Condividi:

Lo scafandro e la farfalla

Autore:
Mocchetti, Giovanni
Fonte:
CulturaCattolica.it
Film di Julian Schnabel (2007)

• “…..devi attaccarti all’uomo che c’è in te…” dice un amico, vittima di un lungo sequestro, a Jean Dominique, rimasto con l’intero corpo (tranne una palpebra) paralizzato, in seguito ad un ictus; ma non è facile per un uomo rampante in carriera, amato da due donne, con tre figli, accettare di vedere a 42 anni la propria vita ridotta per il 99% allo stato vegetale; tant’è vero che, appena prende coscienza della sua dolorosa condizione, Jean chiede di morire: la straordinaria dedizione di una terapeuta ortofonista, insieme al tessuto affettivo di familiari ed amici, non solo faranno recedere questo professionista dall’intenzione di un’eutanasia, ma addirittura gli faranno vivere dodici mesi sorprendenti e straordinari.

• Che cosa permette a Jean di accettare coraggiosamente la propria situazione, quella di essere totalmente immobilizzato tranne il movimento di un battito di ciglia? Certamente, come dice a se stesso, il fatto che gli restino due facoltà: “la memoria e l’immaginazione”. C’è qualcosa d’altro, ben più importante che rimane in Jean: l’intenso desiderio di vivere un rapporto con la realtà, di non rassegnarsi al destino di una circostanza così atroce da mortificare l’io della sua persona. Il regista inquadra spesso il panneggio svolazzante di una tenda della finestra, da cui proviene ogni mattina la luce del sole o il grigiore della pioggia; si tratta della prima cosa che l’occhio aperto del protagonista cerca, appena si sveglia al mattino: Jean usa l’unico strumento che gli è rimasto non solo per tenersi attaccato alla propria dignità umana, ma per comunicare con il reale. Lo sbattere della palpebra diventa un alfabeto Morse con cui lui comunicherà al mondo che il suo io non è stato sconfitto dalla brutalità della sofferenza: anzi, questo muovere ritmico delle ciglia gli farà riscoprire una verità di sé, sepolta sotto tante false immagini; inoltre, questa metaforica farfalla sfonderà lo scafandro in cui è rinchiuso e gli farà scrivere un libro.

• Nella prima mezz’ora della narrazione, noi vediamo la realtà dalla fessura di una pupilla dilatata, quella di Jean, come se nel nostro occhio fosse incardinata una telecamera fissa; poi, si passa alla “ripresa in totale”, cioè allo sguardo che il prossimo ha sul protagonista. E’ come se il regista ci invitasse ad immedesimarci prima nel destino di Jean, poi nella sua tensione a mantenere vive la sua ragione ed il suo cuore nei confronti di tutto ciò che lo circonda (dato che il suo corpo è “scafandrato”) ed infine ci consegnasse personalmente l’odissea che ha dato origine a questo notevole film.

• Nel 1995 l’ex-caporedattore della prestigiosa rivista di moda “Elle-France”, Jean Dominique Buaby, affidò il suo dolore ad una specie di diario del suo viaggio nell’immobilità, riuscendo a dettarlo lettera per lettera; il film è la testimonianza struggente di questa esperienza. L’interprete, Mathieu Amalric, ed il direttore della fotografia Janus Kaminski (quello di “Schindler’s List”) contribuiscono notevolmente a comunicare la passione di questa storia, che induce alla riflessione ed alla commozione.

Vai a "Approfondimenti - Cinema"