Gli errori dello Gnosticismo
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«Le Lettere indirizzate ai due pastori Timoteo e Tito, collaboratori stretti di san Paolo, occupano un posto tutto particolare all’interno del Nuovo Testamento. La maggioranza degli esegeti è oggi del parere che queste Lettere non sarebbero state scritte da Paolo stesso, ma la loro origine sarebbe nella “scuola di Paolo”, e rifletterebbe la sua eredità per una nuova generazione, forse integrando qualche breve scritto o parola dell’Apostolo stesso. Ad esempio, alcune parole della Seconda Lettera a Timoteo appaiono talmente autentiche da poter venire solo dal cuore e dalla bocca dell’Apostolo.
Senza dubbio la situazione ecclesiale che emerge da queste Lettere è diversa da quella degli anni centrali della vita di Paolo. Egli stesso, in retrospettiva si autodefinisce “araldo, apostolo, maestro” dei pagani nella fede e nella carità (1 Tm 2,7; 2 Tm 1,11); si presenta come uno che ha ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo – così scrive – “ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta la sua magnanimità, perché io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in Lui per avere la vita eterna” (1 Tm 1,16). Quindi essenziale è che realmente in Paolo, persecutore convertito dalla presenza del Risorto , appare la magnanimità del Signore a incoraggiamento per noi, per indurci a sperare e ad avere fiducia nella misericordia del Signore che, nonostante la nostra piccolezza, può fare cose grandi. Oltre gli anni centrali della vita di Paolo vanno anche i nuovi contesti culturali qui presupposti. Infatti si fa allusione all’insorgenza di insegnamenti da considerare del tutto errati e falsi (1 Tm 4,1-2; 2 Tm 3,1-5), come quelli di chi pretendeva che il matrimonio non fosse buono (1 Tm 4,3). Vediamo come sia moderna questa preoccupazione, perché anche oggi si legge a volte la Scrittura come oggetto di curiosità storica e non come parola (ininterrotta o tradizione) dello Spirito Santo, nella quale possiamo sentire la stessa voce del Signore e conoscere sia la presenza (e sia la sua azione continua, tramandata) nella storia. Potremmo dire che, con questo breve elenco di errori presenti nelle tre Lettere, appaiono anticipati alcuni tratti di quel successivo orientamento erroneo che va sotto il nome di Gnosticismo (1 Tm 2, 5-6; 2 Tm 3, 6-8)» [Benedetto XVI,Udienza Pubblica, 28 gennaio 2009]
Lettura spirituale della Scrittura (2 Tm 3, 14-17), cioè una lettura che la considera realmente come “ispirata” e proveniente dallo Spirito Santo, così che da essa si può essere”istruiti per la salvezza”
La Scrittura va giustamente letta
- Ponendosi personalmente in colloquio con lo Spirito Santo poiché la presenza ininterrotta del Risorto nel suo corpo che è la Chiesa infonde in chi lo incontra ciò che di più intimo, di più proprio c’è in Lui, il suo stesso Spirito “per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia” (2 Tm 3,16). In questo senso aggiunge la Lettera: “perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Tm 3,17). E’ la dimensione soggettiva, personale, di ogni io unico nel proprio e altrui essere dono del Donatore divino (senso religioso originario, naturale) sempre in connubio, indisgiungibile con quella dimensione oggettiva, apostolica, tramandata in continuità nella Chiesa.
- L’altro richiamo consiste nell’accenno alla dimensione oggettiva, apostolica, tramandata in continuità nella Chiesa cioè al buon “deposito” (parathéke): è una parola speciale delle Lettere pastorali con cui si indica la tradizione della fede apostolica da custodire con l’aiuto dello Spirito Santo che abita in noi. Questo cosiddetto “deposito” è quindi da considerare come l’essenziale nella gerarchia delle verità di fede, la somma della Tradizione apostolica e come criterio di fedeltà all’annuncio del Vangelo. E qui dobbiamo tenere presente che nelle Lettere pastorali come in tutto il Nuovo Testamento, il termine “Scritture” significa esplicitamente l’Antico Testamento, perché gli scritti ispirati del Nuovo testamento o non c’erano ancora o non facevano ancora parte di un canone della Scritture. Quindi la Tradizione dell’annuncio apostolico, questo “deposito” cui Paolo si rifà soprattutto per annunciare la morte e la risurrezione e l’istituzione dell’Eucaristia che forma il corpo del Risorto, la Chiesa fin dal Cenacolo, è la chiave di lettura di fede per capire la Scrittura, il Nuovo Testamento partendo da Cristo e per apprendere a capire la Bibbia come intima unità e capire così in modo nuovo anche i singoli tratti di strada, senza togliere loro la propria originalità storica. In questo senso, Scrittura e Tradizione, Scrittura nella Tradizione, Scrittura e annuncio apostolico come chiave di lettura, vengono accostate e quasi si fondono, per formare insieme il “fondamento saldo gettato da Dio” (2 Tm 2,19). L’annuncio apostolico cioè la Tradizione, è necessario per introdursi nella comprensione della Scrittura e cogliervi in continuità, fino ad oggi e per sempre, la voce di Cristo, la presenza e l’azione sacramentale del Risorto. Occorre infatti essere “tenacemente ancorati alla parola degna di fede, quella conforme agli insegnamenti ricevuti (Tt 1,9). Alla base di tutto c’è appunto la fede nella bontà di Dio Padre, il quale in Gesù Cristo, il Dio che possiede un volto umano e che morto e risorto, presente, ci ha amati, ci ama, ogni singolo e l’umanità nel suo insieme, ha manifestato il suo “amore per gli uomini”, un amore che nel testo originale greco è significativamente qualificato come filanthropìa (Tt 3,4; 2 Tm 1,9-10); Dio ama l’umanità.
