Razanne, dieci dollari, niente ombretto
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Si chiama Razanne, costa dieci dollari, niente ombretto. Se vuoi qualche accessorio in più, come il tappetino per la preghiera, il prezzo raddoppia. È la nuova Barbie, la Barbie musulmana, nata negli Stati Uniti. Pantaloni, una tunica cangiante e un velo in tinta tengono nascoste, innocue, le forme contese dalle donne di tutto il mondo occidentale. Ci sono tre versioni di Razanne, una con la pelle e i capelli scuri, una con la pelle olivastra e gli occhi neri, ma anche, in nome della sua madrina, una bionda con la pelle chiara.
L’idea viene da Ammar Saadeh, un piccolo imprenditore immigrato che ha imparato bene come funzionano le cose nella terra che lo ha accolto, si è adeguato e ha colto nel segno. Il successo è sconcertante, la Barbie non è una bambola, è un sistema di vita, un modo di guardare. Attraverso la Barbie l’Occidente riesce a inglobare nelle sue misure, di centimetri di corpo e di definizione di un mondo, l’aspetto visibile, cioè quello più immediato, della cultura opposta. Nel momento stesso in cui condanna il significato di un modo di vestire, lo sterilizza per farne un’icona estetica e maneggiarlo facilmente nel mercato. Ma non è solo questo.
Si costruisce la Barbie tentando di ricalcare, quasi sempre con successo, la forma diffusa di desiderio di successo, dalle maniache del fitness alle icone sexy del rock, ma non si è mai riusciti a rendere commercialmente efficace una Barbie con forme più plausibili (la si è lanciata all’interno di una campagna sociale di controllo delle derive compulsive delle donne, ma poi è scomparsa).
Dobbiamo dedurne che sia più vendibile l’immagine di una donna velata, ma che conservi le sue forme minute (per evitare ogni aspetto seduttivo Razanne, che significa “modestia”, non ha né fianchi, né seno), piuttosto che qualche centimetro/millimetro in più. Ed è questa la vittoria più pesante, il mercato più potente, sulla libertà di percepirsi e di mostrarsi di una donna, occidentale.