Giampaolo Pansa: Si può imparare dall’esperienza?
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A Giampaolo Pansa non hanno ancora perdonato di aver scritto il libro “Il sangue dei vinti”: è visto come un “traditore”, uno di quelli di cui non ci si può fidare, analizza e riflette sul passato e non ha paura di riconoscere errori o smascherare falsi eroi, lo vedono un po’, come certi mussulmani vedono Magdi Allam, un traditore.
Sull’espressonline compare un suo articolo “Signor kamikaze si accomodi pure”. Pansa fa dei paragoni tra l’attuale situazione e gli anni di piombo, a suo avviso si potrebbe imparare dal passato, dalla storia:
Siamo in guerra ma l’Italia dei partiti si balocca su tutto e dimentica la lezione degli anni di piombo.
Si può imparare dall’esperienza? Certamente sì. Per questo, di fronte alle stragi del terrorismo islamico, è utile ricordare qualche verità su un altro terrorismo che abbiamo conosciuto: quello italiano, nero e soprattutto rosso. Per prima cosa, allo scopo di non illuderci sul futuro che ci attende, bisogna rammentare che la nostra guerra interna durò quasi 19 anni. Dal dicembre 1969, piazza Fontana, all’aprile 1988, data dell’ultimo delitto delle Br storiche, l’assassinio del senatore democristiano Roberto Ruffilli.
In quell’epoca, più di una volta lo Stato vacillò davanti all’aggressività delle bande. Poi la guerra venne vinta grazie a tre armi, tutte definite ‘speciali’, una parola che anche oggi non piace a molti. Innanzitutto, le leggi speciali, a cominciare da quella che garantiva l’immunità ai pentiti. Poi i corpi speciali, come la Brigata anti-terrorismo comandata dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. E infine le carceri speciali, ossia di massima sicurezza, per impedire le fughe facili dei terroristi catturati. Per dirne una, quella di Renato Curcio dalla prigione di Casale Monferrato, un vero formaggio con i buchi, ve lo garantisco io che la conosco.
Non fu semplice, negli anni Settanta e Ottanta, impostare nel modo giusto la difesa della Repubblica contro l’eversione armata. Partiti e partitini di sinistra, Pci per primo, strillavano contro qualsiasi decisione governativa avesse il timbro della chiara durezza. Sul generale Dalla Chiesa si scrisse di tutto: un fascista, un piduista, un golpista, un macellaio. Ogni morte di brigatista era quasi un lutto in famiglia. Ci volle l’assassinio di Guido Rossa, nel 1979, per convincere le Botteghe Oscure e i sindacati a scendere davvero in battaglia contro i terroristi rossi, per troppo tempo ritenuti soltanto compagni che sbagliavano.
Si può condividere o non condividere l’analisi, ma dalla lettura dei commenti al suo articolo sembra che più che non condividere, sia vietato “parlare” di quel periodo storico, anche dopo tanto tempo, rimane un tabù, una porta chiusa da non aprire.
L’odio per gli americani, il disprezzo per il suolo su cui viviamo, fa in modo che ogni volta che qualcuno azzarda un’ipotesi da più parti non si alzino proposte differenti, bensì insulti e richiami alle Crociate, al medioevo ad un passato di cui secondo molti dovremmo avere orrore.
Vale la pena allora che del passato e della storia si riprenda a parlare, perché se ora ce ne stiamo qui a disquisire sul passato e sulle Crociate forse è anche merito di chi a Lepanto s’è battuto.
Calma, ora non scrivetemi che sono un crociato infedele, non ce la faccio a rispondere a tutti, sto solo dicendo che la storia non va solo usata a nostro piacere e che è auspicabile un Guido Rossa mussulmano.