Il dolore innocente
- Autore:
- Curatore:
- Fonte:
La vita umana è bella e va vissuta in pienezza anche quando è debole e avvolta dal mistero della sofferenza

«La Giornata Mondiale del Malato, che ricorre il prossimo 11 febbraio, memoria liturgica della Beata Maria Vergine di Lourdes, vedrà le Comunità diocesane riunirsi con i propri Vescovi in momenti di preghiera, per riflettere e decidere iniziative di sensibilizzazione circa la realtà della sofferenza. L’Anno Paolino, che stiamo celebrando, offre l’occasione propizia per soffermarsi a meditare con l’Apostolo Paolo sul fatto che, “come abbondano le sofferenze di Cristo abbonda anche la nostra consolazione” (2 Cor 1,5). Il collegamento spirituale con Lourdes richiama inoltre alla mente la materna sollecitudine della Madre di Gesù per i fratelli del suo Figlio “ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata” (Lumen gentium, 62)» [Benedetto XVI, Messaggio per la 17 Giornata Mondiale del Malato, 11 febbraio 2009].
Possiamo cercare di limitare la sofferenza, di lottare contro di essa, ma non possiamo eliminarla
Proprio là dove gli uomini, nel tentativo di evitare ogni sofferenza, cercano di sottrarsi a tutto ciò che potrebbe significare patimento, là dove vogliono risparmiarsi la fatica e il dolore della verità dell’amore, del bene, scivolano in una vita vuota, nella quale forse non esiste più il dolore, ma si ha maggiormente l’oscura sensazione della mancanza di senso e della solitudine. Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l’uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare, di trovare senso mediante l’unione con Cristo, che ha sofferto con infinito amore, accettando per amore di lasciarsi uccidere in Croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che diventa attuale in ogni celebrazione eucaristica e che ci dà la vita, ci libera e ci salva. Benedetto XVI, nell’Anno Paolino, ci invita ad assimilare come l’Apostolo di Cristo ha conseguito il premio della pazienza, addirittura la serenità nella sofferenza. Arrestato sette volte, esiliato, lapidato sostenne il martirio, divenendo il più grande modello si pazienza nel dolore. La pazienza è espressione della sua comunione alla passione di Cristo, della generosità e costanza con la quale ha accettato un lungo cammino di sofferenza, così da poter dire: “Io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo” (Gal 6,17). La consapevolezza della vicinanza del Crocefisso risorto e della materna sollecitudine della Sua e nostra Madre, come ha rivelato a Bernardette, a tutti noi ancora pellegrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni trasforma le tenebre in luce. La sofferenza, i tormenti restano terribili e quasi insopportabili ma hanno la possibilità di diventare luoghi di promozione e di esercizio, stelle della speranza affidabile in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente, anche faticoso: l’ancora del cuore giunge fino al trono di Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati fino alla fine, fino alla Croce: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Non viene scatenato il male nell’uomo, ma vince la luce: la sofferenza – senza cessare di essere sofferenza da alleviare per quanto è possibile – diventa nonostante tutto per la meta così grande di cui siamo sicuri e che giustifica la fatica del cammino di vita, un canto di lode: scoppio dalla gioia in tutte le mie tribolazioni, grida Paolo!
Impedire, oggi, per quanto possibile soprattutto la sofferenza dei bambini
La sofferenza non è semplicemente un incidente ma occorre prepararsi, attraverso l’educazione, a saperne cogliere il senso perché fa parte di ogni esistenza umana. Essa deriva, da una parte, dalla nostra finitezza, dall’altra dalla massa di colpa che, nel corso della storia, si è accumulata e anche nel presente cresce in modo inarrestabile. Certamente l’amore di Dio che ci raggiunge cioè il Suo Regno ci spinge a fare tutto il possibile per diminuire la sofferenza, calmare i dolori, aiutare a superare le sofferenze psichiche ma soprattutto – quest’anno dice il Santo Padre – a volgere la nostra attenzione particolarmente ai bambini, le creature più deboli e indifese e, tra questi, ai bambini malati e sofferenti. Ci sono piccoli esseri umani che portano nel corpo le conseguenze di malattie invalidanti, ed altri che lottano con mali oggi ancora incurabili nonostante il progresso della medicina e l’assistenza di validi ricercatori e professionisti. Ci sono bambini feriti nel corpo e nell’anima a seguito di conflitti e guerre, ed altri vittime innocenti dell’dio di insensate persone adulte. Ci sono ragazzi “di strada”, privati del calore di una famiglia e abbandonati a se stessi, e minori profanati da gente abietta che ne viola l’innocenza, provocando in loro una piaga psicologica che li seguirà per il resto della vita. Non possiamo poi dimenticare l’incalcolabile numero dei minori che muoiono a causa della sete, della fame, della carenza di assistenza sanitaria, come pure i piccoli esuli e profughi della propria terra con i loro genitori alla ricerca di migliori condizioni di vita. Da tutti questi bambini si leva un silenzioso grido di dolore che interpella la nostra coscienza di uomini e di credenti: non possiamo non adottarne almeno uno! La comunità cristiana che nella giornata del malato ravviva la preghiera, riflette e decide iniziative di sensibilizzazione, quest’anno, su questi bambini, quindi non può restare indifferente dinnanzi a così drammatiche situazioni e avverte impellente il dovere di intervenire. La Chiesa è la famiglia di Dio Padre di tutti nel mondo. In questa famiglia non deve esserci nessuno che soffra per mancanza del necessario. Comunità parrocchiali e diocesane prendono sempre più coscienza di essere “famiglia di Dio” che incoraggia e rende percepibile nei villaggi, nei quartieri e nelle città l’amore del Signore, il quale chiede che nel Suo corpo, tra i suoi, nella Chiesa stessa, in quanto famiglia sua, nessun membro soffra perché nel bisogno. La testimonianza della carità fa parte della vita stessa, è il suo regno che non è un al di là immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge. E fin dall’inizio la Chiesa ha tradotto in gesti concreti i principi evangelici, come leggiamo negli Atti degli Apostoli. La forte unità che si è realizzata nella Chiesa dei primi secoli tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico – romano. Così è avvenuto in continuità o tradizione in diversi contesti culturali e situazioni storiche. Oggi, date le mutate condizioni dell’assistenza sanitaria, si avverte il bisogno di una più stretta collaborazione tra i professionisti della salute operanti nelle diverse istituzioni sanitarie e le comunità ecclesiali presenti nel territorio, com’è, per esempio, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che celebra quest’anno i 140 anni di vita, collegato con la Santa Sede.
