Abbiamo bisogno di tornare a Nazareth
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«Abbiamo tutti bisogno, come disse qui Paolo VI, di tornare a Nazareth per contemplare sempre di nuovo il silenzio e l’amore della Sacra Famiglia, modello di ogni vita familiare cristiana. Qui, sull’esempio di Maria, Giuseppe e di Gesù, possiamo giungere ad apprezzare ancora di più la santità della famiglia, che nel piano di Dio, si basa sulla fedeltà per la vita intera di un uomo e di una donna,consacrata dal patto coniugale ed aperta al dono di nuove vite. Quanto hanno bisogno gli uomini e le donne del nostro tempo di riappropriarsi di questa verità fondamentale, che è alla base della società, e quanto è importante la testimonianza di coppie sposate in ordine alla formazione di coscienze mature e alla costruzione della civiltà dell’amore» [Benedetto XVI, Omelia a Nazareth, 14 maggio 2009].
La Parola di Dio presenta la famiglia come la prima scuola della sapienza, una scuola che educa i propri membri alla pratica di quelle virtù che portano alla felicità autentica e ad un durevole appagamento. Nel piano divino per la famiglia, l’amore del marito e della moglie porta frutto in nuove vite, e trova quotidiana espressione negli amorevoli sforzi dei genitori di assicurare un’integrale formazione umana e spirituale per i loro figli.
Nella famiglia ogni persona, sia che si tratti del bambino più piccolo o del genitore più anziano, viene considerato per ciò che è in se stessa e non semplicemente come un mezzo per altri fini. Qui iniziamo a vedere qualcosa del ruolo essenziale della famiglia come primo mattone di costruzione di una società ben ordinata e accogliente. Possiamo inoltre giungere ad apprezzare, all’interno della società più ampia, il ruolo dello Stato chiamato a sostenere le famiglie nella loro missione educatrice, a proteggere l’istituto della famiglia e i suoi diritti nativi, come pure a far sì che tutte le famiglie possano vivere e fiorire in condizioni di dignità.
Scrivendo ai Colossesi, l’apostolo Paolo parla istintivamente della famiglia quando cerca di illustrare le virtù che edificano “l’unico corpo”, che è la Chiesa.
Quali “scelti da Dio, santi e amati” attraverso l’incontro con la Persona di Gesù Cristo, siamo chiamati a vivere in armonia e in pace l’uno con l’altro, mostrando anzitutto magnanimità e perdono, con l’amore quale più alto vincolo di per perfezione (Col 3,12-14). Come nel patto coniugale, l’amore dell’uomo e della donna viene innalzato dalla grazia fino a divenire condivisione ed espressione dell’amore di Cristo sposo per il suo corpo sposa che è la Chiesa (Ef 5,32), così anche la famiglia fondata sull’amore viene chiamata ad essere “Chiesa domestica”, luogo di fede e vissuto di comunione, di preghiera e di preoccupazione amorevole per il bene vero e durevole di ciascuno dei propri membri.
Mentre riflettiamo su tali realtà a Nazareth, città dell’Annunciazione, il pensiero si volge naturalmente a Maria, “piena di grazia”, la Madre della Santa Famiglia e nostra Madre
Nazareth ci spinge a riconoscere e rispettare dignità e missione concesse da Dio alle donne, come pure i loro particolari carismi e talenti. Sia come madri di famiglia, come una vitale presenza nella forza lavoro e nelle istituzioni della società, sia nella particolare chiamata a seguire il Signore cioè la presenza ecclesiale del Risorto mediante i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza, le donne hanno un ruolo indispensabile nel creare quella “ecologia umana” (Centesimus annus, 39) di cui il mondo, e anche la Palestina, hanno così urgente bisogno: un ambiente in cui i bambini imparino ad amare e ad apprezzare gli altri, ad essere onesti e rispettosi verso tutti, a praticare le virtù della misericordia e del perdono.
Giuseppe, l’uomo giusto che Dio pose a capo della sua casa
Dall’esempio forte e paterno di Giuseppe, Gesù cioè il darsi definitivo di Dio nell’incarnazione del Figlio, imparò le virtù della pietà virile, della fedeltà alla parola data, dell’integrità e del duro lavoro. Nel falegname di Nazareth poté vedere come l’autorità posta al servizio dell’amore sia infinitamente più feconda del potere che cerca di dominare. Quanto bisogno ha il nostro mondo dell’esempio, della guida e della calma forza di uomini come Giuseppe!
