Essere educatori
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«Avete voluto opportunamente approfondire nell’azione pastorale l’impegno missionario, che ha caratterizzato il cammino della Chiesa in Italia dopo il Concilio, mettendo al centro della riflessione della vostra assemblea il compito fondamentale dell’educazione. Come ho avuto modo a più riprese di ribadire, si tratta di una esigenza costitutiva e permanente della vita della Chiesa, che oggi tende ad assumere i tratti dell’urgenza e, perfino, dell’emergenza. Avete avuto modo, in questi giorni, di ascoltare, riflettere e discutere sulla necessità di porre mano ad una sorta di progetto educativo che nasca da una coerente e completa visione dell’uomo quale può scaturire unicamente dalla perfetta immagine e realizzazione che ne abbiamo in Cristo Gesù. E’ Lui il Maestro alla cui scuola riscoprire il compito educativo come un’altissima vocazione alla quale ogni fedele, con diversa modalità, è chiamato. In un tempo in cui è forte il fascino di concezioni relativistiche e nichilistiche della vita, e la legittimità stessa dell’educazione è posta in discussione, il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare. Essa non è frutto di un ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella “speranza affidabile” (Spe salvi, 1) che ci è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo. In riferimento a questo fondato atto di amore per l’uomo può sorgere una alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale» [Benedetto XVI, Discorso all’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, 28 maggio 2009].
Di fronte all’urgenza e, perfino, all’emergenza del compito fondamentale dell’educazione ci sono educatori che hanno il coraggio paolino di affermare “Fatevi miei imitatori” (1 Cor 11,1)?
Benedetto XVI rileva che l’assemblea dei Vescovi esprime visibilmente e promuove quella comunione di cui la Chiesa vive, e che si attua anche nella concordia delle iniziative e dell’azione pastorale. In questo clima di comunione si può nutrire proficuamente della Parola di Dio e della grazia dei sacramenti il popolo cristiano, che esperimenta il profondo inserimento nel territorio, il vivo senso della fede e la sincera appartenenza alla comunità ecclesiale. Tutto ciò grazie alla guida pastorale di ogni vescovo, al servizio generoso di tanti presbiteri e diaconi, di religiosi e fedeli laici che, con assidua dedizione, sostengono il tessuto ecclesiale e la vita quotidiana delle numerose parrocchie disseminate in ogni angolo del Paese. Non possiamo nasconderci le difficoltà nell’educare ad una piena adesione alla fede cristiana professata, celebrata, vissuta pregata e l’urgenza di laici corresponsabili nel compito fondamentale della responsabilità educativa delle nuove generazioni da parte delle comunità ecclesiali e della società tutta. Ma anche l’età adulta non è esclusa da una vera e propria responsabilità di educazione permanente. Nessuno è escluso dal compito di prendersi cura della propria e altrui crescita verso la “misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,13).
La difficoltà di formare autentici cristiani si intreccia fino a confondersi con la difficoltà di far crescere uomini e donne responsabili e maturi in tutti gli ambiti della realtà, in cui la coscienza della verità e del bene e della libera adesione ad essi siano al centro del progetto educativo, capace di dare forma ad un percorso di crescita globale debitamente predisposto e accompagnato. Per questo, insieme ad un adeguato progetto che indichi il fine dell’educazione alla luce del modello compiuto da perseguire, c’è bisogno di educatori autorevoli a cui le nuove generazioni possano guardare con fiducia nella formazione della loro intelligenza, della loro libertà e quindi della capacità di amare in vissuti fraterni di comunione. E per questo non può mancare la fede pregata per l’aiuto della grazia. Solo in questo modo si potrà contrastare efficacemente quel rischio per le sorti della famiglia umana che è costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto rapida del nostro potere tecnico che attrae soprattutto ragazzi e giovani e la crescita ben più faticosa della nostre risorse morali. Un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e raggiungere qualcosa di grande nella vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi per dare consistenza e significato alla stessa libertà. “In questo Anno paolino – ha osservato Benedetto XVI –, che abbiamo vissuto nell’approfondimento della parola e dell’esempio del grande Apostolo delle genti, e che avete in vari modi celebrato nelle vostre Diocesi e proprio ieri tutti insieme nella Basilica di San Paolo fuori le mura, risuona con singolare efficacia il suo invito: “Fatevi miei imitatori” (1 Cor 11,1). Un vero educatore mette in gioco in primo luogo la sua persona e sa unire autorità ed esemplarità nel compito di educare coloro che gli sono affidati. Ne siamo consapevoli noi stessi, posti come guide in mezzo al popolo di Dio, ai quali l’apostolo Pietro rivolge, a sua volta, l’invito a pascere il gregge di Dio facendoci “modelli del gregge” (1 Pt 5,3)”.
Da questa sollecitudine per ogni persona umana e la sua formazione soprattutto nella fascia giovanile vengono i “no” della Chiesa, degli educatori cattolici a forme deboli e deviate di amore e alle contraffazioni della libertà, come anche alla riduzione della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. In verità, questi “no” sono piuttosto dei “sì” all’amore autentico, alla realtà dell’uomo come è stato creato da Dio e ricreato in Cristo.