Le comunità cristiane non possono non farsi carico anche di aiutare i nuclei familiari colpiti dalla malattia di un figlio o di una figlia
Il bambino malato appartiene ad una famiglia che ne condivide la sofferenza spesso con gravi disagi e difficoltà. Sull’icona del Risorto presente oggi come “Buon Samaritano” attraverso i suoi occorre chinarsi sulle persone così duramente provate e offrire loro il sostegno di una concreta solidarietà. In tal modo, l’accettazione e la condivisione della sofferenza si traduce in un utile supporto alle famiglie dei bambini malati, creando al loro interno un clima di serenità e di speranza, e facendo sentire attorno a loro una più vasta famiglia di fratelli e sorelle in Cristo. Attraverso i suoi il Risorto, presente qui e ora, rende attuale la compassione che nella sua fase terrena ha provato allora per il pianto della vedova di Nain (Lc 7,12-17) e per l’implorante preghiera di Giairo (Lc 8,41-56): sono, tra gli altri, punti di riferimento per una luce e per una forza che spinge a condividere i momenti di pena fisica e morale di tante famiglie provate. E siccome il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perder lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto, ci fa toccare con mano l’amore misericordioso di Dio, che mai abbandona i suoi figli nella prova, ma sempre li rifornisce di mirabili risorse di cuore e di intelligenza per essere in grado di fronteggiare adeguatamente le difficoltà della vita.
Amore per ogni vita umana, in particolare per la vita di chi è debole e in tutto e per tutto dipendente dagli altri
La dedizione quotidiana e l’impegno senza sosta al servizio dei bambini malati costituiscono un’eloquente testimonianza di amore per la vita umana, in particolare per la vita di chi è debole e in tutto e per tutto dipendente dagli altri. Soprattutto oggi, di fronte a chi è tentato di ridurre ogni essere umano a semplice prodotto della natura, suscettibile di essere trattato come ogni altro animale, senza libertà e dignità personale, occorre affermare con vigore l’assoluta e suprema dignità di ogni persona umana. Non muta, con il trascorrere dei tempi, l’insegnamento che la Chiesa incessantemente proclama e che la ragione comprende: ogni vita umana è bella, è un dono unico e irripetibile del Creatore nel suo essere e va vissuta con gratitudine anche quando è debole ed avvolta nel mistero della sofferenza. E’ a Gesù crocifisso che si lascia uccidere per amore nostro, di ogni singolo e di tutta l’umanità, che dobbiamo volgere il nostro sguardo: Dio che è l’amore più forte della morte, una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte come noi, figli nel Figlio non possiamo soccombere: in concreto nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato la propria morte in Croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci salva. Nel suo soffrire e risorgere per amore, per essere vicino ad ogni io che soffre intravediamo una suprema compartecipazione alle pene di tutti, degli innocenti, dei piccoli e dei loro genitori in particolare. Giovanni Paolo II ha accettato pazientemente la sofferenze e ha offerto un esempio luminoso specialmente al tramonto della sua vita, anticipandolo nel suo magistero: “Sulla croce sta il “Redentore di ogni uomo”, l’Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell’amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi” (Salvifici doloris, 31).
“Concludendo – così termina il Messaggio 2009 di Benedetto XVI –, vorrei esprimere la mia vicinanza spirituale a tutti voi, cari fratelli e sorelle, che soffrite in qualche malattia. Rivolgo un affettuoso saluto a quanti vi assistono: ai Vescovi, ai sacerdoti, alle persone consacrate, agli operatori sanitari, ai volontari e a tutti coloro che si dedicano con amore a curare e alleviare le sofferenze di chi è alle prese con la malattia. Un saluto tutto speciale è per voi, cari bambini malati e sofferenti: il Papa vi abbraccia con affetto paterno insieme con i vostri genitori e familiari, e vi assicura uno speciale ricordo nella preghiera invitandovi a confidare nel materno aiuto dell’Immacolata Vergine Maria, che nel passato Natale abbiamo ancora una volta contemplato mentre stringe con gioia tra le braccia il Figlio di Dio fatto bambino.”