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Un nuovo costume di vita?

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
L’Italia, un terreno profondamente bisognoso di fronte alla pretesa di un nuovo costume di vita

«L’Italia di oggi si presenta a noi come un terreno profondamente bisognoso e al contempo molto favorevole per una tale testimonianza. Profondamente bisognoso perché partecipa di quella cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è esperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenire superfluo ed estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza di questa cultura, che era una rivendicazione della centralità dell’uomo e della sua libertà. Nella medesima linea, l’etica viene ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Non è difficile vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità: non sia quindi in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente, oltre a non rispondere alle domande fondamentali sul senso e sulla direzione della nostra vita. Perciò questa cultura è contrassegnata da una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza.

L’Italia però costituisce al tempo stesso un terreno assai favorevole per la testimonianza cristiana. La Chiesa, infatti, qui è una realtà molto viva, che conserva una presenza capillare in mezzo alla gente di ogni età e condizione. Le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti, mentre è in atto una grande sforzo di evangelizzazione e catechesi, rivolto in particolare alle nuove generazioni, ma ormai sempre più anche alle famiglie. E’ inoltre sentita con crescente chiarezza l’insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un’etica troppo individualista: in concreto, si avverte la gravità del rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà. Questa sensazione, che è diffusa nel popolo italiano, viene formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono la nostra fede. La Chiesa e i cattolici italiani sono dunque chiamati a cogliere questa grande opportunità, e anzitutto ad esserne consapevoli. Il nostro atteggiamento non dovrà mai essere, pertanto, quello di un rinunciatario ripiegamento su noi stessi: occorre invece mantenere vivo e se possibile incrementare il nostro dinamismo, occorre aprirsi con fiducia a nuovi rapporti, non trascurare alcune delle energie che possono contribuire alla crescita culturale e morale dell’Italia. Tocca a noi infatti - con le nostre povere risorse, ma con la forza che viene dallo Spirito santo - dare risposte positive e convincenti alle attese e agli interrogativi della nostra gente: se sapremo farlo, la Chiesa in Italia renderà un grande servizio non solo a questa Nazione, ma anche all’Europa e al mondo, perché è presente ovunque l’insidia del secolarismo e altrettanto universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo» [Benedetto XVI, Discorso ai Partecipanti al IV Convegno ecclesiale nazionale di Verona].

Il taglio profetico dell’intervento di Benedetto XVI si documenta oggi sia per un tipo di cultura che rappresenta un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità, tipo di cultura che sta esplodendo di fronte al caso di Eluana e sia positivamente per gli interventi di molti e importanti uomini di cultura che, pur non condividendo o almeno non praticando la nostra fede, soffrono con crescente chiarezza l’insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un’etica troppo individualista e avvertono il rischio di staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà con il connubio di giustizia (la politica) e la carità (la Chiesa). E i cattolici italiani sono chiamati a cogliere questa grande opportunità, e anzitutto ad esserne consapevoli di fronte, per esempio ad un articolo, in prima pagina de Il Foglio del 28 luglio 2008 di Giuliano Ferrara. Egli congiunge insieme l’atteggiamento di fede proprio di chi non si permette di giudicare peccatore, colpevole chi commette una colpa e non perde fiducia in nessuno dal momento che con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito in qualche modo con ogni uomo dando a tutti la possibilità fino al momento terminale della vita di rendersene conto, di pentirsi e di ricominciare e nello stesso tempo si rende conto con sufficiente chiarezza dell’insufficienza di una razionalità chiusa in se stessa e di un’etica troppo individualista, risolvendo il conflitto tra carità (Chiesa) e legge (politica) alla sola legge.

“Ho letto un testo del signor Englaro (il padre di Eluana Englaro che con il diritto di tutore, certificato da una doppia sentenza della Cassazione e della Corte civile d’Appello di Milano potrebbe mettere in moto il deperimento e la fine della giovane figlia nel giro di dieci-dodici giorni), sull’Unità di sabato, l’ho trovato intenso e forte, e penso di poter dire conclusivamente che questo padre eseguirebbe come una gioiosa istanza di liberazione quella che a molti di noi sembra una crudele condanna a morte. Lo farebbe con piena convinzione, come persona e come familiare di Eluana, come chi la conosce meglio al mondo, e anche come membro di una società (la consulta di bioetica del professor Maurizio Mori) il cui scopo dichiarato è promuovere gli “stili di vita secolari”, cioè un modo di nascere, vivere e morire nel secolo fuori di ogni ipoteca trascendente o cristiana, laica o secolare, dentro una filosofia dell’esistenza che non prevede l’essere e il suo ordine al di là della materia e del suo funzionamento chimico (come prevede la metafisica), non prevede sostanza e speranza e fede e coltiva invece quel tipo di gioia di vivere naturalistico e nichilistico che sta nel disporre di sé con la massima libertà e padronanza possibile,, concludendo per il nulla quando lo si ritenga giusto. (Aborto, maltrattamento degli embrioni nella fecondazione artificiale ed eutanasia sono tre segni distintivi, ma non gli unici, di questi stili di vita sicuri di sé, vincenti, dominatori, self - righteous, che sarebbero modi di vita stoici se non fondessero in uno l’indifferenza per sé e per gli altri)”.

