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Solo se unita comunica Cristo!

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Solo uscendo da noi, cristiani di tutte le confessioni, e andando verso Cristo, solo nella relazione con Lui possiamo diventare realmente uniti tra di noi

«Domenica scorsa è iniziata la “settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”, che si concluderà domenica prossima, festa della Conversione di san Paolo apostolo. Si tratta di una iniziativa spirituale quanto mai preziosa, che va estendendosi sempre più tra i cristiani, in sintonia e, potremmo dire, in risposta all’accorata invocazione che Gesù rivolse al Padre nel Cenacolo, prima della sua Passione: “Che siano una cosa sola, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato” n(Gv 17,21). Ben quattro volte, in questa preghiera sacerdotale, il Signore chiede che i suoi discepoli siano “una cosa sola”, secondo l’immagine dell’unità tra il Padre e il Figlio. Si tratta di una unità che può essere soltanto sull’esempio del donarsi del Figlio al Padre, cioè uscendo da sé e unendosi a Cristo. Due volte, inoltre, in questa preghiera, Gesù aggiunge come scopo di questa unità: perché il mondo creda. La piena unità è quindi connessa alla vita e alla missione della chiesa nel mondo. Essa deve vivere una unità che può derivare solo dalla sua unità con Cristo, con la sua trascendenza, quale segno che Cristo è la verità. E’ questa la nostra responsabilità: che sia visibile nel mondo il dono di una unità in virtù della quale si renda credibile la nostra fede. Per questo è importante che ogni comunità cristiana prenda consapevolezza dell’urgenza di operare in tutti i modi possibili per giungere a questo obiettivo grande. Ma, sapendo che l’unità è innanzitutto “dono” del Signore, occorre allo stesso tempo implorarla con instancabile e fiduciosa preghiera. Solo uscendo da noi e andando verso Cristo, solo nella relazione con Lui possiamo diventare realmente uniti tra di noi. E’ questo l’invito che, con la presente “Settimana”, viene rivolto ai credenti in Cristo di ogni Chiesa e Comunità ecclesiale» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 21 gennaio 2009].

La mano del successore di Pietro sia strumento sacramentale della mano unificante di Dio
“Che formino una cosa sola nella tua mano” (Ezechiele 37,17). Nel brano del libro del profeta Ezechiele, da cui è tratto il tema per il 2009, il Signore ordina al profeta di prendere due legni, uno come simbolo di Giuda e delle sue tribù e l’altro come simbolo di Giuseppe e di tutta la casa d’Israele unita a lui, e gli chiede di “accostarli”, in modo da formare un solo legno, “una sola cosa” nella sua mano. Trasparente è la parabola dell’unità. Ai “figli del popolo”, che domanderanno spiegazione, Ezechiele, illuminato dall’Alto, dirà che il Signore stesso prende i due legni e li accosta, in modo che i due regni con le rispettive tribù, tra loro divise, diventano “una cosa sola nella sua mano”. La mano del profeta, che accosta i due legni, viene considerata il rimando alla mano stessa di Dio che raccoglie e unifica il suo popolo e finalmente l’intera umanità. Possiamo applicare le parole del profeta ai cristiani, nel senso di un’esortazione a pregare, a lavorare facendo tutto il possibile perché si compia l’unità di tutti i discepoli di Cristo, a lavorare affinché la mano del successore di Pietro sia strumento sacramentale della mano unificante di Dio. Questa esortazione diventa particolarmente commovente ed accorata nelle parole di Gesù dopo l’Ultima Cena. Il Signore desidera che l’intero suo popolo cammini – e vede in questo la Chiesa del futuro, dei secoli futuri – con pazienza e perseveranza verso il traguardo della piena unità. Impegno questo, che comporta adesione umile e docile obbedienza al comando del Signore, il quale lo benedice e lo rende fecondo. Il profeta Ezechiele ci assicura che sarà proprio Lui, il nostro unico Signore, l’unico Dio, a raccoglierci nella “sua Mano”.

