Gomorra
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“…la parte giusta è di qua”: è quello che dice un camorrista all’adolescente Totò, affascinato dalla vita irregolare, trasgressiva, di gente che domina quartieri dell’hinterland campano, suddiviso per territori di appartenenza, da cui il ragazzo si sente attirato, come una falena verso la luce; perciò, quando, durante un’improvvisa irruzione della polizia, uno dei delinquenti è costretto a nascondere la pistola e la droga, il ragazzino recupera tali strumenti di violenza e, dopo una prova d’iniziazione - non deve farsi prendere dalla paura, quando gli sparano dei colpi di rivoltella a bruciapelo - viene aggregato alla banda.
• E’ una delle cinque storie che il regista, insieme allo sceneggiatore Roberto Saviano (autore dell’omonimo libro da cui il film è tratto), racconta in un’intensissima, dolente e realistica opera, che ha vinto il Premio Speciale della giuria al festival di Cannes; le altre vedono protagonisti due giovani balordi che tentano di mettersi per conto proprio, rompendo i fragili equilibri di potere del giro camorristico; un imprenditore che ricicla scorie tossiche; un porta soldi, anonimo impiegato della mala, che si ritrova in mezzo ad uno sterminio di bande dello stesso quartiere; ed infine, il personaggio di un sarto di mezza età, che addestra cinesi immigrati clandestinamente. Si tratta del ritratto di un piccolo impero del male, simile a quello che Denzel Washington si ritaglia negli USA degli anni ’70 nel film “American gangsters“, smerciando droga importata nei sottofondi delle bare di zinco dei marines uccisi in Vietnam. E’ un impero desolante, sporco, sordido, totalmente amorale, ritratto di una società fatiscente, in cui la persona e la sua vita non contano assolutamente nulla; un piccolo impero, dove non solo non esistono giustizia, legge o Stato, ma nemmeno possibilità di uscire da un vortice infernale fatto solo di potere e di denaro, trascinati da un destino che soffoca l’io con la sua libertà e i suoi desideri; il film è pervaso da una visione molto pessimistica del cuore umano. Risulta emblematica di tale mostruoso coacervo di male, una sequenza posta all’inizio del film; appare, infatti, inaspettatamente, dopo una serie di dettagli che illustrano l’attività criminosa della camorra, l’immagine di un condominio degradato, pieno di appartamenti, con una piscina, dove bambini sguazzano felici: si tratta di un girone dell’inferno dantesco, di una gomorra biblica, con un lampo d’innocenza infantile, che viene risucchiato dal male.
• Il sarto, che si è riciclato diventando camionista, vede alla tv, durante una sfilata d’haute couture, l’abito che ha confezionato con le sue mani e ha un improvviso sorriso d’orgoglio; il giovane collaboratore dell’imprenditore che seppellisce materiale tossico, scende dall’auto e se ne va. Qualcuno ha il coraggio e la dignità di opporsi e fare scelte diverse: è uno sprazzo di speranza e di positività in questo crudelissimo noir sociologico.
• Scelta di location ambientali cinematograficamente sorprendenti per il sapore di realtà che trasmettono, dialoghi in dialetto napoletano con sottotitoli, uso frequente della cinepresa a mano che sta quasi addosso ai personaggi e alle loro azioni, notevole ritmo narrativo, montaggio a scatti, nervoso, recitazione genuina di attori non professionisti (tranne Toni Servillo); insomma uno stile che fa incollare lo sguardo dello spettatore e che ricorda, per certi aspetti, il grande cinema neorealista italiano del secondo dopoguerra, quello di Rossellini, De Sica, Zavattini. Ovviamente, un film per adulti.