Condividi:

Il Vaticano II, novità e tradizione

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Il Concilio Vaticano II, come tutti i grandi avvenimenti della Chiesa, scaturì dal cuore di Dio, dalla sua volontà salvifica

«Mi pare doveroso ricordare che il Concilio Vaticano II scaturì dal grande cuore del Papa Giovanni XXIII, del quale ricordiamo proprio oggi, 28 ottobre, il cinquantesimo anniversario di elezione alla Cattedra di Pietro. Ho detto che il Concilio è scaturito dal cuore di Giovanni XXIII, ma più esatto sarebbe dire che esso ultimamente, come tutti i grandi avvenimenti della storia della Chiesa, scaturì dal cuore di Dio, dalla sua volontà salvifica: “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Rendere accessibile all’uomo di oggi la salvezza divina fu per Papa Giovanni il motivo fondamentale della convocazione del Concilio e fu la prospettiva con la quale i Padri conciliari hanno lavorato. Proprio per questo “i documenti conciliari – come ho ricordato il 20 aprile 2005 , all’indomani della mia elezione a Pontefice – con il passare degli anni non hanno perso di attualità”, ma anzi si rivelano “particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente società globalizzata» [Benedetto XVI, Messaggio al Convegno su “Il Vaticano II nel Pontificato di Giovanni Paolo II”, 28/10/2008].

