Riscoprire Paolo VI
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«Era la sera del 6 agosto 1978 quando Paolo VI reso lo spirito a Dio; la sera della festa della Trasfigurazione di Gesù, mistero di luce divina che sempre esercitò un fascino singolare sul suo animo. Quale supremo Pastore della Chiesa, Paolo VI guidò il popolo di Dio alla contemplazione del volto di Cristo, Redentore dell’uomo e Signore della storia. E proprio l’amorevole orientamento della mente e del cuore verso Cristo fu uno dei cardini del Concilio Vaticano II, un atteggiamento fondamentale che il venerato mio predecessore Giovanni Paolo II ereditò e rilanciò nel grande Giubileo del 2000. Al centro di tutto, sempre e solo Cristo: al centro delle Sacre Scritture e della Tradizione, nel cuore della Chiesa, del mondo e dell’intero universo. La Divina Provvidenza chiamò Giovanni Battista Montini dalla Cattedra di Milano a quella di Roma nel momento più delicato del Concilio, quando l’intuizione del Beato Giovanni XXIII rischiava di non prendere forma. Come non ringraziare il Signore per la sua feconda e coraggiosa azione pastorale? Man mano che il nostro sguardo sul passato si fa più largo e consapevole, appare sempre più grande, quasi sovrumano, il merito di Paolo VI nel presiedere l’Assise conciliare, nel condurla felicemente a termine e nel governare la movimentata fase del post - Concilio. Potremmo veramente dire, con l’apostolo Paolo che la grazia di Dio in lui non è stata vana: ha valorizzato le sue spiccate doti di intelligenza e il suo amore appassionato alla Chiesa e all’uomo. Mentre rendiamo grazie a Dio per il dono di questo grande Papa, ci impegniamo a far tesoro dei suoi insegnamenti. Nel discorso conclusivo della terza sessione del Concilio Vaticano II, Paolo VI volle tributare speciale onore alla Vergine Maria proclamandola “Madre della Chiesa”, immagine e modello non solo del cristiano ma, come insegnano i Santi Padri, dell’intero Corpo mistico di Cristo» [Benedetto XVI, Angelus a Bressanone, 3 agosto 2008].
Benedetto XVI di Paolo VI ricorda soprattutto il suo contributo perché l’intuizione carismatica del Beato Giovanni XXIII prendesse forma al Concilio Vaticano II, quando rischiava di dissolversi nelle diverse problematiche. E qual è questa forma, che diventerà l’anima del Concilio, rilanciata da Giovanni Paolo II come atteggiamento fondamentale nel Grande Giubileo del 2000 e da Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est cioè che all’inizio dell’esser cristiani non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la Persona di Gesù Cristo che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva? Al centro di ogni uomo, di tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo, ma soprattutto delle Sacre Scritture e della Tradizione, nel cuore della Chiesa c’è la presenza del Signore risorto, la più grande “mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso che ha riguardato, come primogenito di tutti noi, Gesù di Nazaret.
Quanto Paolo VI ci ha tenuto a due enunciati uno del paragrafo 22 della Gaudium et spes e l’altro del n. 8,1 di Lumen gentium:
- “Con l’incarnazione, il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo” e quindi è centro del cosmo e della storia e deve diventare centro degli studi teologici, della catechesi, della pastorale e dell’azione missionaria;
- “come la natura assunta serve al verbo divino da vivo organo di salvezza, a Lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l’organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del Corpo”. Quindi Gesù Cristo è la via principale della Chiesa, è la nostra via umana alla “casa del Padre” ed è anche la via a ciascun uomo. Cristo non è soltanto una rivelazione di Dio e della sua volontà di salvezza dell’intera umanità ma anche una rivelazione dell’uomo, di ciò che l’uomo fu inteso essere all’atto della creazione ed è divenuto in virtù dell’incarnazione del Figlio di Dio e in virtù della crocifissione, resurrezione e ascensione dell’uomo - Dio Gesù Cristo, con il dono del Suo Spirito che ci fa figli nel Figlio in vissuti fraterni di comunione ecclesiale. Ogni incontro con la Persona di Gesù Cristo, Signore risorto nella e attraverso la Chiesa suo sacramento universale, Egli rivela ad ogni uomo non solo la faccia del Padre ma il pieno significato dell’essenza umana; Egli è la risposta esistenzialmente adeguata al desiderio di bene, di verità e di vita che è nel cuore di ogni uomo, comunque ridotto. Questo il completo panorama dell’uomo d’oggi secolarizzato nella conclusione del Concilio il 7 dicembre 1965: “La Chiesa del Concilio, sì, si è assai occupata, oltre che di se stessa e del rapporto che a Dio la unisce, dell’uomo, dell’uomo quale oggi in realtà si presenta: l’uomo vivo, l’uomo tutto occupato di sé, l’uomo che si fa soltanto centro d’ogni interesse, ma osa dirsi principio e ragione d’ogni realtà. L’uomo tragico dei suoi propri programmi, l’uomo superuomo di ieri e di oggi e perciò sempre fragile e falso, egoista e feroce; poi l’uomo infelice di sé, che ride e che piange; l’uomo versatile pronto a recitare qualsiasi parte, e l’uomo rigido cultore della sola realtà scientifica, e l’uomo com’è, che pensa, che ama, che lavora, che sempre attende qualcosa, il filius accrescens, e l’uomo sacro per l’innocenza della sua infanzia, per il mistero della sua povertà, per la pietà, del suo dolore; l’uomo individualista e l’uomo sociale; l’uomo laudator temporis acti e l’uomo sognatore dell’avvenire; l’uomo peccatore e l’uomo santo; e così via. Dategli merito di questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla trascendenza delle cose supreme, e riconoscete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo”.