Il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità
Nella dispersione tra le genti, gli israeliti avevano conosciuto culti erronei, avevano maturato concezioni di vita sbagliate, avevano assunto costumi alieni dalla legge divina. Ora il Signore dichiara che non si contamineranno più con gli idoli dei popoli pagani, con i loro abomini, con tutte le loro iniquità (Es 37,23). Richiama la necessità di liberarli dal peccato e da tutte le ribellioni, di purificare il loro cuore. E così “saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio”. In questa condizione di rinnovamento interiore, essi “seguiranno i miei comandamenti, osserveranno le mie leggi, e le metteranno in pratica”. Ed il testo profetico si conclude con la promessa definitiva e pienamente salvifica: “Farò con loro un’alleanza di pace… Porrò il mio santuario, cioè la mia presenza in mezzo a loro” (Es 37,26).
Questa visione di Ezechiele diviene particolarmente eloquente per l’intero movimento ecumenico, perché pone in luce l’esigenza imprescindibile di una autentico rinnovamento interiore in tutti i componenti del Popolo di Dio che il Signore può operare. A questo rinnovamento c’è necessità che tutti siano aperti, anche noi, dispersi tra i popoli del mondo, abbiamo imparato usanze molto lontane dalla Parola di Dio. “Siccome ogni rinnovamento della Chiesa – si legge nel Decreto sull’ecumenismo del Concilio Vaticano II – consiste essenzialmente nell’accresciuta fedeltà alla sua vocazione, questa è senza dubbio la ragione del movimento verso l’unità” (UR, 6), cioè la maggiore fedeltà alla vocazione di Dio. Il Decreto sottolinea poi la dimensione interiore della conversione del cuore. “Ecumenismo vero – aggiunge – non c’è senza interiore conversione, perché il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento della mente, dall’abnegazione di se stesso e dal pieno esercizio della carità” (UR, 7).

La “Settimana” è anche occasione propizia per ringraziare il Signore per quanto ha concesso sinora “per accostare” gli uni agli altri, i cristiani divisi, le stesse Chiese e Comunità ecclesiali
Questo spirito ha animato la Chiesa cattolica, la quale, nell’anno appena trascorso, ha proseguito con tutte le Chiese e Comunità ecclesiali di Oriente e Occidente. Nella varietà delle situazioni, talvolta più positive e talora con maggiori difficoltà, si è sforzata di non venire mai meno all’impegno di compiere ogni sforzo tendente alla ricomposizione della piena unità. Le relazioni fra le Chiese e i dialoghi teologici hanno continuato a dare segni di convergenze spirituali incoraggianti. Il Santo Padre stesso ha avuto la gioia di incontrare in Vaticano e nel corso di viaggi apostolici, i cristiani provenienti da ogni orizzonte. Ha accolto con viva gioia per tre volte il Patriarca Ecumenico Sua Santità Bartolomea I ed, evento straordinario, l’ha sentito prendere la parola, con fraterno calore ecclesiale e con convinta fiducia verso l’avvenire, durante la recente Assemblea del Sinodo dei Vescovi. Ha ricevuto i due Catholicoi della Chiesa Apostolica Armena: Sua Santità Karekin II di Etchmiazin e Sua Santità Aram I di Antelias. Il Santo Padre ha condiviso infine il dolore del Patriarcato di Mosca per la dipartita dell’amato fratello in Cristo, il Patriarca Sua Santità Alessio II, e continua a restare in comunione di preghiera con quei fratelli che si preparano ad eleggere il nuovo Patriarca della veneranda e grande Chiesa ortodossa. Al Santo padre è stato dato di incontrare rappresentanti delle varie Comunioni cristiane di Occidente, con i quali prosegue il confronto sull’importante testimonianza che i cristiani devono dare oggi in modo concorde, in un mondo sempre più diviso e posto di fronte a tante sfide di carattere culturale, sociale, economico ed etico. Di questo e di tanti altri incontri, dialoghi, e gesti di fraternità che il Signore ha concesso di poter realizzare il Santo Padre rende grazie a Lui con gioia.

Nel contesto dell’anno paolino non possiamo non rifarci anche a quanto l’Apostolo Paolo ha lasciato scritto a proposito dell’unità della Chiesa
Ecco quanto scrive rivolgendosi alla comunità di Efeso: “Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo” (Ef 4,4-5). Occorre far nostro l’anelito di san Paolo, che ha speso la sua vita interamente per l’unico Signore e per l’unità del suo mistico Corpo, la Chiesa, rendendo, con il martirio, una suprema testimonianza di fedeltà e di amore a Cristo.
“Preghiamo – ha concluso il Papa – perché tra le Chiese e le Comunità ecclesiali continui il dialogo della verità, indispensabile per dirimere le divergenze, e quello della carità che condiziona lo stesso dialogo teologico e aiuta a vivere insieme per una testimonianza comune. Il desiderio che ci abita in cuore è che si affretti il giorno della piena comunione, quando tutti i discepoli dell’unico nostro Signore potranno finalmente celebrare insieme l’Eucaristia, il sacrificio divino per la vita e la salvezza del mondo. Invochiamo la materna intercessione di Maria, perché aiuti tutti i cristiani a coltivare un più attento ascolto della Parola di Dio e una più intensa preghiera per l’unità”.

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