Una mamma per amica? No, grazie
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La serie televisiva più gettonata della stagione è “Una mamma per amica” in onda su Canale 5.
Amato dal pubblico femminile che in essa trova valido conforto, il telefilm racconta le vicende di due giovani donne (madre e figlia) alle prese con amori che vengono e vanno, amicizie inossidabili, lavori entusiasmanti e studi universitari improbabili.
Per chi ancora non avesse intuito dal titolo la gravità della situazione, le vicende si snodano alla luce del rapporto d’amicizia tra la madre e la figlia.
Effettivamente, distinguere i due ruoli è pressoché impossibile.
La madre, che soffre di logorrea cronica, di fronte alla “prima volta” di sua figlia esordisce con “mi dispiace doverti fare un discorso da madre” al che la poveretta continua a farsi i beneamati fatti propri.
Tocco di classe: i nonni.
Borghesi, benestanti, interpretano alla perfezione il ruolo loro assegnato: gli utili idioti.
Manca completamente un senso ai rapporti, i ruoli si invertono, perciò non c’è bisogno di genitori che educhino i propri figli o di amicizie che vadano oltre la semplice “evasione” - se d’evasione si può parlare.
Sembrano, infatti, avere totale libertà i personaggi e per questo sono invidiati da chi li guarda: la sprovveduta Rory decide di partire per l’Europa per dimenticare che se la fa con il suo ex ormai sposato? Può farlo, c’è la nonna che l’accompagna (e paga).
Sua madre, che intanto se la fa con il barista, decide di mettere su un nuovo ristorante? Può farlo, magicamente. Anche qui c’è chi paga.
Di fronte alla tv le ragazzine sognano di avere madri che non impongono orari e che non cucinino mai se non pizze surgelate o panini ordinati al bar sotto casa, mentre le madri (ci sono anche quelle purtroppo) sospirano di fronte alle controversie amorose della donna e alla perfezione della figlia-che-studia-tanto-e-diventerà-una-giornalista-famosissima.
Siamo realisti: per andare in Europa noi altre stiamo aspettando che l’Erasmus universitario ci offre l’opportunità e ringraziamo che nostra madre cucini ancora, pazientemente, un buon risotto per noi.
Dopo questa breve presentazione del fenomeno televisivo in questione, ci soffermiamo sulla figura del padre.
La figura del padre è assente. Non esiste, è un ruolo inutile. Scartato perfino dalla sceneggiatura.
In un’intervista di Marina Corradi, lo psicologo Claudio Risè scrive: “Il padre è figura dell’origine, e per questo deve avere un nome e un volto. Se noi non sappiamo quale è la nostra origine è molto difficile che riusciamo a individuare un destino. Possiamo sapere dove andiamo quando sappiamo da dove veniamo: la conoscenza delle origini è necessaria agli uomini.”
E necessario cioè che i giovani abbiano dei punti di riferimento che non si limitino al liberalismo più bieco, ma che educhino. Educazione! Ecco di cosa c’è bisogno! Educazione!
Quell’educazione che don Bosco impartiva ai suoi fanciulli, in quel di Torino, con “amorevolezza”, “ragione e “religione”.
La stessa educazione che la Chiesa, da quando Cristo si è fatto uomo, dà ai suoi.
Non parole (non solo), ma fatti - carne e sangue e cioè il pane quotidiano.
Un educazione che definisce il ruolo di padre e madre e di figli, e anche di amicizia, certo.
I cristiani sanno di essere figli e come figli sanno di dover ringraziare: per la paternità divina, la maternità della Vergine e lo sconfinato amore di quel Gesù di Nazareth che divenne amico di alcuni pescatori - tanto tempo fa - sulle rive di un lago.