Sempre e solo Cristo al centro delle Scritture
Quanto Paolo VI ha seguito la Dei Verbum fino alla terza stesura, non ancora entrata adeguatamente nella coscienza della comunità cattolica secondo Benedetto XVI che per questo vi ha indetto il prossimo Sinodo. E’ il concetto di “esegesi canonica” che punta a leggere i singoli testi biblici nel complesso dell’unica Scrittura, facendoli così apparire in una nuova luce. Il numero 12 della Costituzione sulla Divina Rivelazione del Concilio Vaticano II aveva già messo chiaramente in risalto questo aspetto come un principio fondamentale dell’esegesi cattolica: chi vuole comprendere la Scrittura nello spirito in cui è stata scritta deve badare al contenuto e all’unità dell’intera Scrittura. Il Concilio aggiunge che si deve tenere in debito conto anche la viva tradizione di tutta la Chiesa e l’analogia della fede (le corrispondenze interiori della fede). La formazione della Scrittura si configura come un processo della parola che a poco a poco dischiude le sue potenzialità interiori, che in qualche modo erano presenti come semi, ma si aprono solo di fronte alla sfida di nuove situazioni dello stesso Popolo di Dio, a nuove esperienze e nuove sofferenze.
Chi osserva questo processo - certamente non lineare, spesso drammatico e tuttavia in progresso - a partire da Gesù Cristo può riconoscere che nell’insieme c’è una direzione, che l’Antico e il Nuovo testamento sono intimamente collegati tra di loro. Certo, l’ermeneutica cristologica, che in Gesù Cristo vede la chiave del tutto e, partendo da Lui, apprende a capire la Bibbia come unità, presuppone la scelta di fede e non può derivare dal puro metodo storico. Ma questa scelta di fede ha dalla sua la ragione - una ragione storica - e permette di vedere l’intima unità della Scrittura e di capire così in modo nuovo anche i singoli tratti di strada, senza togliere loro la propria originalità storica.
Per la Scrittura, poi, il rapporto con il soggetto concreto del “popolo di Dio” è vitale. Da una parte, questo libro di tanti libri - la Scrittura - è il criterio che viene da Dio e la forza che indica la strada al vissuto fraterno di comunione autorevolmente guidato, che nella Scrittura trascende se stesso e così - nella profondità definitiva in virtù della Parola fatta carne - diventa appunto popolo di Dio. Il popolo di Dio - la Chiesa del Verbo incarnato (come piaceva a Paolo VI) - è il soggetto vivo della Scrittura; in esso le parole della Bibbia sono sempre presenza del Signore risorto. Naturalmente, però, si richiede che questo popolo riceva se stesso da Dio, ultimamente dal Cristo incarnato e da Lui si lasci ordinare, condurre e guidare.
Come in cielo godrà Paolo VI di Benedetto XVI, allora giovane teologo ma che ha dato un grande contributo soprattutto alla terza stesura della Dei Verbum, dello sviluppo di questi semi conciliari oggi argomentati in Gesù di Nazaret pp. 14-17.
