Per il Vaticano II rimane integro il primato della Cattedra di Pietro
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«Nell’odierna domenica cade la festa della Cattedra di san Pietro, importante ricorrenza liturgica che pone in luce il ministero del Successore del Principe degli Apostoli. La Cattedra di Pietro simboleggia l’autorità del Vescovo di Roma, chiamato a svolgere un peculiare servizio nei confronti dell’intero Popolo di Dio. Subito dopo il martirio dei santi Pietro e Paolo, alla Chiesa di Roma venne infatti riconosciuto il ruolo primaziale in tutta la comunità cattolica, ruolo attestato già nel II secolo da sant’Ignazio di Antiochia (Ai Romani, Funk, I,252) e da sant’Ireneo di Lione (Contro le eresie III, 3,2-3). Questo singolare e specifico ministero del Vescovo di Roma è stato ribadito dal Concilio Vaticano II. “Nella comunione ecclesiastica, – leggiamo nella costituzione dogmatica sulla Chiesa – vi sono legittimamente delle Chiese particolari, che godono di proprie tradizioni, rimanendo integro il primato della Cattedra di Pietro, la quale presiede alla comunione universale della carità, tutela le varietà legittime, e insieme veglia affinché ciò che è particolare, non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva” (Lumen gentium, 13)» [Benedetto XVI, Angelus 22 febbraio 2009].
La dottrina di fede del singolare e specifico ministero petrino del vescovo di Roma
Gesù Cristo, a servizio del suo Corpo di crocifisso risorto cioè della Chiesa universale, ha istituito il ministero della successione apostolica con il Collegio episcopale presieduto dalla autorità del Vescovo della Chiesa locale di Roma, affidando la funzione di insegnare, santificare e governare nel suo nome e con la sua autorità. Presentare la comunione istituzionale e gerarchica come il risultato di vicissitudini storiche o lotte di potere nell’ambito religioso è contrario alla verità storica e alla fede della Chiesa.
Ma alcuni autori difendono e diffondono, attraverso i mezzi della comunicazione sociale, concezioni erronee provocando un dissenso silenzioso che estende disaffezione verso la Chiesa, atteggiamenti critici soprattutto verso l’autorità del Vescovo di Roma, giustificando il dissenso come se un cristiano non potesse essere adulto senza prendere una certa distanza dagli insegnamenti magisteriali. Ad avvallare questo atteggiamento, con un metodo esegetico scorretto cioè non conforme alla interpretazione delle Scritture alla luce della tradizione e quindi non teologico, si esclude la volontà di Cristo. Si interpreta la testimonianza biblica selezionando alcuni testi ed elementi e dimenticandone altri. Si parla di “modelli di Chiesa” che sarebbero ugualmente presenti nel Nuovo Testamento: di fronte alla Chiesa delle origini, autenticamente evangelica, “caratterizzata dal discepolato e dal carisma”, libera da vincoli, sarebbe nata poi la Chiesa “istituzionale e gerarchica”. Il modello di Chiesa “gerarchica, legale, piramidale (collegio episcopale presieduto dalla autorità del vescovo di Roma)”, sorto successivamente, sarebbe distante dalle affermazioni neotestamentarie, che porrebbero l’accento sulla comunità e pluralità dei carismi e ministeri, così come sulla fraternità cristiana, intesa nel suo complesso come sacerdotale e consacrata. Questo modo di presentare la Chiesa non ha fondamento reale nella Sacra Scrittura né nella trazione ecclesiale e deforma gravemente il disegno perenne di Dio sul Corpo di Cristo che è la Chiesa, portando i fedeli, i sacerdoti, i consacrati su posizioni di scontro dialettico. Si rivive la situazione un po’ triste della comunità dei Galati quando Paolo dice: “Se vi mordete e vi divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni con gli altri… Camminate secondo lo Spirito”. Questo scontro dialettico trova appoggio in membri di centri accademici e in alcune case editrici e librerie gestite da istituzioni cattoliche. Non si è più sulla strada di una vera comunione con Cristo, ma della legge esteriore della “carne”, dell’esaltazione creativa del proprio io. “Vediamo bene – Benedetto XVI, Visita al Seminario Maggiore di Roma, 20/02/2009 – che anche oggi ci sono cose simili dove, invece di inserirsi nella comunione con Cristo, nel Corpo di Cristo che è la Chiesa, ognuno vuol essere superiore all’altro e con arroganza intellettuale vuol far credere che lui sarebbe migliore. E così nascono le polemiche che sono distruttive, nasce una caricatura della Chiesa, che dovrebbe essere un’anima sola ed un cuore solo”.
