L'identikit del Vescovo
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

«Secondo una consuetudine molto significativa, avete compiuto innanzitutto un pellegrinaggio sulla tomba dell’Apostolo Pietro, il quale si è conformato a Cristo Maestro e Pastore, fino alla morte di croce. A questo proposito, illuminanti sono alcune espressioni di san Tommaso d’Aquino, che possono costituire un vero e proprio programma di vita per ogni Vescovo. Commentando l’espressione di Gesù nel Vangelo di Giovanni: “Il Buon Pastore offre la vita per le sue pecore”, san Tommaso osserva: “Egli consacra a loro la sua persona nell’esercizio dell’autorità e della carità. Si esigono tutte e due le cose: che gli ubbidiscano e che le ami. Infatti la prima senza la seconda non è sufficiente” (Esp. su Giovanni, 10, 3). La Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium, specifica: “Il Vescovo, mandato dal Padre di famiglia a governare la sua famiglia, tenga innanzi agli occhi l’esempio del Buon Pastore, che è venuto non per essere servito ma per servire (Mt 20,28; Mc 10,45) e dare la sua vita per le pecore (Gv 10,11). Preso di mezzo agli uomini e soggetto a debolezze, egli può compatire quelli che sono nell’ignoranza o nell’errore (Eb 13,17). Non rifugga dall’ascoltare i sudditi che cura come veri figli suoi e che esorta a cooperare alacremente con lui. Dovendo rendere conto a Dio delle loro anime (Eb 13,17), con la preghiera, la predicazione e ogni opera di carità, abbia cura di loro, e anche di quelli che non sono ancora dell’unico gregge, che deve considerare come affidati a sé nel Signore. Poiché egli, come l’Apostolo Paolo, è debitore a tutti” (n. 27).
La missione del Vescovo non può essere intesa con la mentalità dell’efficienza e dell’efficacia, per cui si pone l’attenzione primariamente su ciò che c’è da fare, ma occorre sempre tenere in conto la dimensione ontologica, che è alla base di quella funzionale. Infatti il Vescovo, per l’autorità di Cristo di cui è rivestito, quando siede sulla sua Cattedra è posto ‘sopra’ e ‘di fronte’ alla comunità, in quanto egli è ‘per’ la comunità verso la quale dirige la sua sollecitudine pastorale (Pastores gregis, 29). La Regola Pastorale di Papa san Gregorio Magno, che potrebbe essere considerata il primo ‘direttorio’ per i Vescovi della storia della Chiesa, definisce il governo pastorale come “l’arte delle arti” (1,1.4). e precisa che la potestà di governo “la regge bene chi sa con essa erigersi contro le colpe e con essa sa essere uguale agli altri… e domina sui vizi piuttosto che sui fratelli” (II,6).
Fanno riflettere le parole esplicative del rito della consegna dell’anello nella liturgia dell’Ordinazione episcopale: “Ricevi l’anello, segno di fedeltà, e nell’integrità della fede e nella purezza della vita custodisci la Santa Chiesa, sposa di Cristo”. La Chiesa è “sposa di Cristo” e il Vescovo è il ‘custode’ di questo mistero. L’anello è dunque un segno di fedeltà: si tratta della fedeltà alla Chiesa e alla purezza della fede di lei. Al Vescovo, quindi, viene affidata un’alleanza nuziale: quella della Chiesa con Cristo. Significative le parole che leggiamo nel Vangelo di Giovanni: “Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo” )3, 29). Il concetto di “custodire” non vuol dire soltanto conservare ciò che già è stato stabilito – benché questo non debba mai mancare -, ma include, nella sua essenza, anche l’aspetto dinamico, cioè una perpetua e concreta tendenza al perfezionamento, in piena armonia e continuo adeguamento alle esigenze nuove sorte dallo sviluppo e dal progresso di quell’organismo vivente che è la comunità.
Grandi sono le responsabilità di un Vescovo per il bene della diocesi, ma anche della società. Egli è chiamato ad essere “forte e deciso, giusto e sereno” (Direttorio per il ministero pastorale dei Vescovi “Apostolorum successores”, n. 44), per un discernimento sapienziale delle persone, della realtà e degli avvenimenti, richiesto dal suo compito di essere “padre, fratello e amico” (ibid., 76-77) nel cammino cristiano e umano. Si tratta di una profonda prospettiva di fede e non semplicemente umana, amministrativa o di stampo sociologico quella in cui si colloca il ministero del Vescovo, il quale non è un mero governante, o un burocrate, o un semplice moderatore e organizzatore della vita diocesana. Sono la paternità e la fraternità in Cristo che danno al Superiore la capacità di creare un clima di fiducia, di accoglienza, di affetto, ma anche di franchezza e di giustizia. Particolarmente illuminanti sono al riguardo, le parole di un’antica preghiera di sant’Aelredo di Rievaulx, Abate: “Tu, dolce Signore, hai posto uno come me a capo della tua famiglia mediante un tale uomo, così che si vedesse la sublimità della tua forza, non quella dell’uomo, così che non abbia a gloriarsi il sapiente nella sua sapienza, né il giusto nella sua giustizia, né il forte nella sua forza: poiché quando questi governano bene il tuo popolo, sei tu che lo reggi, e non loro. E dunque non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome dà gloria” (Speculum caritatis, PL CXCV)» [Benedetto XVI, Ai Vescovi di recente nomina, 13 settembre 2010].
A fondamento della funzione di insegnare, santificare, governare del Vescovo non ci sono solo le sue doti ma c’è il Sacramento cioè la paternità e la fraternità sacramentale in Cristo che danno alla sua autorità la capacità di creare un clima di fiducia, di accoglienza, di affetto, ma anche di franchezza e di giustizia. Quanto è urgente anche per la carità pastorale che tutte le parrocchie, le associazioni e i movimenti ecclesiali, le comunità cristiane ritrovino e riconoscano nella fede il principio unificante nel Vescovo, membro del Collegio episcopale presieduto dalla autorità del Vescovo di Roma E tutti, Parroci e Sacerdoti, si sentano localmente “vice gerenti del Vescovo”.