Non è difficile, come ricorda Benedetto XVI, vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali dell’umanità: non sia quindi più in grado di instaurare un vero dialogo con le altre culture, assolutamente necessario in questo momento di globalizzazione, nelle quali al dimensione religiosa è fortemente presente, oltre a staccarsi con quella modernità che ha rivendicato la centralità di ogni uomo, non suscettibile di essere trattato per l’origine e la destinazione trascendente come ogni altro animale, e della sua libertà.

“Da un momento all’altro - osserva Ferrara - Beppino Englaro, con il conforto dei suoi stimabili amici della consulta bioetica, fior di medici biologi e professori che la pensano diversamente da me o dalle suore (che la accudiscono Eluana come membro di famiglia e sono disposte a continuare a farlo) o dai vescovi sul ciclo finale della vita di persone prive (a livello fenomenologico) di coscienza, potrebbe interrompere la nutrizione di sua figlia Eluana… Sebbene il mio istinto di battermi contro quella decisione, per il suo significato e il suo risvolto pubblico, non gliene vorrei personalmente. (D’altra parte odio l’aborto ma ho amore e compassione per ogni donna costretta ad abortire dalla cultura contemporanea ad abortire la sua creatura, vorrei che la mentalità prevalente del mio tempo elevasse quella strage e quella “violenza indicibile” nel grembo delle donne a tabù, la qualificasse per quello che è, una risposta barbarica, facile, moralmente indifferente al problema del rifiuto di maternità, ma non penso che l’aborto sia una colpa delle donne)… Insisto, tuttavia. Beppino Englaro toglierebbe la nutrizione a sua figlia con emozione, con una remora di dolore ma anche con una spinta felice, e realizzando nel proprio cuore un superiore atto di giustizia, un dare a ciascuno il suo, a sua figlia Eluana la libertà, a lei cara, di non vivere nella costrizione della cura e dell’indisponibilità della propria vita. Ciò che una parte dell’opinione giudica omicidio è missione la più alta di rispetto umano per il padre di Eluana Englaro”.

Purtroppo occorre dirsi la verità sullo stato d’animo e di cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando nel mondo un nuovo costume di vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è empiricamente sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la liberà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare rendendo impossibile gli stessi rapporti sociali e civili, l’educazione una emergenza escludendo Dio dalla vita pubblica. Ma c’è una minoranza in Europa e in Occidente, che in Italia non lo è ancora poiché la Chiesa è una realtà molto viva e ci sono molti e importanti uomini di cultura laici non laicisti che non vogliono staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà, che pensa che Eluana Englaro, da sedici anni priva di coscienza vigile e nutrita e idratata attraverso un sondino nel naso, abbia diritto alla carità cioè all’amore gratuito alla vita nella grande speranza, l’unica realtà eterna, l’unica vita veramente vita che dal trascendente viene e ad esso è destinata. “La maggioranza, e tra questi il padre della ragazza sofferente, giudica questa carità, questa cura non direttamente terapeutica, come un accanimento, una arbitraria prigionia, la arrogante negazione di un diritto a essere se stessi, il prolungamento di un tormento quando non una tortura. Il conflitto tra la società della speranza e quella della disperazione, tra la cultura della carità per il tutto e quella della libertà per il niente, è costernante ma ineludibile… Difficile legiferare su un elemento così filosoficamente inafferrabile come il confine tra la vita e la morte o come il titolo di proprietà dell’esistenza umana. L’unica legge sensata sarebbe quella che in un solo articolo dicesse, risolvendo il conflitto tra carità e legge in modo chiaro, e a favore della carità: nessun malato o portatore di handicap può essere soppresso finché qualcuno nel mondo sia pronto a darsi per la sua amorevole cura”.

Tocca a tutti noi infatti di fronte a casi simili agire e aiutare chi sta soffrendo in modo analogo, convinti che anche la sofferenza fa parte dell’esistenza umana. Certo solo l’amore non di un dio qualsiasi ma di quel Dio che possiede un volto umano e che ci ama sino alla fine, ogni singolo dal concepimento alla morte naturale, e l’umanità nel suo insieme ci dà la possibilità di perseverare senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è “veramente” vita. La proposta di Ferrara “nessun malato o portatore di handicap può essere soppresso finché qualcuno nel mondo sia pronto a darsi per la sua amorevole cura” non è tutto, non l’etica in tutti i suoi aspetti, ma politicamente può essere un utile compromesso e l’Italia potrebbe dare un grande servizio all’Europa e al mondo, perché è presente ovunque l’insidia del secolarismo e altrettanto universale è la necessità di una fede vissuta in rapporto alle sfide del nostro tempo.

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