Giovanni Paolo II ha accolto praticamente in ogni suo documento, ed ancor più nelle sue scelte e nel suo comportamento come Pontefice, le fondamentali istanze del Concilio Ecumenico Vaticano II, divenendone così qualificato interprete e coerente testimone, saldamente ancorato alla tradizione della Chiesa, ai fondamenti della fede, in una parola alla presenza viva e continua in tutti i tempi e luoghi di Cristo risorto in lei con il dono del Suo Spirito. Sua preoccupazione costante è stata quella di far conoscere a tutti quali vantaggi potevano scaturire dall’accoglienza della visione conciliare, non solo per il bene della Chiesa, ma anche per quello della società civile e di ogni persona in essa operante. “Abbiamo contratto un debito verso lo Spirito Santo -, egli disse all’Angelus del 6 ottobre 1985, riferendosi al Sinodo straordinario dei Vescovi, che si stava per celebrare proprio per riflettere sulla risposta data dalla Chiesa durante i vent’anni che erano trascorsi dalla conclusione del Vaticano II – abbiamo contratto un debito verso lo Spirito di Cristo. Questo infatti è lo Spirito che parla alle Chiese (Ap 2,7): durante il Concilio e per suo mezzo, la sua parola è divenuta particolarmente espressiva e decisiva per la Chiesa”.
Noi tutti siamo davvero debitori di questo straordinario evento ecclesiale. La molteplice eredità dottrinale che ritroviamo nelle sue Costituzioni dogmatiche, nelle Dichiarazioni e nei Decreti, ci stimola ad approfondire la Parola del Signore per applicarla all’oggi della Chiesa, tenendo ben presenti le numerose necessità degli uomini e delle donne del mondo contemporaneo, estremamente bisognoso di conoscere e sperimentare la luce di una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino.
Ma del Concilio ciò che sta a particolarmente a cuore a Benedetto XVI perché entri nella coscienza ecclesiale e la plasmi è la Costituzione Dei Verbum cioè la Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa, tema del Sinodo dei Vescovi appena concluso. Ha voluto ricordare proficue e ricche riflessioni sinodali su quanto il Concilio auspicava: “Con la lettura e lo studio dei sacri libri “la parola di Dio compia la sua corsa e sia glorificata” (2 Ts 3,1), e il tesoro della Rivelazione, affidato alla Chiesa, riempia sempre più il cuore degli uomini” (n. 26), portando ad essi la salvezza di Dio e con essa l’autentica felicità. La Rivelazione, cioè l’ininterrotto rivolgersi di Dio verso l’uomo attraverso la creazione, la storia umana, il particolare e sponsale rapporto con la storia del popolo di Israele, soprattutto e definitivamente facendosi volto umano nell’incarnazione e rimanendo presente, parlante, operante con il dono del Suo Spirito da risorto nel suo corpo che è la Chiesa per tutti e per tutto, il Suo venire incontro ad ogni persona, è sempre più grande di quanto può essere espresso in parole umane, più grande anche delle parole della Scrittura ispirata e analizzata a livello storico critico, perfino compresa nella catechesi.
Nella Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” Benedetto XVI ha trovato l’occasione per ricordare i suoi lavori su Bonaventura che gli aveva fatto scoprire come nel medioevo e a Trento sarebbe stato impossibile definire la Scrittura semplicemente come “la Rivelazione” identificandola con la Parola di Dio, come invece, nonostante il Concilio, continua ad avvenire anche oggi perché le affermazioni del Concilio sono ancora da realizzare. La Scrittura è la testimonianza essenziale della Rivelazione e senza di essa la teologia non avrebbe fondamento, ma la Rivelazione, la Parola di Dio è qualcosa di vivo, di più grande – perché sia tale essa deve giungere a destinazione e deve essere percepita come Dio che come ha parlato allora mi parla, ci parla qui e ora, altrimenti essa, parola umana spogliata dell’elemento divino, non è divenuta, non diviene “Rivelazione”, Parola di Dio attraverso parole umane. La Parola di Dio, la Rivelazione non è una meteora precipitata sulla terra, che giace da qualche parte come una massa rocciosa da cui si possono prelevare dei campioni di minerale, portarli in laboratorio e analizzarli, come si potrebbe fare di un’opera solo letteraria del passato. La Rivelazione, la Parola di Dio ha degli strumenti come l’esegesi scientifica (essendo anche un’opera letteraria, anzi, il grande codice della cultura universale), ma non è separabile dal Dio vivo, non va spogliata dell’elemento divino e deve essere letta nello stesso Spirito in cui è stata composta e interpella ogni persona viva a cui essa giunge per essere anima della teologia, della catechesi, di tutta la preghiera liturgica e l’attività pastorale: esegesi e lectio divina sono entrambe necessarie e complementari per ricercare, attraverso il significato letterale, quello spirituale e teologico, ciò che Dio vuole comunicare a noi. Il suo scopo è sempre quello di raccogliere gli uomini, di unirli tra loro e per questo essa implica la Chiesa, la sua ininterrotta tradizione dogmatica, le professioni di fede, il suo catechismo. Proprio per questa sporgenza della Parola di Dio, della Rivelazione rispetto alla Scrittura, l’ultima parola su di essa non può venire dall’analisi, pur necessaria perché parola anche umana, dei campioni minerali – il metodo storico-critico, ma di essa fa parte l’organismo vitale della fede di tutti i secoli. Proprio questa sporgenza della Rivelazione, della Parola di Dio sulla Scrittura, che non può a sua volta essere espressa in un codice di formule, è quel che chiamiamo “Tradizione viva”. Necessario il Catechismo ma anche questo non è sufficiente.
“Nella ricchezza del pensiero di san Bonaventura – ha concluso il Papa –, egli può offrirvi chiavi di lettura ancora attuali, con le quali avvicinarvi ai documenti conciliari per cercarvi risposte soddisfacenti ai molti interrogativi del nostro tempo. L’ansia per la salvezza dell’umanità, che animava i Padri del Concilio orientandone l’impegno nella ricerca di soluzioni ai tanti problemi odierni, non era meno viva nel cuore di san Bonaventura di fronte alle speranze e alle angosce degli uomini del suo tempo. Poiché, d’altra parte, gli interrogativi di fondo che l’uomo si porta nel cuore non cambiano col mutare dei tempi, anche le risposte elaborate dal Dottore serafico rimangono nella sostanza valide ancora oggi. In particolare, resta valido quell’Itinerarium mentis in Deum che san Bonaventura compose nel 1259. Questo prezioso piccolo libro, pur guidando alle altezze della teologia mistica, parla a tutti i cristiani di ciò che è essenziale nella loro vita: (il senso religioso cioè il senso del vivere). La meta ultima di tutte le nostre attività deve essere la comunione col Dio vivente. Così anche per i Padri del Concilio Vaticano II l’ultimo scopo di tutti i singoli elementi del rinnovamento della Chiesa fu guidare al Dio vivente rivelatosi in Gesù Cristo”.

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"