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Liberi perché liberati

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
La liberazione compiuta, la libertà vera accade nel sì a Dio incontrando la Persona divino-umana di Gesù Cristo nel noi della Sua Chiesa

«San Massimo il Confessore si distinse con estremo coraggio nella difesa dell’ortodossia e non accettava alcuna riduzione dell’umanità di Cristo. Era nata la teoria secondo cui in Cristo vi sarebbe solo una volontà, quella divina. Per difendere l’unicità della sua persona, negavano in Lui una vera e propria volontà umana. E, a prima vista, potrebbe apparire anche una cosa buona che in Cristo ci sia una sola volontà. Ma san Massimo capì subito che ciò avrebbe distrutto il mistero della salvezza, perché una umanità senza volontà, un uomo senza volontà (e quindi senza libertà e amore) non è un vero uomo, è un uomo amputato. Quindi l’uomo Gesù Cristo non sarebbe stato un vero uomo, non avrebbe vissuto il dramma dell’essere umano, che consiste proprio nella difficoltà di conformare la volontà nostra con la volontà dell’essere. E così san Massimo afferma con grande decisione: la Sacra Scrittura non ci mostra un uomo amputato, senza volontà, ma un vero uomo completo: Dio, in Gesù Cristo, ha realmente assunto la totalità dell’essere umano - ovviamente eccetto il peccato - quindi anche una volontà umana. E la cosa, detta così, appare chiara: Cristo o è o non è uomo. Se è uomo, ha anche una volontà. Ma nasce il problema: non si finisce in una sorta di dualismo? Non si arriva ad affermare due personalità complete: ragione, volontà, sentimento? Come superare il dualismo, conservare la completezza dell’essere umano e tuttavia tutelare l’unità della persona di Cristo, che non era schizofrenico. E san Massimo dimostra che l’uomo trova la sua unità, l’integrazione di se stesso, la sua totalità non in se stesso, ma superando se stesso, uscendo da se stesso. Così anche in Cristo, uscendo da se stesso, l’uomo trova in Dio, nel Figlio di Dio, se stesso. Non si deve amputare l’uomo per spiegare l’Incarnazione; occorre solo capire il dinamismo dell’essere umano che si realizza solo uscendo da se stesso; solo in Dio troviamo noi stessi, la nostra totalità e completezza. Così si vede che non l’uomo che si chiude in sé è uomo completo, ma l’uomo che si apre, che esce da se stesso, diventa completo e trova se stesso proprio nel Figlio di Dio, trova la sua vera umanità. Per san Massimo questa visione non rimane una speculazione filosofica; egli la vede realizzata nella vita concreta di Gesù, soprattutto nel dramma del Getsemani. In questo dramma dell’agonia di Gesù, dell’angoscia della morte, della opposizione tra la volontà umana di non morire e la volontà divina che si offre alla morte, in questo dramma del Getsemani si realizza tutto il dramma, il dramma della nostra redenzione. San Massimo ci dice, e noi sappiamo che questo è vero: Adamo (e Adamo siamo noi stessi) pensava che il “no” fosse l’apice della libertà. Solo chi può dire “no” sarebbe realmente libero; per realizzare realmente la sua libertà, l’uomo deve dire “no” a Dio; solo così pensa di essere finalmente se stesso, di essere arrivato al culmine della libertà. Questa tendenza la portava in se stessa anche la natura umana di Cristo, ma l’ha superata, perché Gesù ha visto che non il “no” è il massimo della libertà. Il massimo della libertà è il “sì”, la conformità con la volontà di Dio. Solo nel “sì” l’uomo diventa realmente se stesso; solo nella grande apertura del “sì”, nella unificazione della sua volontà con quella divina, l’uomo diventa immensamente aperto, diventa “divino” (veramente libero). Essere come Dio era il desiderio di Adamo, cioè essere completamente libero. Ma non è divino, non è completamente libero l’uomo che si chiude in se stesso; lo è uscendo da sé, è nel “sì” che diventa libero; e questo è il dramma del Getsemani: non la mia volontà, ma la tua. Trasferendo la volontà umana nella volontà divina, è così che nasce il vero uomo, così siamo redenti. Questo, in brevi parole, è il punto fondamentale di quanto voleva dire san Massimo, e vediamo che qui è veramente in questione tutto l’essere umano; sta qui l’intera questione della nostra vita» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 25 giugno 2008].

