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La santa inquietudine e i deserti dell’uomo

Fonte:
CulturaCattolica.it

La santa inquietudine di Cristo deve animare il pastore: per lui non è indifferente che tante persone vivano nel deserto. E vi sono tante forme di deserto. Vi è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto. Vi è il deserto dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo. I deserti esteriori si moltiplicano nel mondo, perché i deserti interiori sono diventati così ampi.
Perciò i tesori della terra non sono più al servizio dell’edificazione del giardino di Dio, nel quale tutti possano vivere, ma sono asserviti alle potenze dello sfruttamento e della distruzione.

Questo è stato uno dei passaggi più sconvolgenti dell’omelia dell’insegnamento di Benedetto XVI.
Il cuore spalancato a quelle parole penetranti e struggenti diceva: E’ vero! È vero!
Certo c’è il deserto della povertà, il deserto della fame e della sete, vi è il deserto dell’abbandono, della solitudine, dell’amore distrutto e questo già lo sentivamo dolorosamente vero.
Ma il deserto che più sconcerta e lascia smarriti è lo svuotamento delle anime senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo.
Una frase detta da un famoso scrittore negli anni ’70 che cito a memoria è “Sfortunata giovinezza che non può nemmeno rimpiangere quello che non ha mai avuto”…
Ed è anche inutile raccontare ai nostri giovani quel che non hanno conosciuto, perché non lo sappiamo più nemmeno noi adulti, orfani della ricchezza della tradizione cristiana, ignorata, svillaneggiata, vilipesa, osteggiata in nome delle nuove idee che sono solo foriere di morte.
Non è facile infatti sottrarsi al martellante proclama dei profeti del nichilismo che ormai invade, anche soltanto come tentazione strisciante e pericolosissima, tutti noi.
Ma la cosa più drammatica è certamente il fatto che pochissimi sono consapevoli di questa subdola opera di distruzione dell’umano.
L’ho rilevato anche nelle reazioni immediate di alcuni conoscenti alle parole del Papa: davanti all’imponenza della sua presenza così carica di messaggio, alcuni hanno reagito in modo intimistico, rimanendo colpiti da affermazioni marginali, che magari riguardavano la loro vita spirituale personale - il che non è certo male, ma non basta! - senza saper cogliere la dimensione universale e tragicamente attuale delle parole del Sommo Pontefice.
La piaga del nostro tempo, tanto più pericolosa in quanto non riconosciuta, è il ripiegamento su se stessi e la preoccupazione, pressoché unica, della propria personale coerenza spirituale.
Ma questa preoccupazione intimistica, e in fondo vagamente egoista, non solo manca di quel respiro missionario che il Papa ci chiede (La Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza), ma è priva della capacità di comprendere anche frasi così potenti come Noi soffriamo per la pazienza di Dio. E nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza. Il Dio, che è divenuto agnello, ci dice che il mondo viene salvato dal Crocifisso e non dai crocifissori.

Nello scenario tragico dei deserti dell’uomo evocato da Benedetto XVI, come non ricordare la potente riflessione di T. S. Eliot nei CORI DA “LA ROCCA”:

In principio Dio creò il mondo. Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre erano sopra la faccia dell’abisso.
(…)
Ma sembra che qualcosa sia accaduto che non è mai accaduto prima: sebbene non si sappia quando, o perché, o come, o dove.
Gli uomini hanno abbandonato Dio non per altri dei, dicono, ma per nessun dio; e questo non era mai accaduto prima
Che gli uomini negassero gli dei e adorassero gli dei, professando innanzitutto la Ragione,
E poi il Denaro, il Potere, e ciò che chiamano Vita, o Razza, o Dialettica.
La Chiesa ripudiata, la torre abbattuta, le campane capovolte, cosa possiamo fare
Se non restare con le mani vuote e le palme aperte rivolte verso l’alto
In una età che avanza all’indietro, progressivamente?
(...)
Deserto e vuoto. Deserto e vuoto. E tenebre sopra la faccia dell’abisso.

È la Chiesa che ha abbandonato l’umanità, o è l’umanità che ha abbandonato la Chiesa?

Quando la Chiesa non è più considerata, e neanche contrastata, e gli uomini hanno dimenticato
tutti gli dei, salvo l’Usura, la Lussuria e il Potere.
(L. Giussani, Le mie letture, Bur-Rizzoli, pp. 109-131)

Questi sono i tempi, - profeticamente preannunciati nel secolo scorso da Eliot, premio Nobel per la letteratura, troppo a lungo snobbato -, del ritorno del deserto soprattutto del cuore, che non sa nemmeno quello che ha perduto.

Consapevole di questo, Benedetto XVI ha voluto concludere la sua omelia, proprio rivolto ai giovani, con quel consolante annuncio lasciatogli dall’amato predecessore, e rafforzandolo con la proposta di un obiettivo sicuro e entusiasmante, l’amicizia di Cristo:
Ancora, e continuamente, mi risuonano nelle orecchie le sue parole di allora: “Non abbiate paura, aprite anzi spalancate le porte a Cristo!” Il Papa parlava ai forti, ai potenti del mondo, i quali avevano paura che Cristo potesse portar via qualcosa del loro potere, se lo avessero lasciato entrare e concesso la libertà alla fede.
Sì, egli avrebbe certamente portato via loro qualcosa: il dominio della corruzione, dello stravolgimento del diritto, dell’arbitrio. Ma non avrebbe portato via nulla di ciò che appartiene alla libertà dell’uomo, alla sua dignità, all’edificazione di una società giusta.
Il Papa parlava inoltre a tutti gli uomini, soprattutto ai giovani. Non abbiamo forse tutti in qualche modo paura - se lasciamo entrare Cristo totalmente dentro di noi, se ci apriamo totalmente a lui - paura che Egli possa portar via qualcosa della nostra vita? Non abbiamo forse paura di rinunciare a qualcosa di grande, di unico, che rende la vita così bella? Non rischiamo di trovarci poi nell’angustia e privati della libertà?
Ed ancora una volta il Papa voleva dire: no!
chi fa entrare Cristo, non perde nulla,nulla - assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella e grande.
No! solo in quest’amicizia si spalancano le porte della vita. Solo in quest’amicizia si dischiudono realmente le grandi potenzialità della condizione umana. Solo in quest’amicizia noi sperimentiamo ciò che è bello e ciò che libera. Così, oggi, io vorrei, con grande forza e grande convinzione, a partire dall’esperienza di una lunga vita personale, dire a voi, cari giovani: non abbiate paura di Cristo! Egli non toglie nulla, e dona tutto. Chi si dona a lui, riceve il centuplo. Sì, aprite, spalancate le porte a Cristo - e troverete la vera vita. Amen.

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