Infine, nel contemplare la Sacra Famiglia di Nazareth lo sguardo si fissa sul bambino Gesù, che nella casa di Maria e di Giuseppe crebbe in sapienza e conoscenza, sino al giorno in cui iniziò il ministero pubblico
“Qui vorrei – Benedetto XVI – lasciare un pensiero particolare ai giovani presenti. Il Concilio Vaticano II insegna che i bambini hanno un ruolo speciale nel far crescere i loro genitori nella santità (cioè in quell’amore che giunge a noi da Dio) (Gaudium et spes 48). Vi prego di riflettere su questo e di lasciare che l’esempio di Gesù vi guidi non soltanto nel mostrare rispetto ai vostri genitori, ma anche nell’aiutarli a scoprire pienamente l’amore che dà alla nostra vita il senso più completo. Nella Sacra Famiglia di Nazareth fu Gesù ad insegnare a Maria e Giuseppe qualcosa della grandezza dell’amore di Dio, suo celeste Padre, (la sorgente trinitaria di ogni amore), il Padre da cui, (attraverso la reciprocità dello Spirito con il Figlio), ogni paternità in cielo e in terra prende nome (Ef 3,14-15).
Cari amici, nella colletta della Messa odierna abbiamo chiesto al Padre di “aiutarci a vivere come la Sacra Famiglia, unita nel rispetto e nell’amore”. Rinnoviamo qui il nostro impegno ad essere lievito di rispetto e di amore nel mondo che ci circonda”.
Operare per edificare ponti e trovare modi per una pacifica convivenza
“Questo Monte del Precipizio – sempre Benedetto XVI – ci ricorda, come lo ha fatto con generazioni di pellegrini, che il messaggio del Signore fu talvolta sorgente di contraddizioni e di conflitto con i propri ascoltatori. Purtroppo, come il mondo sa, Nazareth ha esperimentato tensioni negli anni recenti che hanno danneggiato i rapporti fra le comunità cristiana e musulmana. Invito le persone di buona volontà di entrambe le comunità a riparare il danno che è stato fatto, e in fedeltà al comune credo in un unico Dio, Padre dell’umana famiglia, ad operare per edificare ponti e trovare modi per una pacifica coesistenza. Ognuno respinga il potere distruttivo dell’odio e del pregiudizio, che uccidono l’anima umana prima ancora che il corpo”.
Sia a Nazareth che nella moschea di Amman e durante l’’incontro con i rettori delle università giordane il Papa ha ripreso i concetti principali esposti nella storica lectio di Ratsbona. Ha cioè parlato dei rapporti tra fede e ragione e tra fede e società. Dappertutto Benedetto XVI ricorda che le religioni debbano e possano convivere all’interno di una società che garantisca loro piena libertà di espressione, anche se questo disturba enormemente chi vorrebbe negare ogni spazio pubblico al senso religioso, come sta avvenendo purtroppo in Europa e anche in Italia attraverso certi giornali in questi giorni. E’ il concetto di laicità aperta. Benedetto XVI e con lui la Chiesa con la Dottrina sociale è convinto che un serio dialogo tra religioni possa fondarsi sui tre principi che in Giordania ha ricordato, tutti e tre laici: il giuramento d’Ippocrate del terzo secolo a.C.; la dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 che non li ha fondati ma solo riconosciuti giuridicamente; e la convenzione di Ginevra. Sono tre testi “laici” e, dunque, condivisibili da tutti. Sono modelli sui quali le religioni possono veramente dialogare per trovare le giuste strade della convivenza. Si tratta d’una sapienza etica che elimina i dissidi che possono sorgere quando invece il dialogo è anzitutto teologico. Se, ad esempio, con l’islam si parte dalla teologia, si trova subito un muro: i musulmani non capiscono perché i cristiani non credono che Maometto sia un profeta. E perché Dio sia trino. Sono differenze essenziali che nessun dialogo può colmare se non dissolvendo, attraverso la dittatura del relativismo, la propria fede. Occorre allora garantire a tutti la piena libertà di fede, la libertà di scegliere se credere e in che cosa credere e trovare nelle fedi di ognuno quella comune sapienza etica che sta alla base di ogni rapporto umano.
E perché questo diventi modo condiviso da parte di tutti cioè cultura popolare Benedetto XVI così ha concluso: “Permettetemi di concludere con una parola di gratitudine e di lode per quanti si adoperano per portare l’amore di Dio ai bambini di questa città e per educare le generazioni future nelle vie della pace. Penso in modo speciale agli sforzi delle Chiese locali, particolarmente nelle loro scuole e nelle istituzioni caritative, per abbattere i muri e per essere fertile terreno d’incontro, di dialogo, di riconciliazione e di solidarietà. Incoraggio i sacerdoti, i religiosi, i catechisti e gli insegnanti che sono impegnati, insieme con i genitori e quanti si dedicano al bene dei nostri ragazzi, a perseverare nel dare testimonianza al Vangelo, ad avere fiducia nel trionfo del bene e della verità e a confidare che Dio farà crescere ogni iniziativa destinata a diffondere il suo regno di santità, solidarietà, giustizia e pace”.