Fedeltà al Concilio
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:

«Chi crede non è mai solo, non lo è nella vita e neanche nella morte… Non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo… Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia…» [Benedetto XVI, Omelia di inizio pontificato, 24 aprile 2005].
“Sono affermazioni – Stefano Alberto su Il Riformista del 23 marzo 2009 – che aiutano a comprendere il senso profondo e la portata per tutta la Chiesa della recente Lettera ai Vescovi, che, senza nulla tacere delle difficoltà e degli errori, delle divisioni, perfino dell’odio, esprime tutta la passione per Cristo e per ogni uomo di Benedetto XVI, la coscienza viva del suo servizio, unico, alla Chiesa e al mondo, e l’intensità del suo magistero. Esso va ben oltre le puntuali precisazioni e chiarimenti del gesto di misericordia con cui è stata rimessa la scomunica, maturata nel mondo stesso dell’ordinazione illegittima dei quattro vescovi lefebvriani, con tutte le dolorose polemiche e confusioni che ne sono seguite.
Molti hanno notato che questo testo rappresenta un unicum nella storia non solo recente della Chiesa per lo stile (vicino a quello delle lettere paoline e dei Padri dei primi secoli cristiani, è stato osservato) e per il decisivo contenuto magisteriale. Il Papa stesso ha voluto chiarire, innanzitutto al collegio episcopale di cui è capo, che i problemi affrontati sono di natura “essenzialmente dottrinale” e riguardano “soprattutto l’accettazione del Concilio Vaticano II e del magistero post – conciliare dei Papi”.
Prima ancora di vagheggiare la necessità di un Vaticano III c’è ancora da portare a termine il delicato processo di ricezione del Vaticano II e soprattutto il rapporto tra il Concilio e la Tradizione della Chiesa. Se il magistero straordinario del Concilio e quello ordinario post-conciliare dei Papi è la garanzia del declinarsi della comunità in quanto vive, lo strumento più grande della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità. Si chiama Tradizione. La Tradizione è la coscienza della comunità che vive ora, ricca della memoria di tutta la sua vicenda storica. “Il Vaticano II – Benedetto XVI nella Lettera – porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa” per cui se nessuno può pretendere di “congelare l’autorità magisteriale della Chiesa al 1962”, cioè a prima del Concilio, non è ammesso nemmeno destrutturate della dogmatica l’interpretazione dottrinale del fondamento biblico perché la fedeltà al Concilio implica “la fede professata nel corso dee secoli”, senza “tagliare le radici di cui l’albero vive”. Queste non sono questioni riservate solo ai Vescovi o alla cerchia ristretta degli specialisti “addetti ai lavori”, perché in gioco c’è la natura stessa di tutto il popolo di Dio, della Chiesa e della sua missione verso l’uomo contemporaneo. Lo ricorda ai Vescovi con accenti accorati Benedetto XVI: “Nel nostro tempo in cui vaste zone della terra la fede è in pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio”, non a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme.
“C’è chi – osserva Stefano Alberto nell’articolo citato – ha voluto vedere in queste sobrie ed efficaci espressioni una sorta di mutamento, addirittura una “svolta”, rispetto alle indicazioni dell’importante discorso alla Curia del 2005. In quell’occasione il papa parlò della necessità di una ermeneutica del Concilio della continuità e della riforma, invece di una ermeneutica, che oggi sembra di fatto ancora dominante in vasti settori della chiesa, che interpreta l’“aggiornamento” del Vaticano II, la sua “apertura al mondo” come discontinuità rispetto alla tradizione precedente, quasi un nuovo inizio della Chiesa nella modernità”, appunto dal Concilio Vaticano II. Il cardinale Bagnasco, nella prolusione del 23 marzo al Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana ha bollato come “insolenti” coloro che vogliono “far dire al Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice”. Una tale lettura rischia di ridurre subito la forza magisteriale della Lettera papale, senza cogliere la vera posta in gioco, che è – sottolinea Stefano Alberti – il superamento della latente divisione nella Chiesa tra contenuto e metodo dell’annuncio cristiano.