Conoscendo molto bene la dottrina di fede del primato è importante oggi soffermarci non sulla dialettica ma sul fatto che realmente il Successore di Pietro, il ministero di Pietro, garantisce l’universalità cioè la cattolicità della Chiesa, questa trascendenza su nazionalismi e su altre frontiere che esistono nell’umanità di oggi, per essere realmente una Chiesa nella diversità e nella ricchezza di tante culture
Oggi anche altre comunità ecclesiali, prive del singolare e specifico ministero del vescovo di Roma, “avvertono – Benedetto XVI con il Clero romano di giovedì 26 febbraio 2009 – il bisogno di un punto unificante per non cadere nel nazionalismo, nell’identificazione con una determinata cultura, per essere realmente aperti, tutti e per tutti e per essere quasi costretti ad aprirsi sempre verso tutti gli altri. Mi sembra che questo sia il ministero fondamentale del Successore di Pietro: garantire questa cattolicità che implica molteplicità, diversità, ricchezza di culture, rispetto delle diversità e che, nello stesso tempo, esclude assolutizzazione e unisce tutti, li obbliga ad aprirsi, ad uscire dall’assolutizzazione del proprio per trovarsi nell’unità della famiglia di Dio che il Signore ha voluto e per la quale garantisce il Successore di Pietro, come unità nella diversità.
“Naturalmente la Chiesa del Successore di Pietro deve portare, con il suo vescovo, questo peso, questa gioia del dono della sua responsabilità. Nell’Apocalisse il vescovo appare infatti come angelo della sua Chiesa, cioè un po’ come l’incorporazione della sua Chiesa, alla quale deve rispondere l’essere della Chiesa stessa. Quindi la Chiesa di Roma, insieme con il Successore di Pietro e come sua Chiesa particolare, deve garantire proprio questa universalità, questa apertura, questa responsabilità per la trascendenza dell’amore, questo presiedere nell’amore che esclude particolarismi. Deve garantire la fedeltà alla Parola del Signore, al dono della fede, che non abbiamo inventato noi ma che è realmente il dono che solo da Dio stesso poteva venire. Questo è e sarà sempre il dovere, ma anche il privilegio, della Chiesa di Roma, contro le mode, contro i particolarismi, contro l’assolutizzazione di alcuni aspetti, contro eresie che sono sempre assolutizzazioni di un aspetto. Anche il dovere di garantire l’universalità e la fedeltà all’integralità, alla ricchezza della sua fede, del suo cammino nella storia che si apre sempre al futuro. E insieme con questa testimonianza della fede e dell’universalità, naturalmente deve dare l’esempio della carità.
“Così ci dice sant’Ignazio, identificando in questa parola un po’ enigmatica, il sacramento dell’Eucaristia, l’azione dell’amare gli altri. E questo, per tornare la punto precedente, è molto importante: cioè questa identificazione con l’Eucaristia che è agape, è carità, è la presenza della carità (trinitaria) che si è donata in Cristo. Deve sempre essere carità, segno e causa di carità nell’aprirsi verso gli altri, di questo donarsi agli altri, di questa responsabilità verso i bisognosi, verso i poveri, verso i dimenticati. Questa è una grande responsabilità.
“Al presiedere nell’Eucaristia segue il presiedere nella carità, che può essere testimoniata solo dalla comunità stessa. Questo mi sembra il grande compito, la grande domanda per la Chiesa di Roma: essere realmente esempio e punto di partenza della carità. In questo senso è presidio della carità.
