Mutilazioni sessuali in ritirata
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Incredibile ma vero. Là dove hanno fallito campagne internazionali di Amnesty e soci, programmi delle Nazioni Unite, sanzioni dei codici penali nazionali, è riuscita una suorina messicana, piccola e morenita come la Vergine di Guadalupe. L’unico posto dell’Africa dove le mutilazioni sessuali femminili sono in lenta ma costante ritirata è un villaggio nella Rift Valley (Kenya) di nome Mulot, dove suor Maria de Los Angeles Vasquez, affiliata all’ordine delle Sorelle missionarie del Catechismo, svolge il suo apostolato da diciassette anni. In questo lembo di territorio abitato dall’etnia kipsighi sono 300, dal 1° gennaio 1995 ad oggi, le ragazze sfuggite all’atavico supplizio della recisione del clitoride, dazio che ogni donna deve pagare per vedersi riconosciuta la piena appartenenza alla tribù, il rispetto sociale, l’accesso al matrimonio e la solidarietà collettiva verso i figli che metterà al mondo. Tutte cose che oggi le ragazze di Mulot possono far proprie senza passare sotto la lama della sacerdotessa: un vero miracolo.
Vittime dei matrimoni combinati
Nel mondo le donne che hanno subìto mutilazioni genitali sotto varie forme, fino alla modalità più truculenta che è quella dell’infibulazione, sono più di 100 milioni, e ogni anno il loro numero aumenta di due milioni di unità. Vivono in Africa e in Asia ma anche in Europa. Appartengono soprattutto a popoli di tradizione religiosa islamica, ma anche cristiana o pagana. Quello a cui sono state sottoposte è un antico rito di iniziazione che riflette e consacra la loro subalternità sociale, nel mentre che riconosce loro ‘diritti’ propri agli adulti. Generazioni di missionari si sono rotti la testa nel tentativo di convincere le tribù che lo praticavano a rinunciarvi, una volta convertite al cristianesimo; la stessa esperienza di frustrazione stanno vivendo oggi gli attivisti laici dei diritti umani. Invece la pazienza meticcia di suor Maria ha fatto sì che un numero ormai significativo di ragazze si emancipassero dal rito senza dover rompere i rapporti con la propria comunità o famiglia, ma anzi stimolando un cambiamento generale delle mentalità e dei costumi. Come ha potuto? «Anziché di abolire la tradizione, ho proposto loro di sostituirla col rito della Cresima cristiana», spiega suor Maria con la sua voce modesta. Sembrerebbe l’uovo di Colombo, e invece è stato un processo lento e faticoso: sono passati sette anni fra la scoperta da parte della missionaria messicana del tumdo, il rito di circoncisione femminile dei kipsighi, e la prima ‘infornata’ di ragazze che hanno scelto la Cresima in alternativa al rito tradizionale di iniziazione. Sette anni di incontri e di ascolto, di visite e di dialogo per capire tutti i fattori in gioco. «Ho scoperto - dice suor Maria - che sia le ragazze che le loro madri detestavano il rito, ma non sapevano come venirne fuori. Ho scoperto che le ragazze non ancora circoncise erano totalmente all’oscuro di quello che le aspettava nel corso del rito, perché è un segreto che gli adulti non devono mai far conoscere alle ‘bambine’. L’opposizione delle ragazze al tumdo era motivata soprattutto dal fatto che immediatamente dopo venivano date in spose a uomini di età avanzata che quasi mai conoscevano, spesso come seconde o terze mogli. Loro volevano continuare a studiare, poi sposarsi con ragazzi della loro età oppure farsi suore come me. Alcune ragazze mi dicevano anche: ‘Sappiamo che è un rito pagano, ma noi siamo cristiane e non vogliamo abbandonare la Chiesa’. Vedevano infatti che le ragazze reduci dalla circoncisione non venivano più in chiesa, oppure andavano a sedere nelle ultime panche, e comunque non familiarizzavano più con loro. Le madri, invece, sapevano bene cosa succedeva alle loro bambine nel corso del rito, e la cosa le faceva soffrire. Ma nessuno dei due gruppi pensava di poter rinunciare al tumdo. ‘Se non lo facciamo, le nostre compagne più grandi ci emarginano e la tribù ci tratta come estranee’, mi dicevano le ragazze. ‘Se non le mandiamo, non possiamo sposarle e il fardello per la nostra famiglia diventa insopportabile’, mi dicevano le madri». Bisogna infatti sapere che all’atto del matrimonio la famiglia della sposa riceve da quella dello sposo un’ingente dote, spesso costituita da capi di bestiame, che è sempre una preziosa boccata d’ossigeno per far quadrare il magro bilancio familiare.