Come superare oggi nella Chiesa la divisione tra contenuto e metodo dell’annuncio cristiano
Benedetto XVI, come è proprio di tutta la tradizione cattolica, punta all’e… e tra metodo e contenuto. Se richiama che il Vaticano II porta in sé l’intera storia dottrinale della Chiesa e quindi la fedeltà al Concilio implica la fede professata in continuità nel corso dei secoli non riduce la comprensione di questo solo a dogma, a dottrina, a precetti morali, senza ricordare l’orizzonte cioè che all’inizio dell’essere cristiani e di ogni testimonianza c’è l’avvenimento continuo dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo, che il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà, di non perseguire le mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della Parola e della volontà del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora difficile della nostra storia. Se accanto al contenuto dottrinale e morale non c’è il metodo unitario dell’avvenimento con l’incontro con Cristo prevalgono interpretazioni opinabili secondo criteri soggettivi inevitabilmente parziali, contrapposte (tradizionalismo fino al 1962, progressismo dal 1965, spiritualismo di chi per stare con tutti non da giudizi). In questo caso il metodo dell’ annuncio finisce per essere in relazione non con l’avvenimento dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo, sempre presente e operante in continuità nella fede professata in tutto il corso dei secoli fino al Vaticano II, al magistero post- conciliare, ma alle sue varie conseguenze, secondo le priorità dettate dalla contingenza storica ultimamente al potere e dall’attuale forza mass-mediatica.
Ma allora come Dio oggi, in continuità fin dagli apostoli, testimoni della presenza del Risorto nel Suo Corpo che è la Chiesa fondata sulla roccia petrina, non creatori con la loro fede della risurrezione, si rende presente, come parla ad ogni uomo, come gli manifesta il suo “amore spinto sino alla fine” suscitando quella fiducia affidabile che gli fa vivere con serenità anche un presente faticoso, senza dissolversi nel fare del criterio dell’utile, del piacere, del successo il criterio ultimo? Quante volte, come faceva con il suo carisma Giussani, Benedetto XVI usa la parola “incontro”, tante volte usata soprattutto nell’evangelizzare, nell’educare alla fede, nel trasmettere umanità, il suo pieno significato, quale appare dalla pagina paolina. Incontro qui significa un ingresso di Gesù risorto in noi, tale per cui siamo trasformati in Lui, viviamo in Lui e di Lui: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Vivo io, ma già non più io. In certo modo, mi viene tolto il mio io, e viene integrato in un Io più grande; ho ancora il mio io, ma trasformato e aperto agli altri, ecumenicamente, missionariamente, apostolicamente, mediante il mio inserimento nell’Altro: in Cristo, acquisto il mio nuovo spazio di vita e diventiamo uno in Cristo Gesù. E’ a questa priorità che Benedetto guarda giocandosi in prima persona e riproponendo con serena fermezza sia la novità dell’avvenimento cristiano nei tempi dell’affievolirsi della fede e del senso di appartenenza alla Chiesa e sia, alla luce del Concilio, la fede professata nel corso di tutti i secoli. In questo faticoso impegno soprattutto per la fede, per la speranza della vita veramente vita e per il Regno presente là dove Dio è amato e dove il suo amore ci raggiunge, Benedetto XVI è ben cosciente della missione affidata dal Signore stesso a Pietro e ai suoi successori: “Tu… conferma i tuoi fratelli” (Lc 22,32), anche vescovi come ha fatto nel magistero della sua Lettera. Questo connubio fra contenuto e metodo lo ha espresso nel discorso del 16 marzo alla Congregazione del clero: “Nel mistero dell’incarnazione del Verbo, nel fatto cioè che Dio si è fatto uomo come noi, sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio cristiano”. E questo è in continuità con l’inizio della prima Enciclica, citata nella Lettera ai Vescovi: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est, n.1).
Con la sua serenità, con la sua essenzialità e precisione di magistero, con la sua testimonianza di fede e di amore misericordioso, con lo struggente richiamo all’unità dei credenti, principale segno di credibilità dell’annuncio cristiano (da qui la priorità all’ecumenismo e la necessità del dialogo tra persone di religioni diverse), il Papa, fedele al carisma di Pietro, ripresenta attraverso la sua persona l’unità tra contenuto e metodo dell’annuncio: “E’ Lui, Cristo, a guidare la sua Chiesa”.
“La grande libertà di Benedetto XVI – conclude Stefano Alberto, docente di Introduzione alla teologia all’Università Cattolica di Milano – di accettare con amore il peso e l’impegno faticoso della sua missione unica, ma non solitaria, incurante dell’“ostilità pronta all’attacco”, è la vera garanzia della libertà e della speranza di ogni credente nella sequela di Cristo, e di ogni uomo sinceramente proteso nella fatica quotidiana del suo cammino al destino. E’ l’alternativa vera a “una libertà male interpretata”, sempre pronta a “mordere e divorare”, dentro e fuori la Chiesa”.