Condividi:

Quello che gli atei non capiscono...

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Cristo è sopra ogni dominazione, è il vero Signore del mondo

«In Colossesi leggiamo che Cristo “ha privato della loro forza i principati e le potestà (Satana e i suoi satelliti) e ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale” di Lui (2,15). Analogamente in Efesini troviamo scritto che, con la sua risurrezione, Dio pose Cristo “al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro” (1,21). Con queste parole le due Lettere ci consegnano un messaggio altamente positivo e fecondo. Questo: Cristo non ha da temere nessun eventuale concorrente, perché è superiore a ogni qualsivoglia forma di potere che presumesse di umiliare l’uomo. Solo Lui “ci ha amati e ha dato se stesso per noi” (Ef 5,2). Perciò, se siamo uniti a Cristo, non dobbiamo temere nessun nemico e nessuna avversità; ma ciò significa dunque che dobbiamo tenerci ben saldi a Lui, senza allentare la presa!
Per il mondo pagano, che credeva in un mondo pieno di spiriti, in gran parte pericolosi e contro i quali bisognava difendersi, appariva come una vera liberazione l’annuncio che Cristo era il solo vincitore e che chi era con Cristo non aveva da temere nessuno. Lo stesso vale anche per il paganesimo di oggi, poiché anche gli attuali seguaci di simili ideologie vedono il mondo pieno di poteri pericolosi. A costoro occorre annunciare che Cristo è il vincitore, così che chi è con Cristo, chi resta unito a Lui, non deve temere niente e nessuno. Mi sembra che questo sia importante anche per noi, che dobbiamo imparare a far fronte a tutte le paure, perché Lui è sopra ogni dominazione, è il vero Signore del mondo» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 14 gennaio 2009].

Cristo non è solo uno che comanda, il capo del suo corpo cioè dell’organismo della Chiesa, ma uno che organicamente è connesso con noi, dal quale viene anche la forza di agire in modo retto
Le due Lettere ai Colossesi e agli Efesini si possono considerare gemelle perché nell’una e nell’altra si trovano contenuti, modi di dire che si trovano solo in esse. Sono una catechesi, dalla quale possiamo imparare non solo come essere buoni cristiani, ma anche come divenire realmente uomini che vivono senza paura. Se cominciamo a capire che il cosmo è l’impronta di Cristo, impariamo il retto rapporto con il cosmo, con tutti i problemi della conservazione del cosmo. Impariamo a vederlo con la ragione, con una ragione mossa dall’amore, e con l’umiltà e il rispetto che consentono di agire in modo retto. E se pensiamo che l’organismo sociale della Chiesa è il Corpo di Cristo, che Cristo ha dato se stesso per essa, impariamo come vivere con Cristo l’amore reciproco in vissuti fraterni di comunione ecclesiale, l’amore che ci unisce a Dio e che ci fa vedere in ogni altro l’immagine di Cristo, anzi Cristo stesso.
Il titolo di “capo” della Chiesa, dato a Gesù Cristo è a un doppio livello:
- in un primo senso, Cristo è inteso come capo della Chiesa (Col 2,18-19 e Ef 4, 15-16) come governante, il dirigente, il responsabile che guida la comunità cristiana come suo leader e suo Signore (Col 1,18: “Egli è il capo del corpo, cioè della Chiesa”);
- l’altro significato è che lui è come la testa che innerva e vivifica tutte le membra del corpo a cui è preposta (infatti, secondo Col 2,19) bisogna “tenersi fermi al capo, dal quale tutto il corpo riceve sostentamento e coesione”): cioè non è solo uno che comanda, ma uno che organicamente è connesso con noi, dal quale viene anche la forza di agire in modo retto.
In entrambi i casi, la Chiesa è considerata sottoposta a Cristo, sia per seguire la sua superiore conduzione – i comandamenti –, sia anche per accogliere tutti gli influssi vitali, come la vite e i tralci, che da Lui in continuità promanano. I suoi comandamenti non sono solo parole, comandi, ma sono forze vitali che vengono da Lui e ci aiutano, senza costringerci.
Questa idea è particolarmente sviluppata in Efesini, dove perfino i ministeri della Chiesa, invece di essere ricondotti allo Spirito Santo (come 1 Cor 12) sono conferiti dalla presenza del Cristo risorto: è Lui che “ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri” (4,11). Ed è da Lui che “tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura,… riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità” (4,16). Cristo infatti è tutto teso a “farsi comparire la sua Chiesa tutto gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5,27). Con questo ci dice che la forza con la quale costruisce la Chiesa, con la quale guida la Chiesa, con la quale dà anche la giusta direzione alla Chiesa, è proprio il suo amore.