Le umiliazioni della circoncisione
Messa a fuoco la situazione, suor Maria ha formulato la sua proposta: «‘Nella Chiesa si diventa adulti attraverso la Cresima’, ho spiegato loro. ‘Vi propongo di sostituire il tumdo con la Cresima cristiana’. Hanno aderito con entusiasmo, figlie e madri». Col convinto sostegno del suo vescovo, la missionaria messicana ha enfatizzato i caratteri di rito di iniziazione della Cresima. «Nel tumdo, dopo la circoncisione le ragazze stanno in clausura per un mese in una capanna da loro stesse costruita nella savana. Qui vengono iniziate ai ‘segreti’ della tribù, ma sono anche sottoposte a umiliazioni aggiuntive: sono costrette a compiere atti impuri, se ne stanno imbrattate di fango senza potersi lavare e viene loro insegnata la sottomissione assoluta ai mariti, qualunque cosa questi facciano. Sono continuamente minacciate di castighi da parte degli spiriti se non fanno quello che viene loro detto o se svelano i segreti. Allora anche noi abbiamo istituito una clausura per le ragazze che si preparano alla Cresima: un ritiro di due settimane presso il nostro centro pastorale. Anche noi le educhiamo ad avere cura della famiglia e del marito se si sposeranno, ma in modo cristiano, facendole parlare con sacerdoti, educatori, sposi cristiani. Raccontiamo loro tutto quello che avviene durante il rito del tumdo, incluse le conoscenze che devono restare segrete, parliamo del corpo per valorizzarlo, facendo notare le umiliazioni fisiche legate alla circoncisione. Alla fine le ragazze promettono solennemente di accedere alla Cresima e di rinunciare al tumdo, anche se questo dovesse comportare un rigetto da parte della famiglia o della tribù. Abbiamo studiato attentamente queste cose, affinché la Cresima potesse sostituire davvero il rito di iniziazione tradizionale: le ragazze sono messe a parte dei segreti della tribù perché possano ritrovarsi su un piano di parità con le altre che vanno a farsi circoncidere; facciamo loro promettere solennemente di restare fedeli alla Chiesa anche se questo dovesse costare loro sacrificio perché si sentano messe alla prova come le ragazze della circoncisione».
Ma la cosa più incredibile di tutte, per chi conosce un po’ l’Africa, è che gli anziani della tribù abbiano accettato la novità e che le ragazze continuino a trovare mariti che le sposano benché non circoncise. «Con la loro decisione le ragazze hanno acquistato autorevolezza dentro alla comunità cristiana, e questo ha molto impressionato gli anziani e gli altri adulti. Certo, alcuni di loro protestano, dicono: ‘Queste donne non sono sottomesse come le altre, meglio non sposarle’, ma noi tutti gli anni vediamo sposare 5-6 di queste ragazze. Perché abbiamo spiegato ai ragazzi che sono come le altre, anzi sono più brave ad accudire la famiglia e sono più mature».
Provvidenziali borse di studio
A facilitare le cose è arrivato il provvidenziale aiuto di una Ong italiana, Avsi, che si è impegnata a pagare borse di studio alle giovani della parrocchia che vogliono proseguire gli studi a livello superiore e universitario. «Dopo la Cresima non c’è subito il matrimonio combinato come succede alle ragazze circoncise, le nostre tornano a casa. Questo è un problema, perché le famiglie devono rinunciare al guadagno costituito dalla dote e accollarsi l’onere di una figlia che vuole studiare. Grazie alle borse di studio di Avsi questa difficoltà è in via di superamento: sapendo che gli studi delle loro figlie saranno pagati, le famiglie hanno un motivo in meno per opporsi alla loro scelta di non essere circoncise». È bello sapere che anche noi italiani stiamo contribuendo alla riuscita di questa santa storia.