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Divorzio: vincono i no con il 59,3 per cento.
Il 12 maggio 1974, 37 milioni d'italiani sono chiamati alle urne per votare quello che sarebbe stato il secondo referendum dopo la scelta tra monarchia e repubblica.
L'abrogazione della legge sul divorzio.
In Europa rimanevano due le nazioni in cui il "matrimonio" era considerato indissolubile non solo dalla chiesa, ma anche dallo stato ed erano le cattolicissime Spagna e Irlanda. L'Italia aveva già la sua legge, seppur limitativa, che concedeva il divorzio per cause gravissime.
Vincono i no, con il 59,3 per cento.
In occasione dell'anniversario di questa "vittoria" vorrei fare una riflessione sulle sue conseguenze.
Nel 1974, avevo 14 anni, erano almeno quattro anni, (nel 1970 ci fu l'approvazione della legge d'attuazione del referendum) che l'Italia si divideva sul tema del divorzio, a scuola la discussione era accesa, oltre al professore di religione, pochi altri difendevano l'indissolubilità del matrimonio.
Tutti dicevano: "io non lo farò mai, ma perché non dare questa possibilità a chi non la pensa come me".
Frase che tornerà buona per ogni referendum.
Pareva che il divorzio, fosse la garanzia di felicità per le famiglie italiane.
Si portavano ad esempio le situazioni più scabrose o angosciose, dove la donna era costretta dal vincolo del matrimonio a sottostare ad un legame che non era più d'amore ma assomigliava ad una detenzione fine pena mai, la mia situazione familiare non era propriamente serena e io pensavo che il divorzio, potesse essere la soluzione ai nostri problemi familiari, un modo per riacquistare serenità, ero una sostenitrice convinta del divorzio e mi rammaricavo di non poter andare alle urne.
La realtà è stata ben diversa, perché se è difficile vivere il matrimonio, non è facile affrontare la sconfitta di un divorzio.
A 30 anni di distanza, con un matrimonio che regge felicemente il passo da 22 anni, posso affermare che il vero problema, non è fuggire le difficoltà, ma prepararsi ad affrontarle e non aggirarle quando ti si fanno incontro.
Il problema non è avere la possibilità di cambiare aria, se così fosse, dovremmo vivere nel paese delle famiglie felici, dei separati e contenti, degli sposati e altrettanto contenti.
Il problema è non essere soli, avere degli amici che ti siano compagni di viaggio, avere un'educazione a vivere, perché non basta essere al mondo per saperci stare.
Viviamo in una società dove vige la regola del "mordi e fuggi", se non va lo cambio, siamo guidati da uno sfrenato sentimentalismo divenuto ormai un idolo irraggiungibile.
Ci guida il "sentire", pare che il motore della vita sia il sentimento, l'emozione.
Nessuno più dice che amare è volere il bene dell'altro.
Non è facile, ma amare il suo bene, ti fa diventare capace di anche di sacrificio, parola tabù, ma la vita è fatta anche di questo, della capacità di affrontare le circostanze che ti sono date da vivere, della capacità di rinnovare quella promessa di "amore eterno", della coscienza che l'uomo da solo non è capace d'eternità.
Io credo che la felicità sia anche frutto di un'educazione, non si compera al supermercato, non ci sono formule magiche.
Educare, questa parola sconosciuta, educare alla realtà, come richiamava Monsignor Caffarra, suscitando molte e inutili polemiche, è quello di cui abbiamo bisogno, perché non è eludendo il reale che si è felici, ma amandolo.
Ed imparare ad amare il reale, ti dà uno sguardo più aperto sulla vita e di conseguenza sulla tua vita, sulla persona che ami, sui tuoi figli, sui tuoi amici.
Trent'anni fa ha vinto la possibilità di cambiare uomo o donna, quando ci sono delle difficoltà e in molti scelgono di farlo, ma ancora pochi ci aiutano a capire come ci si possa amare per tutta una vita, non stare insieme per tutta una vita, ma amare il destino dell'altro per tutta la vita.