coppia di sardi può effettuare la diagnosi preimpianto di un embrione crioconservato, in violazione alla legge stessa.
In queste ore esultano tutti quelli che non hanno mai accettato la sonora sconfitta di due anni fa, quando il 75% degli aventi diritto al voto disertò il referendum sulla legge 40, rifiutando le modifiche al testo di legge, ma soprattutto ritenendo che certi argomenti non si potessero mettere ai voti.
Spesso sono gli stessi che gridano “giù le mani dalla 194”, in nome di quel consenso popolare espresso in un referendum, riconosciuto valido per la regolamentazione dell’aborto, ma non per la legge 40.
Ma veniamo ai fatti: l’uomo e la donna della vicenda sono portatori sani di talassemia, e non vogliono mettere al mondo bambini malati. I giornali riferiscono che la donna aveva già abortito due volte, quando le era stato diagnosticato che dalle gravidanze in corso sarebbero nati figli talassemici; la signora quindi si è rivolta a un centro per la fecondazione in vitro, con l’intenzione di selezionare gli embrioni sani prima dell’impianto in utero.
Ma la diagnosi preimpianto è vietata dalla legge 40, e la signora si è rifiutata di farsi impiantare l’unico embrione ottenuto, che è stato congelato. Dopo essere rivolti invano alla Corte Costituzionale, che lo scorso anno ha rigettato il ricorso della coppia, i due genitori hanno intrapreso una seconda azione legale, grazie alla quale si dovrebbe poter effettuare la diagnosi sull’unico embrione ed eventualmente accettarne l’impianto. La coppia nel frattempo si è recata in un centro a Istanbul per sottoporsi di nuovo a fecondazione in vitro, stavolta insieme alla diagnosi preimpianto – e fra un mese nascerà una bambina non affetta da talassemia. La signora si è detta pronta a una seconda gravidanza, nell’eventualità che l’embrione precedentemente congelato in Italia risultasse sano.
Il problema, però, non è solo il divieto della diagnosi reimpianto. Secondo la stessa legge questa coppia avrebbe potuto utilizzare tecniche di fecondazione in vitro solo in caso di infertilità o sterilità: nel nostro paese queste tecniche sono riservate solamente a chi non riesce a concepire per via naturale, cioè a coppie sterili e/o infertili, e non a portatori sani di malattie genetiche.
La legge 40, in altre parole, cioè serve per avere dei figli, non regola le modalità per scegliere quali figli avere.
La legge regolarmente approvata in parlamento, e confermata dalla volontà popolare, non permette in alcun modo – nell’impianto, nel testo, e nelle sue linee guida – la selezione genetica per scegliere il figlio migliore, perché nel nostro paese, fortunatamente, non sono ammesse pratiche eugenetiche.
E infatti la legge 40 è in pieno accordo con la regolamentazione dell’aborto: nella 194 non esiste la possibilità di abortire un feto disabile in quanto tale, ma solo se il suo handicap dà problemi di salute alla madre. La legge sull’aborto – non ci stancheremo mai di ripeterlo – non è eugenetica, non si pronuncia in base alla “qualità del feto”, né tantomeno pretende di accampare un qualche “diritto al figlio sano”. Se l’applicazione della legge ha derive eugenetiche, allora bisogna specificare che è questa prassi che va corretta, mediante atti amministrativi come la formulazione di linee guida, ad esempio.
La diagnosi preimpianto, invece, non ha nulla a che fare con la salute della donna, ma introduce la possibilità di scegliere il figlio in base al patrimonio genetico: tu sei sano, ti prendo, tu sei malato, ti scarto.
E chi ammette questa possibilità, fabbricare un certo numero di figli e sceglierne i migliori eliminando quelli “difettati”, dovrebbe coerentemente assumersene la responsabilità politica e morale, e proporre un testo di legge in cui, a chiare lettere, si dica che si possono eliminare i disabili. Dovrebbe dire che di disabili non ne devono nascere più, perché sono “unfit”, inadatti, come dicevano gli eugenisti americani, tedeschi e svedesi quando - in mancanza di altro, e nel migliore dei casi – li sterilizzavano in massa.
E poi dovrebbe convincere le associazioni di disabili, e i genitori dei disabili, per esempio. E dovrebbe convincere noi tutti.