Nell’insieme, si vede bene che la comunità cristiana va configurandosi in termini molto netti di vissuto fraterno di comunione autorevolmente guidata, secondo una identità che non solo prende le distanze da interpretazioni incongrue, ma soprattutto afferma il proprio ancoraggio ai punti essenziali della fede, che qui è sinonimo di “verità” e non di consuetudine (1 Rm 2,4.7; 4,3; 6,5; 2 Tm 2,15.18.25; 3,7.8; 4,4; Tt 1,1.14). Nella fede emerge l’evidenza della realtà in tutti i fattori cioè la verità essenziale di chi siamo noi, di chi è Dio e come dobbiamo vivere per arrivare alla meta. E di questa verità (la verità della fede) la Chiesa è definita “colonna e sostegno” (1 Tm 3,15). Il legame tra l’unico Dio creatore e redentore universale e il solo popolo giudaico viene superato dal cristianesimo e san Paolo annuncia che il legame di Dio con il solo popolo giudaico è superato: l’unico Dio, Padre, Figlio, Spirito Santo si pone come salvatore, senza discriminazioni, di tutti i popoli. La Chiesa come “colonna e sostegno” resta una comunità aperta, dal respiro universale, la quale prega per tutti gli uomini di ogni ordine e grado, perché tutti giungano alla conoscenza della verità, perché “Gesù Cristo ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2,4-5). Quindi il senso dell’universalità, anche se le comunità sono ancora piccole numericamente, è forte e determinante per queste Lettere. Inoltre tale comunità cristiana “non parla male di nessuno” e “mostra ogni dolcezza verso tutti gli uomini” (Tt 3,2). Questa è una prima componente importante di queste Lettere: l’universalità e la fede come verità, come chiave di lettura della Sacra Scrittura, dell’Antico Testamento che fa appello all’intelligenza, perché svela ad ogni uomo la verità del suo destino e la via per raggiungerlo. Per cui l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero filosofico greco che si interroga sul senso della vita non è stato un semplice caso, ma la concretizzazione storica del rapporto intrinseco tra rivelazione e razionalità. Anche se la verità rivelata è superiore ad ogni nostro dire e i nostri concetti sono imperfetti di fronte alla sua grandezza ultimamente insondabile (Ef 3,19), essa invita tuttavia la ragione – dono di Dio fatto per cogliere la verità – ad entrare nella sua luce, diventando così capace di comprendere in una certa misura quanto ha creduto e di poter rendere conto della sua speranza a coloro che lo richiedono. E proprio questa fede amica dell’intelligenza unita ad una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti ha reso possibile la prima grande espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico e in diversi contesti culturali e situazioni storiche. L’universalità e la fede come verità, come chiave di lettura della Sacra Scrittura, dell’Antico Testamento delineano una unità di annuncio e di Scrittura e una fede viva e un amore aperto a tutti, testimone dell’amore di Dio per tutti.
La riflessione delle Lettere sulla struttura ministeriale definitiva della Chiesa
Le Lettere pastorali, per la prima volta, presentano la triplice suddivisione di episcopi, presbiteri e diaconi (1 Tm 3,1-13; 4,13; 2 Tm 1,6; Tt 1,5-9). Possiamo osservare nelle Lettere pastorali il confluire di due diverse strutture ministeriali e così la costituzione della forma definitiva del ministero della Chiesa. Nelle Lettere paoline degli anni centrali della sua vita, Paolo parla di “episcopi” (Fil 1,1), e di “diaconi”: questa è la struttura tipica della Chiesa formatasi all’epoca nel mondo pagano. Rimane pertanto dominante la figura dell’apostolo stesso e perciò solo man mano si sviluppano gli altri ministeri.
Se nelle Chiese formate nel mondo pagano abbiamo episcopi e diaconi, e non presbiteri, nelle Chiese formate nel mondo giudeo-cristiano i presbiteri sono la struttura dominante. Alla fine nelle Lettere pastorali, le due strutture si uniscono: appare adesso “l’episcopo ”, (il vescovo) (1 Tm 3,2; Tt 1,7), sempre al singolare, accompagnato dall’articolo determinativo “l’episcopo”. E accanto a “l’episcopo” troviamo i presbiteri e i diaconi. Sempre ancora è determinante la figura dell’Apostolo, ma le Lettere sono indirizzate non più a comunità, ma a persone: Timoteo e Tito, i quali da una parte appaiono come Vescovi, dall’altra cominciano a stare al posto dell’Apostolo.
Si nota così inizialmente la realtà che più tardi si chiamerà “successione apostolica”. Paolo dice con tono di grande solennità a Timoteo: “Non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri” (1 Tm 4,14). Possiamo dire che in queste parole appare inizialmente anche il carattere sacramentale del ministero. E così abbiamo l’essenziale della struttura cattolica: Scrittura e Tradizione, Scrittura e annuncio della fede professata, celebrata, vissuta e pregata, formano un insieme indissociabile, ma a questa struttura, per così dire dottrinale e liturgica, deve aggiungersi la struttura personale, i successori degli Apostoli, come testimoni dell’annuncio apostolico. Una speciale caratteristica personale è quella della “paternità”. L’episcopo, e in subordine, ogni presbitero è infatti considerato come padre della comunità cristiana (1 Tm 3,15). Del resto l’idea di Chiesa come “casa di Dio” affonda le sue radici nell’Antico Testamento (Nm 12,7) e si trova riformulata in Eb 3,2.6, mentre altrove si legge che tutti i cristiani non sono più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari della casa di Dio (Ef 2,19).