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Sciacalli - 2

Fonte:
CulturaCattolica.it
Per Dario Fo il Papa era l’ultimo comunista perché difendeva i diritti dell’uomo, mi pare la dimostrazione che un Nobel per la pace non è garanzia di nulla.

Voglio farvi conoscere alcuni stralci di un articolo di Socci apparso su Il Giornale, in questi giorni in molti hanno tirato la tonaca del Papa per dimostrare che stava dalla loro parte, lo hanno fatto senza paura del ridicolo, come chi crede che gli altri, noi, chi li ascolta siano solo dei creduloni davanti al loro giullare.



Il Corriere della sera non ha trovato niente di meglio, nei minuti successivi alla morte del Papa, che telefonare, per farne commentare la figura, al personaggio che l’aveva spernacchiato – Dario Fo – con lo spettacolo comico “Mistero buffo”. In quell’intervista si trova questa perla: “L’unico comunista rimasto in Italia era lui (papa Wojtyla, ndr), con buona pace di Berlusconi”. E segue uno sproloquio che dovrebbe dimostrare questa risibile idea.


Qualcuno mi ha detto: “è una bischerata per far ridere e che Dario Fo dica delle bischerate non sorprende, è un comico”. (…) Ma io penso che non sia affatto una bischerata. E’ un commento serio innanzitutto perché così lo presenta il Corriere della sera. Presenta queste parole come un’analisi da Premio Nobel, come un commento austero e commosso, da prendere sul serio. Dunque non è una bischerata. Io ritengo che quelle parole di Fo siano un insulto inaccettabile. E mi stupisco che nessuno di sia indignato. Non si può confondere la vittima con il carnefice. Non si può.


Diverso è il caso del politico che ha definito (banalmente) il papa come “noglobal” (errore marchiano anche il suo: non deve aver mai letto la Centesimus annus). (…)


Fo dice di averlo fatto perché il papa era contro il disumano sfruttamento dell’uomo. Ma era così perché era un cristiano, non perché era un comunista. I comunisti sono stati i più selvaggi schiavisti della storia. Milioni di vittime lo documentano. Definire comunista il papa? Sarebbe come se qualcuno avesse dato a Karol Wojtyla del “nazista” in quanto era un patriota (anche qui si deve dire che il patriottismo nazista era solo una caricatura grottesca, criminale e infame dell’amor di patria e dunque non c’era parentela alcuna).


Ebbene dare del “comunista” a Wojtyla è come dargli del “nazista”. Anche il nazismo infatti martirizzò la Polonia e la Chiesa polacca e lo fece – è bene ricordarlo perché questa pagina nei libri di storia manca – proprio in collaborazione con l’Urss comunista: la Seconda guerra mondiale iniziò con l’invasione della Polonia da parte di Germania (a ovest) e Urss (a est) concordi e alleati per i primi due anni della guerra. E dopo la guerra la povera Polonia, che era stata la prima vittima del demone nazista, è stata divorata dall’orrore del comunismo staliniano, che ha massacrato crudelmente e ripetutamente – dal 1945 fino al suo crollo - perfino gli operai in sciopero.


Dunque oggi definire quest’uomo libero, coraggioso testimone della libertà e della dignità dell’uomo, con il nome del carnefice, è come definire uno scampato ad Auschwitz o al terrorismo islamista con l’identità del loro carnefice. E’ come dire che san Pietro era un convinto “neroniano”, cioè uno che era d’accordo con l’imperatore criminale che incendiò Roma e incolpando i cristiani fece massacrare lui stesso e Paolo e fece bruciare vivi i cristiani inchiodati alle croci o – appesi ai legni – li faceva uccidere a morsi dai cani.


Se un altro Premio Nobel avesse definito il pontefice “l’unico nazista rimasto” immagino che ci sarebbe stato un moto di indignazione. Che non ci sia per le parole di Fo può dipendere dal fatto che nessuno lo prende sul serio (eccetto il Corriere che lo presenta con tutti gli onori). Ma io credo che dipenda soprattutto dall’annebbiamento delle nostre coscienze a causa del quale non abbiamo consapevolezza che il comunismo è stato ed è orrore come il nazismo. Una consapevolezza che un tempo avevano anche Paolo Mieli e Pierluigi Battista (si potrebbero citare molte loro pagine): oggi non saprei.


Una coscienza che Karol Wojtyla ha avuto sempre chiarissima, fino alla fine. Come dimostra il suo ultimo libro Memoria e identità dove continuamente, in decine di passi, si accomunano e si equiparano nazismo e comunismo. Una stupefacente vulgata giornalistica (che è risuonata anche in tv in questi giorni) ha dato ad intendere che in quel libro il papa condannerebbe senza appello il nazismo, ma non il comunismo. E’ la solita disinformatsia, come può constatare chiunque legga quel libro.


La meditazione sulla diversa durata dei due totalitarismi gemelli non è affatto una relativizzazione dell’orrore comunista, che il papa paragona addirittura a Satana.


D’altra parte la consapevolezza del papa era tanto chiara che da aver voluto estirpare più profondamente possibile – durante il suo pontificato - la malapianta dell’ideologia marzisteggiante dentro la Chiesa. Cosa che gli ha guadagnato anni e anni di feroci attacchi e dileggi da tutta la stampa di sinistra e progressista, che lo definiva con disprezzo integralista, “anticomunista viscerale”, oscurantista.


Naturalmente io sono il primo a dire che il papa è un gigante della santità e che sarebbe del tutto riduttivo e offensivo identificarlo banalmente con l’anticomunismo. Ma certamente non è ammissibile dimenticare la sua passione per la libertà e per la Chiesa perseguitata e la sua durissima opposizione agli ottusi e violenti regime dell’ateismo di stato (il tiranno cinese non gliel’ha ancora perdonata).


Per capire chi è stato questo Papa le parole più belle sono quelle che don Giussani pronunciò per il venticinquesimo anniversario del suo pontificato: “Giovanni Paolo II dimostra una stima per l’umano come raramente si trova in altri personaggi di questi tempi, che hanno potere in mano eppure non sono soddisfatti di quello che hanno; l’intelligenza e la volontà dell’umano sono di fatto bruciate via dal potere che sembra riempire e soddisfare la loro ricerca. In Giovanni Paolo II non è così: nella sua figura il cristianesimo definisce la condizione umana, è la strada per il compimento della felicità dell’uomo ed esprime la signoria dell’uomo sulle cose. Seguendo le vicende papali in questi 25 anni, ciò di cui ci si accorge di più è che il cristianesimo tende a essere veramente la realizzazione dell’umano. Tutti i suoi viaggi, come lunga marcia verso la morte, hanno avuto la loro ragione nell’evidente unità che corrisponde al genio del cristianesimo: Gloria Dei vivens homo. La gloria di Dio è l’uomo che vive… “. (…)


Proprio questa antica frase è stata ripetuta dal Papa nel suo ultimo libro. Questo è stato Wojtyla: gloria di Dio perché uomo vivente, vivente la fede cattolica apostolica romana. Nella corsa di questi giorni ad appropriarsi del papa è scandaloso vedere i vari commentatori, che hanno sempre detestato la sua fede cattolica, che oggi lo osannano per i suoi “mea culpa” (stravolgendone il senso) in modo da contrapporlo alla Chiesa e da farne quasi uno di loro. Magari per tentare di condizionare i cardinali sul prossimo Conclave. Nossignori. Giù le mani da questo nostro grande papa.(…)
Tenetevi Dario Fo. Noi cattolici ci teniamo stretto Karol Wojtyla il Grande.

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