Per Benedetto XVI quello di san Massimo non è mai un pensiero solo teologico, speculativo, ripiegato su se stesso, perché ha sempre come punto di approdo la concreta realtà del mondo e della sua salvezza, è in questione tutto l’essere umano, l’intera nostra vita. In questo contesto, nel quale ha dovuto soffrire, non poteva evadere in affermazioni filosofiche solo teoriche; doveva cercare il senso del vivere, chiedendosi: chi sono io, che cosa è il mondo, la storia? All’uomo, creato a sua immagine e somiglianza, Dio ha affidato la missione di unificare il cosmo. E come Cristo ha unificato in se stesso l’essere umano, nell’uomo il Creatore ha unificato il cosmo e la storia. Egli ci ha mostrato come unificare nella comunione con Cristo il cosmo e così arrivare realmente a un mondo redento, a una liturgia cosmica, a una umanità liberata. Al centro di questa “liturgia” rimane sempre Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, centro della storia. L’efficacia della sua azione salvifica, che ha definitivamente unificato il cosmo e la storia, è garantita dal fatto che egli, pur essendo Dio in tutto, è anche integralmente uomo - compresa anche l’“energia” e la volontà dell’uomo, della libertà incompiuta, ferita dal peccato originale, portata a compimento nella sua passione e morte, vissuta nel dramma del Getzemani, della sua agonia, nell’opposizione tra la volontà umana di non morire e la volontà divina che si offre liberamente alla morte cioè per amore, per la salvezza di tutti e di tutto. E’ l’icona del dramma umano di ogni uomo, il dramma del percorso alla libertà compiuta, alla libertà vera.
Se siamo stati pensati e voluti nel Verbo incarnato che rivela non solo chi è Dio, Padre che vuole tutti salvi, ma anche chi è ogni uomo, occorre capire il dinamismo di ogni essere umano che si realizza, arriva alla libertà completa, solo uscendo da se stesso e trovando se stesso proprio nel Figlio di Dio. Se siamo stati pensati e voluti nel Verbo incarnato, questi, vero uomo e vero Dio, è la nostra intelligibilità, il significato ultimo del nostro esserci, e l’incontro con Lui, uscendo da noi stessi, ci fa trovare noi stessi, la nostra liberazione, il compimento della nostra libertà. Così si vede che non l’uomo che si chiude in sé, nel “no” a Dio in Gesù Cristo, nel no al noi della Chiesa, è compiutamente libero, ma ogni uomo che si apre, che esce da se stesso in vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidata, diventa completo, veramente libero e trova se stesso proprio nel Figlio di Dio, trova la sua vera umanità, la libertà compiuta.
La vita e il pensiero di Massimo restano potentemente illuminati da un immenso coraggio nel testimoniare l’integrale realtà di Cristo, senza alcuna riduzione o compromesso. E così emerge anche per noi, oggi tentati da una radicale riduzione dell’uomo a semplice prodotto della natura, come tale privo di volontà, di libertà e per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale, chi è veramente l’uomo, come dobbiamo vivere per rispondere alla nostra vocazione. Dobbiamo vivere uniti a Dio, per essere così uniti in fraternità a noi stessi e al cosmo, dando al cosmo e all’umanità la giusta forma. L’universale “sì” a Cristo, ci mostra anche con chiarezza come dare il giusto collocamento a tutti gli altri valori. Pensiamo a valori oggi giustamente difesi quali la tolleranza, la libertà, il dialogo. “Ma - osserva Benedetto XVI - una tolleranza che non sapesse più distinguere tra bene e male diventerebbe caotica e autodistruttiva. Così pure: una libertà che non rispettasse la libertà degli altri e non trovasse la comune misura delle nostre rispettive libertà, diventerebbe anarchia e distruggerebbe l’autorità. Il dialogo che non sa più su che cosa dialogare diventa una chiacchera vuota. Tutti questi valori sono grandi e fondamentali, ma possono rimanere veri valori soltanto se hanno il punto di riferimento che li unisce e dà loro vera autenticità. Questo punto di riferimento è la sintesi tra Dio e cosmo, è la figura di Cristo nella quale impariamo la verità su noi stessi (come ragione, volontà, sentimento destinati a figli nel Figlio) e impariamo così dove collocare tutti gli altri valori, perché scopriamo il loro autentico significato. Gesù Cristo è il punto di riferimento che dà luce a tutti gli altri valori... E così, alla fine, Cristo ci indica che il cosmo deve divenire liturgia, gloria di Dio e che la adorazione è l’inizio della vera trasformazione, del vero rinnovamento del mondo”.
Benedetto XVI ha concluso con un brano fondamentale di san Massimo: “Noi, adoriamo un solo Figlio, insieme con il Padre e con lo Spirito Santo, come prima dei tempi, così anche ora, e per tutti i tempi, e per i tempi dopo i tempi. Amen!”. Sono parole che traducono ciò che Paolo scrive agli Efesini 1,4-5. Siamo condotti all’origine del nostro esserci: alla sua radice trinitaria eterna. “Ci ha scelti”: ciascuno di noi è stato pensato e voluto fra tante possibili persone umane. Lo sguardo del Padre si è posato su di te, a preferenza di tanti altri: sei stato scelto. Quando è accaduto questo? “…prima dei tempi, prima della creazione del mondo, di tutti i tempi”: il mondo, il succedersi dei tempi, questo cosmo immenso entro cui ti senti un granello di polvere, non esisteva ancora e il Padre ti ha pensato e voluto liberamente, ha scelto te. Se dunque esisti, non è per caso, senza una volontà personale di amore. Ma ci ha pensati e voluti in Cristo, vero Dio e vero uomo, un uomo completo che ha realmente assunto la totalità dell’essere umano, eccetto il peccato e unito a Lui in qualche modo ogni uomo. Quando il Padre ha pensato e voluto Cristo, la Ragione di tutto il creato, ha pensato e voluto anche ciascuno di noi. Con lo stesso atto di pensiero e colla stessa decisione di volontà con cui ha pensato e voluto Cristo, ha pensato e voluto ciascuno di noi, singolarmente presi, predestinandoci ad essere suo figli adottivi “per i tempi dopo i tempi”.

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