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Miracolo a Milano

Autore:
Bargigia, Vilma

Nella Milano tumultuosa, sempre di corsa, che tende all'efficienza, che accadano fatti come la vicenda di Marco si può davvero chiamare 'miracolo'.
La sua vita, sin dall'inizio tumultuosa, prende una svolta decisiva quando incontra un amico che gli dice 'vieni con me a questa vacanza', lo accoglie per quel che è, gli vuol bene. Marco cambia, incontra Gesù attraverso quell'amico e tanti altri dopo di lui, e la sua vita diventa gustosa e piena fino alla vocazione che prende corpo con la Fraternità San Giuseppe.
È un semplice Marco, un puro di cuore lo definisce qualcuno, uno che ha sbagliato tanto e proprio per questo sente vibrare fino in fondo le corde della bellezza di questa nuova vita ricominciata dopo quel fatidico incontro. Mi diceva spesso che l'errore commesso gli faceva gustare la bellezza della nostra compagnia, ed io capivo che era sincero perché aveva pagato per questo, e capivo quanto io – che non avevo vissuto la sua storia - non potevo permettermi di dare nulla per scontato nella mia: anche a me il Signore ha dato tanto.

Marco, da un giorno con l'altro passa da una vita normale ad uno stato di coma, prima, e poi di paralisi con inibizione del linguaggio. Da due mesi è in ospedale, si è ripreso dal coma ma, pur avendo avuto un recupero, ci vien detto di non illuderci: avrà sempre bisogno di tutti al 100%, è come se il suo corpo fosse oggi totalmente quello di un bambino, che però capisce.

Marco è solo, non ha parenti che lo accudiscano, ci siamo solo noi, gli amici:
ed io ho assistito fin dal primo giorno a quello che oso chiamare – parafrasando una frase di don Giussani – il muoversi intorno a lui di un popolo che è spettacolo a sé stesso. Perché è uno spettacolo vedere tutti i giorni intorno a lui della gente che lo va a trovare, gli parla (anche quando era in coma), gli legge qualche brano, recita il Rosario o gli fa ascoltare la "sua" musica classica preferita. Gente diversa, di età diverse, che in qualche modo ha fatto parte della sua vita: gli amici della sua Fraternità San Giuseppe, fedeli e attenti al suo destino anche in questo frangente, la sua fraternità precedente, i colleghi di lavoro, ecc.
È uno spettacolo vedere Rita e Roberto, che ogni settimana lasciano a casa i figli, attraversano tutta la città per essere lì con lui, non li ha fermati nemmeno la neve di oggi. E quell'amico che da Siena non può facilmente raggiungerlo ma lascia alcuni soldi per le sue necessità. E l'amica reflessologa che, venendolo a trovare anche quando è stanchissima, lo aiuta con i suoi massaggi. E Matteo che riprende a dire il Rosario, ringraziandolo perché è per lui che questo accade. E l'infermiera che, incuriosita dall'avvicendarsi di tante persone, legge i messaggi degli amici a Marco e prende il Rosario e lo recita con lui. E … la fedeltà di tanti che sembrano, con la loro presenza, dire grazie a Marco perchè in questo momento è segno del Mistero ancor più di prima.
Quando è sveglio e cosciente Marco spalanca gli occhi nel guardare quei volti che gli sono vicini, quasi ad abbracciarli con lo sguardo, quasi volessero dire "grazie" perché lo fanno sentire amato.
Già dai primi giorni quando ancora era in rianimazione, è comparsa su un tavolino una immaginetta del don Gius, messa lì da amici che lo avevano affidato a lui. Mi ha colpito quel gesto, così carico di tenerezza, e quasi per proteggerla dall'essere sommersa di carte o oggetti d'ospedale, ho pensato di inserirla in un quaderno dove ho anche riportato una frase consegnatami da Giovanna, impossibilitata a venirlo a trovare. Da quel giorno, spontaneamente, molti che lo sono venuti a trovare hanno scritto un loro pensiero dedicato a Marco, uno "spettacolo" di testimonianze di sguardi e di giudizio che solo la fede sa suscitare. Quel quaderno è diventato un diario che ogni tanto leggiamo a Marco, certi che lui ne sia contento ed abbracciato da quel di più di umano e di fede che si è risvegliato anche attraverso il suo limite.
Poco tempo fa Marco mi aveva confidato di non avere sufficiente stima in sé stesso; lo avevo ripreso dicendogli che non aveva diritto di pensare questo, perché il Signore lo aveva scelto ed amato, questo bastava per avere stima di sé. Oggi, pur nel dramma, è evidente a tutti noi e spero anche a lui, che attraverso la sua immobilità Dio si comunica, giunge a noi e ci richiama al senso più profondo e vero della vita, dà speranza al nostro agire, anche se il risultato non è o non sarà quello che immaginiamo noi.
Ecco, il miracolo è questo: che si possa riconoscerLo presente dentro una forma a noi inimmaginabile, dove la Sua signoria trionfa, e dove il guadagno umano è quella pace e quella letizia che nulla al mondo sa dare.

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