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Carissimi amici di CulturaCattolica.it,
Ho deciso di raccontarvi questa vicenda con il solo scopo di fornire un altro tassello nella sempre più complicata e contraddittoria comprensione della realtà. Come ben sapete, sono un non credente che s’interroga in continuazione sul mondo e sulla vita. Un non credente che non ha mai fatto dell’ateismo un modus vivendi, come spesso accade per i tanti che così si professano. Come ho già spiegato in altre occasioni, “dannato” è l’autodefinizione che mi sono attribuito. Dannato ma sempre “teso” nei confronti dell’uomo, della domanda, del perché. Dannato ma convinto che prescindendo dal Cristianesimo è impossibile inoltrarsi nell’intendimento del concreto vivere quotidiano. Così siamo diventati amici, così si è istaurata quella fiducia che è capace di far parlare tra loro, uomini e donne, differenti per cultura e storia personale. In questi ultimi mesi, ho cercato di sviluppare questa figura del “dannato” non solo come espediente letterario, ma come vera e propria ricerca in divenire. Nel mesi di dicembre, mi è stata offerta la possibilità di lavorare come autore presso RadioDue (esperienza già vissuta nel 2004) per uno speciale sul Natale. “Camminare domandando” era il concetto di fondo che volevo portare in onda. Ho preso a prestito alcuni versi del grande poeta greco Kavafis nella sua celebre Itaca.
“Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga fertile in avventure e in esperienze. […] Sempre devi avere in mente Itaca – raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piedi sull’isola, tu ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca”.
Quello che conta è il viaggio e non l’approdo anche se un viaggio non si può fare senza meta. Ma è durante il percorso che il bagaglio si arricchisce, è durante il cammino che l’incontro diventa esperienza di vita. Senza andare ad Itaca, la mia intenzione era quella di esaltare il viaggio di ogni uomo al cospetto della ricorrenza della nascita di Cristo, raccontandone il cammino.
La figura del dannato doveva servire a scardinare il novello concetto di Natale, desacralizzato, banalizzato e commercializzato, dalla nostra società moderna. Gli applausi per l’idea, confesso che non sono mancati da funzionari e addetti alla produzione. Cavallari però, non era certo un nome che si poteva spendere per ottenere i “via libera” necessari per contributi economici e gli studi di registrazione. L’intero progetto quindi è confluito all’interno di un programma già esistente sulla rete radiofonica, trasformatosi per l’occasione in uno speciale per Natale. Per correttezza ed eleganza non citerò i due conduttori ai quali sono stato affiancato. Per la cronaca comunque si tratta di attori cabarettisti molto famosi nel mondo della televisione e dello spettacolo. Ovviamente lo speciale ha preso una piega completamente differente dall’impostazione che mi ero prefissato, sino al punto che il “Dannato” per paradosso, è diventato l’unico che si è domandato e domandava come si potesse parlare di Natale oscurando accuratamente ogni riferimento al Cristianesimo. Con insistenza ho cercato di tenere la barra sul tema. Che cos’è la fede, ho chiesto interrogativo. Tra varie amenità che non intendo neppure ripetere ho tentato di farmi largo, inserendomi:
“Il primo atto di fede è la fiducia nella persona che parla. Se io osservo questo presepe, il presepe che stai tentando di rimettere in senso reiterpretando chi lo popola, devo dare un significato a quanto vedo accadere. Questo significato non è altro che un’interpretazione e se volete seguire il mio ragionamento, se volete seguire la mia interpretazione fino a condividerla, dovete fidarvi di me. Nel rapporto madre-figlio, quando la madre si allontana, il figlio viene tranquillizzato con la parola “ritorno”. Con essa si promette che l’angoscia per l’assenza verrà risolta. Con essa si colma un’assenza con la determinazione di una presenza. Questo processo è fede.”
Capirete che sono stato immediatamente redarguito, mi è stato detto che non si poteva insistere troppo su concetti cattolici. E’ valso poco spiegare che la mia era quasi una spiegazione scientifica. Ho cercato allora di ribaltare il tutto e parlando di libertà, ho cercato di spiazzarli:
“La libertà è il potere che appartiene all’uomo di fare tutto ciò che non nuoce ai diritti degli altri. Rimettere in discussione questo assunto, potrà sembrare a taluni una follia. Eppure, se si intende prestare attenzione ai concetti linguistici espressi e non solo alle spinte emozionali, qualche domanda bisognerebbe porsela. E’ corretto relazionare la libertà esclusivamente in riferimento ai diritti? In base a questo concetto, il confine entro il quale ciascuno può muoversi senza ledere l’altro è stabilito per mezzo della legge, come il limite tra due terreni è stabilito per mezzo di una recinzione. Il diritto della persona alla libertà non si basa quindi su un legame dell’uomo con l’uomo, ma piuttosto sull’isolamento dell’uomo dall’uomo. E’ il diritto dell’individuo limitato a sé che trova nella legge la garanzia di tale isolamento. Nel mondo globalizzato delle merci, delle multinazionali, dei sindacati e del progressismo sembra che la parola “diritti” sia sufficiente per sedare le incertezze degli uomini e l’indeterminatezza del futuro. I “diritti” vengono utilizzati come una panacea che presto si svela però come il più ingannevole dei placebo. Il mistero dell’uomo richiede molto di più di una norma giuridica o di un codice di legge.”
A questo punto, immaginerete senza che io dica altre parole, quale è stata la loro reazione. E anche in questo caso non è valso a nulla spiegare che non stavo citando i Vangeli, bensì Karl Marx ne “La questione ebraica”. Il Natale, il presepe, la trascendenza, il mistero, nulla di tutto questo poteva essere menzionato. Nulla poteva disturbare la beota inettitudine della festa per la festa. Sono riuscito a mantenere del mio progetto iniziale ben poco, qualche sprazzo di un “dannato” in sordina che in mezzo a tanto nulla è risuonato come un eco stridulo. Mi sono tolto alla fine una soddisfazione, tanto piccola quanto significativa. Ho letto un passo di J. Ratzinger sul ruolo dell’uomo e della donna all’interno del mondo e della Chiesa, senza citarne l’autore. Ho ricevuto sguardi di approvazione, parole di condivisione e un pregevole ragionamento su quanto avevo appena esposto. Quando ho svelato l’autore però, i due attori e la funzionaria presente, dopo aver deglutito faticosamente, hanno dovuto contestare aspramente (e non sto scherzando) quanto loro stessi avevano appena affermato. Capirete anche voi che per bocciare le parole di Ratzinger a quel punto non potevano far altro che smentire se stessi. E così hanno fatto.
Cari amici di CulturaCattolica.it non ho chiesto ai tre se erano credenti, non ne ho avuto sinceramente il coraggio. Temevo sia che si proclamassero “non credenti” come il sottoscritto sia che si definissero “credenti” come siete voi tutti. Comprenderete che in entrambi i casi era difficile da sopportare.
Un abbraccio dal vostro Amico “dannato”.