A messa col Papa
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Nella cinquantina pasquale il crocifisso risorto che ci parla attraverso la Scrittura e si dona in persona nell’Eucaristia ci fa vivere l’amore battesimale di figli nel Figlio e questa è la vocazione fondamentale per tutti i cristiani. Da vivere, però, o nella modalità vocazionale coniugale, familiare o in quella verginale della vita consacrata. Oggi il Vangelo ci parla della modalità vocazionale pastorale cioè dei pastori, dei preti, della mia vocazione. In questo Vangelo il Signore ci dice tre cose sul vero pastore, sul vero prete: egli dà la vita per le pecore; le conosce ed esse lo conoscono; sta a servizio dell’unità. Ma prima del discorso sui pastori, prima di designarsi come Pastore, come Sacerdote dice con nostra sorpresa: “Io sono la porta” (Gv 10,7). E’ attraverso di Lui che si deve entrare nel servizio di pastore e “Chi… vi arriva da un’altra parte, è un ladro e un brigante” (Gv 10,1). Chi vi arriva per la carriera, per procurarsi una posizione mediante la Chiesa, per servirsi e non per servire è un infelice. E’ l’immagine di chi mira alla propria esaltazione e non all’umile servizio di Gesù Cristo. L’unica ascesa legittima verso la modalità dell’amore pastorale, come nella modalità coniugale e verginale, è la Croce. E’ questa la porta. Si è felici da preti quando non si desidera di diventare personalmente qualcuno, ma invece esserci per l’Altro, per Cristo e così mediante Lui e con Lui per ogni uomo che egli ama, perdona, cerca e vuole condurre sulla via della vita.
Si entra nel sacerdozio attraverso il sacramento che io ho ricevuto 52 anni fa e ciò significa appunto: attraverso la donazione, l’amore totale di se stessi a Cristo affinché Egli disponga di me; affinché io Lo serva e segua la sua chiamata, anche se questa dovesse essere in contrasto con i miei desideri di autorealizzazione e stima. Entrare per la porta, che è Cristo, vuol dire tentare e ritentare, pur tra limiti e debolezze, di conoscerlo, amarlo, servirlo sempre più, unire la mia volontà alla sua affinché il mio agire possa diventare una cosa sola con il suo agire in modo che Cristo cresca sempre più in me e sia Lui che pasce il suo popolo attraverso di me: chi mi incontra incontri Lui crocifisso risorto qui e ora. Com’è bello da preti sentirsi dire: Sia lodato Gesù Cristo.
Guardiamo ora più da vicino le tre affermazioni fondamentali di Gesù sul buon Pastore. La prima: il pastore è felice di realizzarsi come dono facendosi dono fino a dare la vita. Questa fede ogni prete la celebra ponendo al centro di ogni giornata l’Eucaristia, nella quale il sacrificio di Gesù sulla Croce rimane continuamente presente tra di noi per tutti. A partire da questa fede celebrata viene per grazia la fede vissuta: è un incontrare il Signore che per noi si spoglia della sua gloria divina, si lascia umiliare fino alla morte in croce e così si dona a tutti noi. Così il prete si pone sempre di nuovo nelle mani di Dio che è amore sperimentando al contempo la gioia di sapere che Egli è presente, mi accoglie, sempre di nuovo mi solleva da ogni caduta e mi porta. La vita non si dona solo nel momento della morte e non soltanto nel modo del martirio ma la si dona ogni giorno confessando ore e ore e tenendomi a disposizione per quella cosa che Egli, il Signore, sul momento mi indica anche se altre cose mi sembrano più belle e importanti. Donare la vita accade anche nella modalità matrimoniale e verginale dell’amore, e così facciamo l’esperienza della libertà cioè dell’amore che rende felici già ora come anticipo della meta. Libertà da noi stessi per tutti gli ambiti della realtà, dell’essere cioè della verità. Proprio così, nell’essere utile, la nostra vita diventa importante e bella. Solo chi nel suo essere dono dona la propria vita, la trova per sempre.
Come seconda cosa il Signore ci dice: “Io conosco le mie pecore, e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre” (Gv 10,14-15). Sono due rapporti apparentemente del tutto diversi che si trovano intrecciati l’uno con l’altro: il rapporto tra Gesù e il Padre e il rapporto tra Gesù e gli uomini a Lui affidati. Ma entrambi i rapporti vanno proprio insieme, perché gli uomini in fin dei conti come figli nel Figlio, appartengono al Padre e sono alla ricerca di Lui. Quando si accorgono che un prete parla soltanto nel nome proprio attingendo solo da se stesso, non dalla appartenenza alla Chiesa come sacramento di Lui, allora intuiscono che egli non può essere ciò che stanno cercando. Ma quando in me prete risuona la voce del Padre, si apre la porta della relazione che ogni io umano aspetta incontrandomi come prete: attraverso lo Spirito con Cristo al Padre. Ecco l’importanza del mio continuo rapporto con Cristo e per il suo tramite con il Padre, solo allora comprendo chi mi incontra ed essi si rendono conto di aver trovato il vero pastore e solo così conosco le mie pecore ed esse mi conoscono. Certo non c’è un vero conoscere senza amore, senza un conoscere con il cuore.
Infine il Signore ci parla del servizio dell’unità della famiglia umana affidato al pastore: “Ho altre pecore che non sono ancora di questo ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10,16). Si tratta dell’unificazione di tutti i figli di Dio. La missione di Gesù riguarda l’umanità intera, e perciò alla Chiesa e quindi ad ogni prete nella comunione con gli altri presbiteri e con il Vescovo unito al Papa, è data la responsabilità per tutta l’umanità, affinché tutti quelli che incontra li porti a riconoscere la presenza e l’azione di quel Dio che possiede un volto umano in Gesù Cristo, che ha sofferto, è morto ed è risorto ed è presente, mi parla attraverso la Scrittura pregata e si dona in persona nei sacramenti, L’Eucaristia in particolare. Come pastore d’anime devo innanzitutto preoccuparmi di coloro che credono e già vivono con la Chiesa, ma anche di coloro non ne sono ancora stati toccati interiormente, le pecore smarrite nei nostri deserti individualistici e nelle nostre confusioni secolarizzate: l’immagine di Colui che ha preso sulle spalle la pecora smarrita e la porta a casa. Con tutti miei limiti e debolezze da 52 anni sono in questa tensione di amore pastorale, felice di esserlo e proponendolo a tanti giovani.