Cristo non è solo capo della Chiesa ma anche delle potenze celesti
In Colossesi leggiamo che Cristo risorto “ha privato della loro forza i principati e le potestà (cioè Satana e i suoi satelliti) e ne ha fatto pubblico spettacolo dietro al corteo trionfale” di Lui (2,15). Analogamente in Efesini troviamo scritto che, con la sua risurrezione cioè con la più grande “mutazione” mai accaduta, con il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, Dio pose Cristo risorto “al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro” (1,21). Con queste parole le due Lettere ci consegnano un messaggio altamente positivo e fecondo, una Luce, Gesù Cristo, che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro. Cristo non ha da temere nessun eventuale concorrente, perché è superiore a ogni qualsivoglia forma di potere che presumesse di umiliare l’uomo, togliergli il desiderio, la sensibilità per la verità e la disponibilità all’amore. Solo Lui “ci ha amati e ha dato se stesso per noi” (Ef 5,2). Perciò, se rimaniamo sempre uniti a Cristo risorto, presente sacramentalmente, non dobbiamo temere nessun nemico e nessuna avversità; ma ciò significa dunque che dobbiamo tenerci ben saldi a Lui che non ci costringe, senza allentare la presa, l’amore!
Per il mondo pagano, che credeva in un mondo pieno di spiriti, in gran parte pericolosi e contro i quali bisognava difendersi, appariva come una vera liberazione l’annuncio che Cristo era il solo vincitore e che chi era con Cristo non aveva da temere nessuno, nemmeno Satana e l’Occidente vive ancora grazie alla libertà dalla paura dei demoni portata dal cristianesimo. Ma se non ci teniamo saldi a Lui e ritorniamo pagani, atei, secolarizzati, anche gli attuali seguaci di simili ideologie ritornano a vedere il mondo pieno di poteri pericolosi: ci sono già i segni di questo ritorno di forze oscure, mentre crescono nel mondo secolarizzato i culti satanici. Urge riannunciare che Cristo risorto cioè presente, è il vincitore, così che chi è con Cristo, chi resta unito a Lui, non deve temere niente e nessuno. Questo è importante per tutti noi, che dobbiamo imparare a far fronte a tutte le paure, perché Lui è sopra ogni dominazione, è il vero Signore del mondo.

Addirittura il cosmo intero è sottoposto a Lui, e a Lui converge come al proprio capo
Sono celebri le parole della Lettera agli Efesini, che parla del progetto di Dio di “ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo e quelle della terra” (1,10). Analogamente nella Lettera ai Colossesi si legge che “per mezzo di Lui (la Ragione creativa) sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili” (1,16) e che “con il sangue della sua croce… ha rappacificato le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (1,20). Quindi non c’è, da una parte, il grande mondo materiale e dall’altra questa piccola realtà della storia della nostra terra, il mondo delle persone: tutto è uno in Cristo. Egli è il capo del cosmo; anche il cosmo è creato da Lui, è creato per noi in quanto siamo uniti a Lui. E’ una visione razionale e personalistica dell’universo. E una visione più universalistica di questa non era possibile concepire, ed essa conviene soltanto al Cristo risorto. Cristo è il Pantokràtor, a cui sono sottoposte tutte le cose: il pensiero va appunto al Cristo Pantòcratore, che riempie il catino absidale delle chiese bizantine, a volte raffigurato seduto in alto sul mondo intero o addirittura su di un arcobaleno per indicare la equiparazione a Dio stesso, alla cui destra è assiso (Ef 1,20; Col 3,1), e quindi anche la sua ineguagliabile funzione di conduttore dei destini umani.
Una visione del genere è concepibile solo da parte della Chiesa, non nel senso che essa voglia indebitamente appropriarsi di ciò che le spetta, ma in un altro duplice senso:
- sia in quanto la Chiesa riconosce che in qualche modo Cristo è più grande di lei, dato che la sua signoria si estende anche al di là dei suoi confini
- e sia in quanto solo la Chiesa è qualificata sacramentalmente come Corpo di Cristo, non il cosmo.
Tutto questo significa che noi dobbiamo considerare positivamente le realtà terrene, poiché Cristo le ricapitola in sé, e in pari tempo dobbiamo vivere in pienezza la nostra specifica identità ecclesiale, che è la più omogenea all’identità di Cristo stesso, poiché l’organismo sociale della Chiesa, che serve allo Spirito di Cristo che la vivifica per la crescita del Corpo, è analogo alla natura assunta dal Verbo divino da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito ipostaticamente. La Chiesa non deve essere né identificata né separata dal Signore risorto (ecco i due errori), ma unita a Lui che, in essa è presente, ed attraverso essa porta ogni uomo e il cosmo intero alla salvezza: né identica, né separata ma unita nella distinzione. Proprio come lo sono due sposi (Ef 5,25-31).

