Natale non è un uomo senza volto
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Domenica 14 dicembre, sono stata a Muggiò, un paese dell'hinterland milanese, dove le associazioni presenti sul territorio avevano organizzato una Sacra rappresentazione.
Tutto molto semplice, ma molto curato.
Il recinto con le pecore e gli agnelli, un mulo, che incuriosito guardava i "bambini di città" stupirsi davanti agli animali di campagna.
C'erano vecchi mestieri riprodotti, il fabbro, il ciabattino, un maniscalco che ferrava il cavallo, il falegname con i suoi arnesi di prima dell'avvento delle macchine utensili, si distribuiva vin brulè, polenta fatta in un paiolo di rame e latte caldo, i ragazzi disabili del centro socio educativo impastavano il pane che poi veniva cotto e distribuito ai passanti, una donna cardava la lana.
Tutti avevano collaborato facendo la loro parte e contribuendo così alla buona riuscita dell'iniziativa.
Gli zampognari suonavano nenie di vecchia memoria.
Il tutto è culminato con la sacra rappresentazione, prima dell'inizio della quale il sindaco, visibilmente emozionato, ha letto un discorso, che mi ha colpito perché non era il solito discorso di circostanza:
"…Un popolo, una nazione, la sua civiltà è il risultato della sua storia delle sue tradizioni. Le nostre radici sono saldamente legate al cristianesimo, alla civiltà romana e greca. Negare questo significa immaginare un uomo senza volto, senza anima. Un mutante, un automa.
Noi siamo uomini in quanto esseri pensanti, credenti, parlanti, viventi, morenti, e la nostra vita, la nostra esperienza, il nostro essere si sostanziano delle nostre inclinazioni naturali e culturali, storiche, volontarie ed ereditarie. Non esiste l'uomo in astratto: esiti tu, lui, noi, voi, loro. Che civiltà del dialogo è quella che azzera le differenze, che rimuove le diversità, che si vergogna di portare in pubblico le proprie provenienze, convinzioni, costumi?
Chi dice ad un uomo di nascondere i simboli che danno un senso alla sua vita lo ferisce a morte nella sua dignità."
Mi è sembrato un discorso coraggioso e al tempo stesso ho sorriso di questo pensiero, perché pensare che sia coraggioso, ribadire l'importanza della propria storia e delle proprie tradizioni davanti ai cittadini del paese che si amministra, vuol dire che, ai giorni nostri, nulla può essere dato per scontato.
Dopo il saluto del sindaco, un nutrito gruppo di bambini vestiti da angioletti hanno intonato tradizionali canzoni di Natale e attori di non larga fama, ma di grande impegno e serietà, hanno rappresentato la nascita di Cristo e l'annuncio ai pastori.
Ho pensato che potrebbe accadere di non assistere più a tutto questo, se solo lasciamo che si faccia strada quella malsana idea, che l'integrazione delle persone di cultura differente si attua attraverso la negazione delle nostre tradizioni, che la laicità passa attraverso la negazione di sé.
Un popolo si riconosce anche dall'amore per il suo passato, per il rispetto per la cultura da cui proviene ed è solo questo rispetto per sé che può educare al rispetto per gli altri.