Sempre e solo Cristo al centro della Tradizione, nel cuore della Chiesa
Il magistero è la garanzia del declinarsi della comunità in quanto vive e lo strumento più grande della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità per opera dello Spirito del Signore risorto presente in lei e attraverso di lei. Si chiama Tradizione. La tradizione è la coscienza della comunità che vive ora, ricca della memoria di tutta la sua vicenda storica. Dice De Lubac, che Paolo VI volle significativamente alla sua destra nella concelebrazione finale del Concilio, commentando la costituzione Dei Verbum: “L’idea della tradizione esposta qui deriva dall’idea di Rivelazione: tutto ciò che la Chiesa ha ricevuto, essa lo trasmette ‘nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto’, ma di una tradizione concreta e vivente, che fruttifica durante il tempo, così che conservando la verità rivelata, essa l’attualizza secondo i bisogni di ogni epoca”. E osserva che: “La Tradizione è sempre ricordata prima della Scrittura, per rispettare l’ordine cronologico, dal momento che, all’origine di tutto, c’è questa Tradizione che viene dagli Apostoli, ed è all’interno di una comunità già costituita che i libri santi sono stati composti o ricevuti” (H. De Lubac, La rivelazione divina e il senso dell’uomo, pp. 177 - 178, Milano 1985).
Riguardo al come intendere la continuità al Concilio c’era chi accentuava la dinamica della continuità, che dopo il Concilio è diventata l’“ermeneutica della discontinuità e della rottura”. Avvalendosi della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna era diventata maggioranza. Un’altra, silenziosamente ma sempre più evidente e soprattutto fatta propria da Paolo VI è l’ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto - Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. Ecco con quale chiarezza Paolo VI l’ha espressa nell’atto di promulgare la Lumen gentium, rifacendosi a quello che aveva affermato il Beato Giovanni XXIII all’inizio del Concilio dando gli orientamenti del percorso conciliare autentico: “E migliore commento sembra non potersi fare che dicendo che questa promulgazione nulla veramente cambia della dottrina tradizionale. Ciò che Cristo volle, vogliamo anche Noi pure. Ciò che era resta. Ciò che la Chiesa insegnò, Noi pure insegniamo parimenti. Soltanto ciò che era semplicemente vissuto, ora è espresso; ciò che era incerto, è chiarito: ciò che era meditato, discusso, e in parte controverso, ora giunge a serena formulazione”. Il Vaticano II è sorretto dalla stessa autorità del Vaticano I, del Concilio di Trento, anzi di tutti i Concili della Chiesa cioè del Papa e il collegio dei Vescovi in comunione con lui. Normativi sono i testi autentici del Vaticano II per cui chi non accoglie il Vaticano II nega l’autorità che regge gli altri Concili e così li stacca dal loro fondamento. E quando come H. Haag si permise di negare la verità di fede dell’esistenza degli angeli e dei demoni seppe governare la movimentata fase del post- Concilio, come fece con gli interventi del Credo del Popolo di Dio e dell’Humanae vitae nel 1968, ripetendoli come testamento nell’omelia Fidem servavi del 28 giugno 1978, con parole forti il 29 giugno 1971 e il 15 novembre del 1972:
- “da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel tempio di Dio”.
- “Crediamo in qualcosa di preternaturale venuto nel mondo proprio per turbare, per soffocare i frutti del Concilio ecumenico e per impedire che la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia per aver riavuto in pienezza la coscienza di sé”. Era preoccupato di come snaturavano la sua riforma liturgica e di un congresso di biblisti in cui si diceva, a riguardo della risurrezione che non era un fatto avvenuto nella storia di cui gli Apostoli erano testimoni ma creatori con la loro fede. E il 15 novembre del 1972:
- “il Male non è più soltanto una deficienza ma una efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà, Misteriosa, paurosa.
- Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerlo esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente esso pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure lo spiega come una pseudo realtà, una personificazione concettuale e fantastica della cause ignote dei nostri malanni.
- Bisogna difendersi contro questo male che chiamiamo demonio…un agente oscuro e nemico.
- Il demonio è all’origine della prima disgrazia dell’umanità. E’ il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo così che questo essere oscuro e conturbante esiste davvero e con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana”.
Sempre e solo Cristo al centro del mondo e dell’intero universo
Il Concilio doveva determinare in un modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed età moderna e qui la grazia di Dio, la preminente e decisiva azione guida dello Spirito Santo ha valorizzato le spiccate doti di intelligenza e l’amore appassionato sia alla Chiesa e sia all’uomo di Paolo VI. La storia aveva spezzato ogni rapporto dell’età moderna della scienza e della tecnica con la Chiesa, a cominciare da Galileo, totalmente con Kant quando nella fase radicale della rivoluzione borghese del 1789, venne diffusa un’immagine dello Stato e dell’uomo che alla Chiesa e alla fede praticamente non voleva più concedere alcuno spazio. Lo scontro della fede della Chiesa con un liberalismo radicale prima e con un una rivoluzione marxista poi ed anche con scienze naturali che pretendevano di abbracciare con le loro conoscenze solo empiricamente verificabili tutta la realtà fino ai suoi confini, proponendosi capiarbamente di rendere perfino superflua l’“ipotesi di Dio”, aveva provocato nell’ottocento, sotto Pio IX, da parte della Chiesa aspre e radicali condanne di tale spirito dell’età moderna.
