Attualità: Senza i media si perde il treno della storia
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Tra gli ultimi documenti, pubblicati da Giovanni Paolo II, due riguardavano le Comunicazioni sociali. Anzi, la Lettera apostolica il "Rapido sviluppo" sul ruolo dei media e sul loro utilizzo da parte dei cattolici, risulta l'ultimo messaggio ufficiale prima della morte.
Questa domenica, la giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, ci porta ancora un suo richiamo: "I media al servizio della comprensione tra i popoli".
Nell'epoca della globalizzazione potrebbe risultare perfino retorico sottolinearlo. Sappiamo benissimo quanto oggi l'informazione condizioni lo scenario mondiale. Dai mercati alla politica, dalla cultura alla mobilità tutto sembra filtrato e rilanciato, nel bene e nel male, da chi ha le leve del potere mediatico.
Per stare alla cronaca, basterebbe ricordare l'uso di internet fatto da Bin Laden per le sue strategie terroristiche. O quantificare il peso di una campagna informativa nel far crescere il consenso o il dissenso su alcune scelte politiche. Di più. Nei grandi scenari internazionali, spesso le idee, politiche o sociali, nascono più da emozioni mutuate dai media che non da una effettiva conoscenza di fatti e persone. E così ci si trova a tifare Bush piuttosto che Kerry, o viceversa, in base all'orchestrazione che giornali e televisione fanno della loro immagine. Dove, per immagine, s'intende il loro peso politico, ma anche l'aspetto esteriore, la curiosità sulle loro vicende personali e tutto quanto contribuisce ad alimentare la voglia di pettegolezzo che la società cova dentro.
È successo qualcosa di analogo anche con l'elezione di Benedetto XVI. Chi ha seguito il totopapa nei giorni del Conclave sa quanta tifoseria si fosse schierata sugli spalti per un candidato piuttosto che un altro. Eppure chi poteva effettivamente vantare una conoscenza tale da giustificare un discernimento critico razionalmente attendibile?
Il resto s'è visto e sentito dopo la fumata bianca. La sorpresa entusiasta di molti media si è accompagnata alla ferocia volgare di altri. Uno starnazzamento di pre-giudizi in malafede, senza il supporto di qualsiasi fatto giustificativo.
E allora aveva ragione Giovanni Paolo II a ricordare che i media condizionano i rapporti tra i popoli, tra le religioni, tra i governanti, imprimendo alla storia orizzonti di dialogo oppure di incomunicabilità. Ero a Gerusalemme quando l'emittente araba Al Jazeera si scagliava contro il nuovo Papa, reo di ignorare – a loro dire – il mondo musulmano.
Parlando dei media, quasi sempre il tono si trasforma in moralismo di maniera per colpire gli operatori del settore, per richiamarli alle loro responsabilità e per denunciare il vuoto culturale di tanti prodotti.
Le giornate mondiali delle Comunicazioni Sociali hanno invece un fine primario che è quello di richiamare i cattolici sulla loro responsabilità di fruitori e di produttori di strumenti di comunicazione. C'è, in questo ambito, una lontananza siderale tra quanto la chiesa propone nel suo magistero e quanto la comunità cristiana traduce in progetti pastorali da vivere. Sto pensando alle indicazioni del Direttorio, recentemente pubblicato dalla Cei, che fa degli obblighi precisi alle diocesi e alle parrocchie. Ma penso anche ai ritardi dei Seminari nel recepire l'urgenza di istituzionalizzare un iter formativo dei nuovi preti, in queste discipline.
Vorrei ricordare, infine, ma al di fuori di ogni spirito polemico, come la stessa bozza del libro sinodale della nostra Diocesi [Verona - N.d.R.] risenta di un deficit di approfondimento in questa materia. La comunicazione della chiesa e nella chiesa è un'urgenza trasversale a tutte le attività pastorali, ma ha una sua specificità operativa e progettuale, che esige spazi di priorità e strategie sue peculiari. Il confronto con la storia si vince con la potenza della fede, ma nella logica del confronto culturale. Restare indietro in questo ambito è miopia storica.