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Per una politica dei doveri, dopo il fallimento della stagione dei diritti

Autore:
Fonte, Tiziano
Tiziano Fonte intervista Stefano Fontana, autore del libro appena pubblicato presso le edizioni Cantagalli di Siena che propone di passare ad una politica dei doveri dopo il fallimento della stagione dei diritti.
Secondo Fontana, che è Direttore dell'Osservatorio Van Thuan sulla Dottrina sociale della Chiesa, non si tratta di negare i diritti, anzi. Si tratta di capire che senza i doveri i diritti si avvitano su se stessi, si elidono a vicenda. La babele dei diritti si trasforma, alla fine, nel solo diritto del più forte. I diritti stessi, per essere pienamente tali, devono accettare la priorità del dovere nei loro confronti.

A leggere il titolo del suo libro nascono subito due domande. La prima è: perché mai la stagione dei diritti sarebbe fallita? Siamo ancora lontani dalla realizzazione piena dei diritti dell’uomo.

«E’ vero che molte persone nel mondo non godono nemmeno dei diritti umani più elementari. Ma mi chiedo: non è perché altre persone nel mondo hanno accelerato talmente la corsa ai diritti di ultima generazione trasformando ogni loro desiderio in diritto?».

Ma la Chiesa, ormai da molto tempo, e soprattutto Giovanni Paolo II si erano fatti paladini dei diritti dell’uomo.

«Non si tratta di negare i diritti, anzi. Si tratta di capire che senza i doveri i diritti si avvitano su se stessi, si elidono a vicenda. La babele dei diritti si trasforma, alla fine, nel solo diritto del più forte. I diritti stessi, per essere pienamente tali, devono accettare la priorità del dovere nei loro confronti. E’ questo il vero modo di difendere i diritti, e la Chiesa ha sempre fatto cos컫.

Perché parlare di priorità del dovere?. Non è sufficiente ribadire la complementarietà tra diritti e doveri?

«Che ad ogni diritto corrisponda un dovere e viceversa è verissimo. Tuttavia non è sufficiente. E’ facile, infatti, inventarsi artificialmente un dovere come motivazione di un nuovo diritto. In Italia diritto all’aborto è contemplato in una legge che parte dal dovere di accogliere la vita. Il diritto all’eutanasia viene motivato con il dovere di non far soffrire. La complementarietà tra diritti e doveri è vera, ma si presta alla manipolazione ideologica. Bisogna proprio ritornare alla priorità del dovere».

E su cosa si fonderebbe questa priorità del dovere?

«Sulla priorità dell’accogliere sul produrre. Noi non produciamo noi stessi ma ci accogliamo. Non produciamo la natura ma la accogliamo, non produciamo la cultura ma la accogliamo. Certo, poi anche produciamo, ma sulla base di un originario accogliere».

Nell’accogliere è presente il dovere?

«Il dovere è un “essere a disposizione”, invece il diritto è un “avere a disposizione”. Per questo il dovere non procede da noi stessi, ma viene da altro. Ora si tratta di decidere se noi siamo padroni di noi stessi e dell’essere o se noi stessi e l’essere ci sono dati come un compito. Il pensiero moderno è del primo parere e quindi assolutizza i diritti, io sono del secondo parere e quindi parto dai doveri, ossia da una vocazione, da un compito che ci è stato assegnato».

L’io come compito mi sembra un concetto azzardato: l’io, ossia il soggetto, non è il luogo della libera creatività? In fondo noi siamo quello che vogliamo essere. Siamo gli architetti della nostra vita.

«Per la concezione moderna della coscienza è così: l’io è una coscienza pura che si plasma come vuole. Ma nella visione della filosofia cristiana, da Agostino a Wojtyla, l’io non è coscienza pura, ma è coscienza di essere, ossia è un soggetto che prende coscienza di sé come qualcosa di dato a se stesso. Io sono prima di tutto un compito anche per me stesso, sono un dovere per me stesso, non posso disporre nemmeno di me – oltre che degli altri – come voglio».

La priorità del dovere sul diritto è, in altre parole, accettazione di un appello che viene dal di fuori, ossia dalla trascendenza?

«Il diritto indica un poter fare. Quindi indica un avere a disposizione. Il dovere invece è un essere a disposizione. Quindi indica una dimensione che non mi è disponibile, di cui non posso servirmi ma che debbo servire. Rimandando all’indisponibile, il dovere rimanda al trascendente. Come diceva Dostoevskij, senza Dio tutto è permesso; ossia esistono solo diritti e non doveri».

Nel titolo appare la parola politica. Cosa ha a che fare la politica con i doveri?

«La nostra società sta morendo di diritti. Il diritto a produrre l’uomo in laboratorio e, in genere, il diritto a fare sta assolutizzando la tecnica, e di sola tecnica si muore. Non saranno mai i diritti a porsi dei limiti. Il diritto è un poter fare; ci saranno sempre nuove cose da fare e quindi nuovi diritti, senza limite. Il limite viene dal dovere. Una politica dei doveri è una politica del senso e del limite».

Da dove cominciare per una politica dei doveri?

«Una politica dei doveri riguarda ogni ambito sociale. Se dovessi indicare un punto di partenza, però, lo indicherei nel tema della vita. Essa è il primo dovere che ci viene dato, il primo compito che ci viene posto nelle mani. Quando si nega la vita, tutti i successivi doveri vengono indeboliti e finiscono con prevalere i soli diritti».

Può indicarci altri ambiti nei quali una politica dei doveri è urgente?

«.Penso al fatto che abbiamo molte dichiarazioni universali dei diritti ma nessuna dei doveri. Penso al fatto che nessuna identità comunitaria può nascere senza i doveri e quindi è molto difficile il dialogo tra le culture. Penso alla crisi della cittadinanza se non diventa una cittadinanza etica, ossia che si fonda sulla condivisione di doveri. Penso ai tanti soggetti della società civile che sarebbero pronti ad assumersi responsabilità nuove, ossia doveri».

PER UNA POLITICA DEI DOVERI
DOPO IL FALLIMENTO DELLA STAGIONE DEI DIRITTI

Cantagalli, Siena 2006, pp. 112, Euro 8,50

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