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Benedetto XVI e la Shoah

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Qualsiasi attacco agli ebrei o all’ebraismo è un attacco alla Chiesa e a Benedetto XVI

«La storia bimillenaria del rapporto fra l’ebraismo e la Chiesa ha attraversato molte diverse fasi, alcune delle quali dolorose da ricordare. Ora che possiamo incontrarci in spirito di riconciliazione, non dobbiamo permettere alle difficoltà passate di trattenerci dal porgerci reciprocamente la mano dell’amicizia. Infatti, quale famiglia non è mai stata attraversata da tensioni di un tipo o dell’altro? La Dichiarazione del Concilio Vaticano II Nostra aetate è stata una pietra miliare lungo il cammino verso la riconciliazione e ha chiaramente evidenziato i principi che hanno governato da allora l’atteggiamento della Chiesa nella relazione fra cristiani ed ebrei.
L’odio e il disprezzo per uomini, donne e bambini manifestati nella Shoah sono stati un crimine contro Dio e l’umanità. Questo dovrebbe essere chiaro a tutti, in particolare a quanti appartengono alla (stessa) tradizione delle Sacre Scritture, secondo le quali ogni essere umano è creato a immagine e somiglianza di Dio (Genesi 1,26-27). E’ ovvio che qualsiasi negazione o minimizzazione di questo terribile crimine è intollerabile e del tutto inaccettabile. Di recente, in un’udienza pubblica, ho affermato che la Shoah (o volontà di schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità) deve essere un “monito contro l’oblio, contro la negazione o il riduzionismo, perché la violenza fatta contro un solo essere umano è violenza contro tutti” (28 gennaio 2009). Questo capitolo della nostra storia non dovrà mai essere dimenticato» [Benedetto XVI, Agli esponenti delle maggiori organizzazioni ebraiche americane, 12 febbraio 2009].

Perché qualsiasi attacco agli ebrei e all’ebraismo è un attacco alla Chiesa e a Benedetto XVI?
Nel suo libro Gesù di Nazareth, richiamando il n. 12 della Costituzione sulla Divina Rivelazione del Concilio Vaticano II secondo cui chi vuole comprendere la Scrittura nello spirito in cui è stata scritta, ispirata, deve badare al contenuto e all’unità dell’intera Scrittura, Benedetto XVI ne dà il motivo teologico che qualsiasi attacco agli ebrei e all’ebraismo è un attacco alla Chiesa. “Soffermiamoci dapprima sull’unità della Scrittura. E’ un dato teologico che non è, tuttavia, attribuito solo dall’esterno a un insieme eterogeneo di scritti. L’esegesi moderna ha mostrato come le parole trasmesse nella Bibbia divengano Scrittura attraverso un processo di sempre nuove riletture: i testi antichi, in una situazione nuova, vengono ripresi, compresi e letti in modo nuovo. Nella lettura, nella lettura progrediente, mediante correzioni, approfondimenti e ampliamenti taciti, la formazione della Scrittura si configura come un processo delle parole che a poco a poco dischiude le sue potenzialità interiori, che in qualche modo erano presenti come semi, ma si aprono solo di fronte alla sfida di nuove situazioni, nuove esperienze e nuove sofferenze”.
“Chi osserva questo processo – certamente non lineare, spesso drammatico e tuttavia in progresso – a partire da Gesù Cristo può riconoscere che nell’insieme c’è una direzione, che l’Antico e il Nuovo Testamento sono intimamente collegati tra loro. Certo, l’ermeneutica cristologica, che in Gesù Cristo vede la chiave del tutto e, partendo da Lui, apprende a capire la Bibbia come unità, presuppone una scelta di fede e non può derivare dal puro metodo storico. Ma questa scelta di fede ha dalla sua la ragione – una ragione storica – e permette di vedere l’intima unità della Scrittura e di capire così in modo nuovo anche i singoli tratti di strada, senza togliere loro la propria originalità storica” (pp. 14-15).
Entrando Benedetto XVI nel maggio del 2006 nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, in quel luogo di orrore, scenario di indicibile sofferenza, ha meditato sugli innumerevoli prigionieri di quel campo e di tutti i campi di prigionia. Su quei figli di Abramo, colpiti dal lutto e spaventosamente umiliati, avevano ben poco da sostenersi oltre alla propria fede nel Tu perenne, vicino, di Dio fin dai loro padri, una fede che noi cristiani condividiamo con questi nostri fratelli e sorelle. Come comprendere l’enormità di ciò che è accaduto in quelle prigioni infami? L’intero genere umano prova una profonda vergogna per la brutalità selvaggia mostrata allora verso il popolo ebreo e quindi verso la Chiesa. Benedetto XVI ha ripetuto quanto aveva detto in quella triste occasione: “I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall’elenco dei popoli della terra (perché puntava ad eliminare la Chiesa). Allora le parole del Salmo: “Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello” si verificarono in modo terribile”.
A questo punto Benedetto XVI, ricordando l’annuale visita in Israele della Leadership Mission, ha fatto l’annuncio ufficiale: “Anch’io mi sto preparando a visitare Israele, una terra che è santa cioè particolarmente di Dio per i cristiani e per gli ebrei, poiché le radici della nostra fede si trovano lì. Infatti, la Chiesa trae sostentamento dalla radice di quel buon albero di olivo, il popolo di Israele, su cui sono innestati i rami di olivo selvatico dei Gentili (Romani 11,17-24). Fin dai primi giorni del cristianesimo, la nostra identità e ogni aspetto della nostra vita e del nostro culto sono intimamente legati all’antica religione dei nostri padri nella fede”.