“Nel presbiterio di Roma – ha concluso il santo Padre – siamo di tutti i continenti, di tutte le razze, di tutte le filosofie e di tutte le culture. Sono lieto che proprio il presbiterio di Roma esprima l’universalità, nell’unità della piccola Chiesa locale la presenza della Chiesa universale. Più difficile ed esigente è essere anche realmente portatori della testimonianza, della carità, dello stare tra gli altri con il nostro Signore. Possiamo solo pregare il Signore che ci aiuti nelle singole parrocchie, nelle singole comunità, e che tutti insieme possiamo essere realmente fedeli a questo dono, a questo mandato: presiedere nella carità”.
In base alla natura intrinseca del singolare e specifico ministero petrino il Papa deve mantenere sempre desta per tutti la sensibilità per la verità, l’amicizia con l’intelligenza
Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere in ambito biblico, nella scienza teologica, nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità di ogni uomo, e di questo possiamo essere solo grati. Ma il cammino di ricerca della verità da parte dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale soprattutto a livello antropologico con le biotecnologie, le biopolitiche della tecnoscienza! Il pericolo del mondo occidentale – per parlare solo di questo – è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere si consideri un semplice prodotto della natura fisica e si arrenda davanti alla questione della verità, del bene, di Dio. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi capace del suo vero compito di ricerca della verità e del bene, si degradi in positivismo e la teologia davanti ad un cristianesimo che proprio nel luogo della sua originaria diffusione, in Europa, incontra una crisi profonda, basata sulla crisi della sua pretesa di verità, si riduca a esegesi biblica positiva. Questa crisi ha una duplice dimensione:
- la sfiducia riguardo alla possibilità per ogni uomo di conoscere la verità e quindi di mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro. Il magistero pontificio, con la Fides et ratio, rende attuale l’emancipazione dei semplici operata da Gesù che ha rivendicato anche per loro la facoltà di essere, nel vero senso della parola, “filosofi”; vale a dire, di comprendere ciò che è proprio e peculiare di ogni uomo altrettanto bene quanto lo comprendono i dotti; anzi, meglio dei dotti soprattutto oggi. Le parole di Gesù sulla stoltezza dei sapienti e sulla sapienza dei piccoli (Mt 11,25) e paralleli) hanno proprio questo scopo, anzi questa attualità: il cristianesimo come religione popolare, come una religione in cui non vive un sistema a due classi.
- I dubbi che le scienze moderne empiriche, naturali e storiche divenute egemoni nell’analisi solo storico critica delle Scritture, sollevano riguardo ai contenuti e alle origini del cristianesimo. Ma l’annuncio della presenza del risorto, del Dio che possiede un volto umano nel suo Corpo che è la Chiesa, il saperlo e quindi il vederlo con gli occhi della fede, della speranza, dell’amore per ogni singolo e per l’umanità nel suo insieme, è il criterio fondamentale della teologia e non la scienza teologica il criterio dell’annuncio. Non a tutti gli uomini è permesso di dedicarsi alla scienza biblica e alla scienza teologica; a tutti, però, è aperta la via alle intuizioni di fondo alla luce del Compendio e del Catechismo della Chiesa cattolica. E nell’incertezza di questo periodo storico e di questa società secolarizzata, la certezza della fede completa della Chiesa offerta dallo specifico e singolare magistero pontificio, la sua chiarezza e bellezza rendono luminosa la vita dell’uomo anche oggi. Pienamente accolta questa fede completa della Chiesa, vissuta e pensata diviene continuamente cultura e quindi politica. E il magistero pontificio difende la fede comune, in cui non vi è differenza di classe tra dotti e semplici. L’affermazione che la Chiesa con il suo ministero pastorale è abilitata all’annuncio e non all’insegnamento della teologia scientifica è certamente corretta. Ma il ministero pontificio dell’annuncio, cui si rifanno i vescovi in comunione personale e collegiale con il Papa, si impone anche per la teologia. Alla luce conciliare del n. 12 della Dei Verbum dove la teologia non è essenzialmente interpretazione della Scrittura nella Chiesa, questa teologia e la conseguente catechesi, pastorale non ha più fondamento, non è più l’anima del vissuto cristiano, ma dove l’esegesi scientifica, la Lectio divina non è intelligenza profonda ispirata e trasmessa dalla Tradizione viva della Chiesa garantita dal Magistero dei Vescovi in comunione con il Papa non è teologia, non può essere catechesi, pastorale.