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Liberi di, liberi da

Autore:
Cavallari, Fabio
Fonte:
Tempi num. 26 del 21/06/2005

Il dibattito sulla legge 40 ha usato e abusato della parola "libertà". Svilita nel suo significato più autentico è stata utilizzata in tutte le salse. Libertà della donna, libertà della scienza, libertà di guarire. Eppure, che cos'è la libertà?
Una delle definizioni più in voga, soprattutto nel mondo progressista, è la classica litania che si richiama alla Costituzione più radicale della storia, quella francese del 1793. La libertà è il potere che appartiene all'uomo di fare tutto ciò che non nuoce ai diritti degli altri. È corretto relazionare la libertà esclusivamente in riferimento ai diritti? In base a questo concetto, il confine entro il quale ciascuno può muoversi senza ledere l'altro è stabilito per mezzo della legge, come il limite tra due terreni è stabilito per mezzo di una recinzione. Si parla dunque della libertà dell'individuo in quanto monade isolata e ripiegata su se stessa. Il diritto della persona alla libertà non si basa quindi su un legame dell'uomo con l'uomo, ma piuttosto sull'isolamento dell'uomo dall'uomo. è il diritto dell'individuo limitato a sé che trova nella legge la garanzia di tale isolamento. La società, la stessa vita del genere, diviene pertanto solamente una cornice esterna agli individui e non la comunità che li aiuta a crescere e ad autodeterminarsi. Nel mondo globalizzato delle merci, delle multinazionali, dei sindacati e del progressismo sembra che la parola "diritti" sia sufficiente per sedare le incertezze degli uomini e l'indeterminatezza del futuro. I "diritti" sono utilizzati come una panacea che presto diventa il più ingannevole dei placebo. Il mistero dell'uomo richiede molto di più di una norma giuridica o di un codice di legge.
Perché il progressismo si è ridotto a questo? Apriamo un dibattito. L'uomo ne ha bisogno, molto più dei diritti.

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