Vincoli ancor più stretti fra cattolici ed ebrei
Nel saluto il Rabbino Arthur Schneier ha ringraziato Benedetto XVI perché comprende il dolore degli ebrei ed è contro la negazione o il riduzionismo della Shoah: “Nell’autunno della nostra vita dobbiamo trasmettere alle future generazioni il “mai più” raccontando loro la Shoah. Ciò può essere un appello alla coscienza e farci risvegliare dal sonno dell’indifferenza di fronte alla minaccia di genocidio ai giorni nostri. Santità, grazie alla Nostra aetate abbiamo potuto guarire le ferite del passato e giungere alla riconciliazione fra la Chiesa e la comunità ebraica. Il suo impegno personale e quello del Papa Giovanni Paolo II, di venerata memoria, per “abbracciare il fratello maggiore” ci ha dato ulteriore incoraggiamento a creare vincoli ancora più stretti fra cattolici ed ebrei in tutto il mondo. Santità, la ringraziamo per esserci ripetutamente vicino mentre affrontiamo la nuova piaga dell’antisemitismo, la profanazione e l’incendio delle sinagoghe”.
La Chiesa è profondamente e irrevocabilmente impegnata a rifiutare ogni forma di antisemitismo e a continuare a costruire relazioni buone e durature fra le due comunità. “Una particolare immagine – ha concluso Benedetto XVI – che esprime questo impegno è quella del momento in cui il mio amato predecessore Papa Giovanni Paolo II ha sostato presso il Muro occidentale di Gerusalemme, implorando il perdono di Dio dopo tutta l’ingiustizia che il popolo ebraico aveva dovuto subire. Ora faccio mia la sua preghiera: “Dio dei nostri padri, tu hai scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome fosse portato alle genti: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi suoi figli, e chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un’autentica fraternità con il popolo dell’Alleanza. Per Cristo nostro Signore” (26 marzo 2000). Il ricordo, come dice giustamente, è memoria futuri, un ammonimento a noi per il futuro e un monito a lottare per la riconciliazione. Ricordare significa fare tutto il possibile per prevenire qualsiasi recrudescenza di questa catastrofe nella famiglia umana, edificando ponti di amicizia duratura. Prego con fervore affinché il ricordo di questo crimine orrendo rafforzi la nostra determinazione a guarire le ferite che da troppo tempo affliggono le relazioni fra cristiani ed ebrei. Desidero sinceramente che la nostra amicizia diventi sempre più forte affinché l’impegno irrevocabile della Chiesa per relazioni rispettose e armoniose con il Popolo dell’Alleanza portino frutti abbondanti”.

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