Non c’è morte che ci separi
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Caro Papa,
vorrei per un istante prestarti gli occhi, questi occhi di terra che a te non servono più perché ti è stato donato dal Cielo ben altro sguardo. Vorrei prestarteli affinché tu possa vedere, ancora una volta, quella piazza che fu parte integrante del tuo quotidiano. Si è improvvisamente fatta così piccola, così inadeguata di fronte al flusso di folla che vi approda e che da lì più non si muove. Le secolari colonne del Bernini si sono curvate, anche loro, per il peso del dolore e delle lacrime e il cielo si è fatto più basso quasi a voler toccare, con miliardi di uomini, il davanzale della tua finestra.
Sembra più vuota la terra, più silenzioso il cuore, da ieri. Non sembrava che potessi morire ed invece è accaduto. Sei morto come sei vissuto e così come ci hai insegnato a vivere ci hai insegnato a morire.
“Ci hai insegnato” che brutta parola! Tu non sei mai stato didascalico, cattedratico, tu sei stato sempre e solo un testimone, uno di quelli mescolati tra la folla, grandi perché veri, veri perché umani.
Ci hai abituato pian piano al tuo silenzio, eppure mai come in queste ore hai parlato. Instancabilmente immagini e suoni ci hanno riportato la tua presenza, la tua grande anima, il tuo bene.
Fa impressione vedere la storia di questi ultimi ventisei anni attraverso la tua vita. Fa impressione e ci si ritrova a dire, increduli: io c’ero.
Viene alla mente la galleria dei papi di Bacon, così drammatica. Viene in mente soprattutto il dipinto di Innocenzo X: in una teca di cristallo un papa siede, dignitosamente raggomitolato dal dolore, su di un modesto trono, quasi a forma di cuore. Dietro di lui una stanza rossa di sangue: tutto il dolore dei secoli, le tragedie e le guerre si sono riversate lì, dentro la stanza del trono del papa e lui, in mezzo, solo. (Figura 1)
Ti abbiamo lasciato anche noi solo, qualche volta, nel chiacchiericcio delle nostre polemiche, nei ritardi di fede, nelle nostre scelte antievangeliche: ti abbiamo lasciato solo, ma tu hai continuato ad essere con noi. «Io vi ho cercato e voi adesso siete venuti da me»: quanto hai detto prima di morire ai giovani, vale per ogni uomo, per ogni popolo, per ogni situazione caduta sotto il tuo sguardo.
Come hai potuto essere così presente, sempre? Come hai potuto essere grande con i grandi, povero con i poveri, giovane con i giovani, bambino con i bambini? Come hai potuto così tanto esserci, per tutti e in ogni circostanza?
Questo nostro secolo ha toccato tante volte Cristo: nel segreto di Fatima, nel mistero di Padre Pio, nelle mani operose di Madre Teresa, nelle migliaia di martiri, negli innumerevoli Fondatori, ma in te questo secolo ha toccato, di Cristo, la grazia operante della Presenza per tutti.
Passano milioni di immagini sul piccolo schermo, ma eccone una che fu tra le prime ad essere scattate, ti ritrae sorridente a braccia aperte verso la folla. Un’immagine ripetuta poi nelle statue erette in tuo onore nelle piazze di molte città, in innumerevoli tele, un’immagine che rammenta il grido iniziale del tuo pontificato: «Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!» (Figura 2)
Ripenso al povero papa di Bacon e mi dico che la stanza di dolore che hai visitato, quel dolore che ha bussato così tante volte alla tua anima di credente, alla tua responsabilità di capo di Stato, alla tua carne di mortale, quel dolore non ti ha raggomitolato, ma sei passato così, a braccia aperte in mezzo ad amici e nemici, a giovani e vecchi, a donne e bambini. Sei passato eppure rimani.
Scusami, papa Wojtyla, ho detto poc’anzi che sembra più vuota la terra, più silenzioso il cuore, da ieri. Non è vero, sei passato e la terra, ora, è più piena di umanità. Hai chiesto a noi di spalancare le porte a Cristo e tu hai spalancato le braccia all’uomo. Anche ora nell’ultimo istante, anche ora che non potevi più spalancare le braccia, anche ora che stavi andando - finalmente - tra le braccia di Cristo sei morto sul fianco, rivolto verso la finestra che ti univa alla folla.
Ho arditamente voluto prestarti gli occhi ma mi accorgo che non potresti vedere nulla a causa delle molte lacrime. Sono lacrime di gioia, non di dolore: so per certo ormai - e la tua silenziosa fine me lo rivela - che con te non abbiamo varcato le soglie del terzo millennio. No, con te l’umanità ha veramente varcato le soglie della speranza. Anche tu, come il Cristo che hai amato, già morto, regni vivo. Sei vivo e non c’è morte ormai che ci può separare da te.
Grazie, Karol papa.