Mostrarsi sacri
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È tempo di Ramadam. Lavoro in una comunità alloggio per minori, vi abitano ragazzi italiani e stranieri, molti d’origine araba, molti di loro seguono il Ramadam. Permettiamo loro di farlo a determinate condizioni, in quanto responsabili della loro salute, vanno a scuola, fanno sport. Fanno il Ramadam con allegria e accumulando molta stanchezza, lo fanno soprattutto per tradizione culturale, per tenere il legame con la famiglia lontana. Questo periodo è sempre un’occasione di confronto, cucinano il loro pane e lo mangiano insieme alla nostra pasta. Si parla di Dio a tavola, con un po’ di ingenuità ma seriamente, come i ragazzini sanno essere, nel loro assoluto modo di guardare, “Dio è lo stesso, sta in alto e quando scende sulla terra assomiglia ai popoli che incontra” ha detto K. Poi arriverà Natale, e sarà di nuovo occasione di confronto. Lo è ogni anno, e ogni anno scopro quanto i ragazzi arabi sono curiosi della dimensione spirituale e tradizionale del Natale, al di là dei pacchetti e dei dolci. E ogni anno mi interrogo sull’idiozia di molta parte della nostra società culturale che annulla ogni accenno di identità religiosa pensando così di accogliere meglio l’altro. Preciso che non sono credente, ma sono consapevole che l’Occidente è anche oggettivamente il Cristianesimo. Al personale dell’aeroporto di Londra hanno vietato di portare croci come gioielli, nei luoghi pubblici inglesi è vietato augurare buon Natale, tanto per fare qualche esempio al limite del paradossale. E ricordo con costernazione il divieto in un asilo, nel dicembre scorso, di cantare “Tu scendi dalle stelle”. Se un mondo vuole incontrare un altro, così come se un uomo vuole incontrarne un altro, deve avere un’identità. Deve avere caratteristiche, pregi e difetti, domande e un ventaglio di risposte, deve riconoscere la propria storia, accogliere in una casa abitata. Non voglio difendere “Tu scendi dalle stelle” in sé come opera culturale, ma questo eccesso di zelo è sintomo di un atteggiamento più generale, e in altri campi più pericoloso. Perché dove c’è negazione di sé c’è impossibilità di incontro. Quando è Natale, per esempio, è Natale per tutti. È fonte di curiosità, di domande, di interesse e di partecipazione. L’ambiente in cui lavoro è laico, ma c’è un insieme di tradizioni, che sono tradizioni culturali, famigliari, oltre che religiose, con cui i minori stranieri vengono a contatto, tramite la scuola, la città, gli amici che frequentano. Loro chiedono di condividere, di conoscere. Non si limitano alla festa del dono, al fare l’albero con le luci, vogliono sapere anche cos’è, perché, per chi. Guardano i film che nel periodo natalizio immancabilmente trasmettono per televisione, chiedono persino di fare il presepe perché gli ricorda il loro paese. Hanno rispetto profondo per questo insieme di riti. Anzi, guardano con diffidenza a chi non ci crede. Ragazzi stranieri lontano da casa, per loro dio è un’identità da difendere, una famiglia. Sapere che il paese e le persone che li accolgono hanno lo stesso tipo di intensità per il proprio ambiente e per la propria storia, non fa altro che fortificare il rapporto. Questo vale anche a un livello più adulto, politico. Finché il mondo islamico ci vivrà come un mondo dove tutto è concesso, dove niente è importante, saremo sempre il luogo del male e delle donne puttane. I bambini all’asilo che cantano “Tu scendi dalle stelle” non impongono una preghiera, una religione, non insultano il dio di un altro, cantano insieme, condividono un momento. Vivono il canto come un’esperienza didattica, come un gioco. Si può scegliere di non obbligare un bambino musulmano a cantarla, gli si può chiedere di cantare una canzone del suo paese, gli si può chiedere di ascoltare e dire cosa capisce, cosa ne pensa. Considerato il mondo arabo, che ha nella propria identità una forte dimensione spirituale, bisogna mostrare un mondo che rispetta l’altro perché rispetta prima di tutto sé stesso, diversamente non sarebbe credibile. Scambiare pensieri, invece di scambiarsi divieti. Scambiare canzoni invece di imporre il silenzio. Mostrarsi interessanti, mostrarsi sacri.