Tuttavia anche l’età moderna aveva conosciuto degli sviluppi e Paolo VI, con l’amicizia con alcuni intellettuali, si era documentato di preziosi sviluppi. La rivoluzione americana aveva offerto un modello di Stato moderno e di laicità positiva ben diverso dalla laicità negativa europea e Padre Murray con mons. Carlo Colombo aiutarono Paolo VI per la libertà religiosa. Le scienze naturali cominciavano, in modo sempre più chiaro,a riflettere sul proprio limite, imposto dallo stesso loro metodo che, pur realizzando cose grandiose, tuttavia non era in grado di comprendere la globalità della realtà in tutti fattori cioè la verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza da dove veniamo e a che cosa siamo destinati. Così modernità e Chiesa cominciavano progressivamente ad aprirsi l’una all’altra dopo la rottura radicale modernista. Non era facile un atteggiamento condiviso perché bisognava discernere le decisioni della Chiesa riguardanti cose contingenti - per esempio, certe forme concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia. Bisognava imparare a riconoscere in tali decisioni l’essenzialità della fede duratura nel sottofondo di decisioni particolari, storiche. E fu duro l’impatto soprattutto sulla liberà religiosa anche all’interno del Concilio. Se la libertà di religione viene considerata come espressione dell’incapacità dell’uomo di trovare la verità e di conseguenza diventa canonizzazione del relativismo, allora essa da necessità sociale storica è elevata in modo improprio a livello metafisico ed è così privata del suo vero senso, con la conseguenza di non poter essere accettata da colui che crede che invece ogni uomo è capace di conoscere la verità di Dio e, in base alla dignità interiore della verità, è legato a tale conoscenza. Una cosa completamente diversa è invece il considerare la libertà di religione come una necessità derivante dalla convivenza umana, anzi come intrinseca della verità che non può essere imposta dall’esterno, ma deve essere fatta propria dall’uomo solo mediante il processo di convincimento. Paolo VI fece rifare più volte il Decreto della Dignitatis humanae accogliendo anche le dure critiche di Lefebvre che alla fine votò positivamente il Decreto conciliare. Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa. Essa può essere consapevole di trovarsi con ciò in piena sintonia con l’insegnamento di Gesù stesso (Mt 22,21), come anche con la Chiesa dei martiri, con i martiri di tutti i tempi. Una Chiesa missionaria, che si sa tenuta ad annunciare il suo messaggio a tutti i popoli, deve impegnarsi per la libertà della fede: essa vuole trasmettere il dono della verità che esiste per tutti ed assicura al contempo i popoli e i loro governi di non voler distruggere con ciò la loro identità e le loro culture, ma invece porta loro una risposta che, nel loro intimo, aspettano - una risposta con cui la molteplicità delle culture non si perde, ma cresce invece l’unità tra gli uomini e così anche la pace tra i popoli.
Chi si era aspettato che con questi meravigliosi risultati, e tra questi Paolo VI, la Chiesa prorompesse nell’inno di gioia per aver riavuto in pienezza la coscienza di sé, e con questo “sì” fondamentale all’età moderna tute le tensioni si dileguassero e l’“apertura verso il mondo” o meglio “verso il mondo di oggi” così realizzata trasformasse tutto in pura armonia, aveva sottovaluta sia le interiori tensioni e anche le contraddizioni della stessa età moderna ma anche “il fumo di Satana nel Tempio di Dio”; aveva sottovalutato la pericolosa fragilità della natura umana che in tutti i periodi della storia e in ogni costellazione è una minaccia per il cammino dell’uomo. Però noi dobbiamo rendere grazie a Dio - ha concluso Benedetto XVI - “per il dono di questo grande Papa, ci impegniamo a far tesoro dei suoi insegnamenti e perché volle tributare speciale onore alla Vergine Maria proclamandola ‘Madre della Chiesa’, immagine e modello non solo del cristiano ma, come insegnano i Santi Padri, dell’intero Corpo mistico di Cristo. Invochiamo la materna intercessione di Maria, perché ci ottenga di essere fedeli agli insegnamenti e alla testimonianza di questo indimenticabile Pontefice”.