Condividi:

La Divina Commedia: sogno o esperienza di vita?

Fonte:
CulturaCattolica.it
Il prof. Franco Nembrini, in uno dei suoi tanti incontri che vogliono far conoscere ed apprezzare Dante, occasione per ognuno di noi di riflettere sulla propria vita, sul proprio cammino a ha tenuto presso il salone di un oratorio di periferia una conferenza sul XXXIII Canto del Paradiso della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Dante alle nove di sera, Dante in un giorno infrasettimanale, Dante a studenti che l’hanno sempre poco amato, a gente stanca dopo una giornata di lavoro? Ebbene si, e dopo aver sentito parlare di Dante e del suo cammino di uomo in quel modo, nessuno sincero con se stesso è potuto uscire da quel salone senza portare con sé qualcosa di prezioso.
Ecco cosa ha scritto dopo quell’incontro Cristina Ruggeri:

“Miserere di me”: qualcuno abbia pietà di me, sono cieco non ce la faccio a dare un senso alla mia vita…
Queste parole del prof. Nembrini sono proferite con tale drammaticità da farti intendere subito che sta parlando di Dante, ma anche di se stesso. E ti risuonano dentro con tale dolorosa profondità da farti intuire che sta parlando anche di te. Il grido di Dante, smarrito nella selva oscura è il grido di ogni uomo che lucidamente e lealmente consideri la sua vita, per quanto brillante ed in apparenza piena, ma inevitabilmente sprofondata nel non senso. Il poeta ha conosciuto nella sua vita un amore grande, quello per Beatrice, che ha riempito il suo cuore di un desiderio di bellezza, di bene, di gioia infinita e lo ha percepito come segno e promessa di un Infinito Eterno Assoluto che non cessa mai di attrarci a sé; senza questo Amore, senza questa Luce, dice Dante, io sono perso, le cose non hanno alcun senso, non posso conoscere e amare nulla. Posso sentire da me stesso che questa Luce esiste, ma non posso raggiungerla, non posso conquistarla da solo. La bestia che è in ognuno di noi, rappresentata da Dante con le tre fiere (la lupa, la lonza e il leone) ci sbarra il cammino, ci atterrisce e ci risospinge nel buio: è il groviglio delle nostre passioni, che ci legano al mondo, ma ci impediscono di conoscerlo veramente. Ma ecco nell’ombra ci viene offerta una presenza amica (per Dante è Virgilio) che ci dice: stai sbagliando tutto, da solo non puoi farcela. La strada è lunga e dolorosa, ma se vuoi camminare con me posso aiutarti.
Dovrai conoscere il tuo male fino in fondo e con esso tutto il male del mondo, sentirne tutta la contrizione e il pentimento, purificarti ed accedere così alla fine a quella beatitudine che sola può condurti alla luce della Verità.
Sarà una discesa in quel microcosmo che è il cuore dell’uomo, ma sarà anche l’ascesa attraverso il macrocosmo, cioè l’universo, per arrivare a Dio; perché il Padre Nostro che sta nell’alto dei cieli, non sta su una nuvola, ma nel profondo del nostro cuore. Davanti a una tale proposta, a chi non tremerebbero le gambe? Dante impietoso ci butta sotto gli occhi tutta la nostra meschinità e vigliaccheria, facendo accampare al suo pellegrino (cioè sé stesso) tutta una serie di scuse: ma io non posso, non ce la faccio e soprattutto non ne sono degno. Ecco il grande inganno del maligno, la falsa umiltà che ci fa sentire inadeguati alla nostre responsabilità. Certo, con le nostre forze non andremmo molto lontano, ma il cammino della nostra salvezza è voluto là dove “si puote ciò che si vuole” e dove siamo amati come figli. Virgilio spiega a Dante che la misericordia divina ha visto il suo smarrimento prima ancora che lui stesso se ne rendesse conto, e ha fatto intervenire santi, beati ed anime del Limbo per venire in suo soccorso. Che dolcezza pensare che questo avviene per ognuno di noi, che questa attenzione e questo amore sono offerti a tutti: ogni sorriso amico, ogni aiuto insperato, ogni consolazione non sono frutto del caso, ma un miracolo della divina misericordia. Se è vero che siamo ciechi, eppure percepiamo che la Luce esiste, c’è una sola spiegazione: che la Luce stessa ci ha già sfiorato con il Suo calore venendoci incontro e, nonostante non possiamo vederla, si rende percepibile e desiderabile, precedendo e prevenendo il nostro desiderio.
Ed è per questo che Dante dopo il suo lungo pellegrinare scioglie il più bel canto che sia mai stato dinnanzi alla Vergine Maria, misericordia di Dio, Colei che ci offerto Cristo, Luce del mondo, e che costantemente vigila sul nostro cammino.

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì,che ‘l suo fattore,
non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore,
per lo cui caldo ne l’etterna pace
così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra ‘mortali,
se’ di speranza fontana vivace.

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre
sua disianza vuol volar sanz’ali.

La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.

In te misericordia, in te pietate,
in te magnificenza, in te s’aduna
quantunque in creatura è di bontate... »

Vai a "Ultime news"