Mistero di Dio, che è Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza
“Mistero” sta a significare l’imperscrutabile disegno divino sulle sorti dell’uomo, dei popoli, del mondo. Con questo linguaggio le due Epistole ci dicono che è in Cristo che si trova il compimento di questo mistero. Se siamo con Cristo, anche se non possiamo intellettualmente capire tutto perché la verità rivelata è superiore ad ogni nostro dire ed i nostri concetti sono imperfetti di fronte alla sua grandezza ultimamente insondabile (Ef 3,19), sappiamo di essere nel nucleo del “mistero” e sulla strada della verità che invita la ragione – dono di Dio fatto per cogliere la verità – ad entrare nella sua luce, diventando così capaci di comprendere in una certa misura quanto ha creduto e celebrato. E’ Lui nella sua totalità, e non solo in un aspetto della sua persona o in un momento della sua esistenza, che reca in sé la pienezza dell’insondabile piano divino di salvezza. In Lui prende forma quella che viene chiamata “la multiforme sapienza di Dio” (Ef 3,10), poiché in Lui “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). D’ora in poi, quindi, non è possibile pensare e adorare il beneplacito di Dio, la sua sovrana disposizione, senza confrontarci personalmente con Cristo in persona, in cui quel “mistero” si incarna e può essere tangibilmente percepito. Si perviene così a contemplare la investigabile ricchezza di Cristo” (Ef 3,8), che sta oltre ogni umana comprensione. Non che Dio abbia lasciato delle impronte del suo passaggio, poiché è Cristo stesso l’orma di Dio, la sua impronta massima; ma ci si rende conto di “quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità” di questo mistero “che sorpassa ogni conoscenza” (Ef 3,18-19). Le mere categorie intellettuali qui risultano insufficienti, e, riconoscendo che molte cose stanno al di là delle nostre capacità razionali, ci si deve affidare alla contemplazione umile e gioiosa non solo della mente ma anche del cuore. I Padri della Chiesa, del resto, ci dicono che l’amore comprende di più che la sola ragione.

La Chiesa non è solo una promessa sposa, ma è la reale sposa di Cristo
Egli, per così dire, se l’è conquistata, e lo ha fatto a prezzo della sua vita: “ha dato se stesso per lei” (Ef 5,25). Quale dimostrazione d’amore può essere più grande di questa? Ma, in più, egli è preoccupato per la sua bellezza: non solo di quella già acquisita con il battesimo, ma anche di quella che deve crescere ogni giorno grazie ad una vita ineccepibile, “senza ruga né macchia”, nel suo comportamento morale (Ef 5,26-27). Da qui alla comune esperienza del matrimonio cristiano il passo è breve; anzi, non è neppure ben chiaro quale sia per l’autore della Lettera il punto di riferimento iniziale: se sia il rapporto Cristo – Chiesa, alla cui luce pensare l’unione dell’uomo e della donna, oppure se sia il dato esperienziale dell’unione coniugale, alla cui luce pensare il rapporto tra Cristo e la Chiesa. Ma ambedue gli aspetti si illuminano reciprocamente: impariamo che cosa è il matrimonio nella luce della comunione di Cristo e della Chiesa, impariamo come Cristo si unisce a noi pensando al mistero del matrimonio. In ogni caso, la nostra Lettera si pone quasi a metà strada tra il profeta Osea, che indicava il rapporto tra Dio e il suo popolo nei termini di nozze avvenute (Os 2,4.16.21), e il Veggente dell’Apocalisse, che prospetterà l’incontro escatologico, definitivo tra la Chiesa e l’Agnello come uno sposalizio gioioso e indefettibile (Ap 19, 7-9; 21,9).

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"