Pescatori e... pescati
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«Sul mare della vita e della storia, Maria risplende come Stella di speranza. Non brilla di luce propria, ma riflette quella di Cristo, Sole apparso all’orizzonte dell’umanità, così che seguendo la Stella di Maria possiamo orientarci nel viaggio e mantenere rotta verso Cristo, specialmente nei momenti oscuri e tempestosi.
L’apostolo Pietro ha conosciuto bene questa esperienza, per averla vissuta in prima persona. Una notte, mentre con gli altri discepoli stava attraversando il lago di Galilea, fu sorpreso dalla tempesta. La loro barca, in balia delle onde, non riusciva più ad avanzare. Gesù li raggiunse in quel momento camminando sulle acque, e invitò Pietro a scendere dalla barca e ad avvicinarsi. Pietro fece qualche passo tra le onde ma poi si sentì sprofondare e allora gridò: “Signore, salvami!”. Gesù lo afferrò per la mano e lo trasse in salvo (Mt 14,24-33).
Questo episodio si rivelò poi un segno della prova che Pietro doveva attraversare al momento della passione di Gesù. Quando il Signore fu arrestato, egli ebbe paura e lo rinnegò tre volte: fu sopraffatto dalla tempesta. Ma quando i suoi occhi incrociarono lo sguardo di Cristo la misericordia di Dio lo riprese e, facendolo sciogliere in lacrime lo sollevò dalla sua caduta.
Ho voluto rievocare la storia di san Pietro, perché so che questo luogo e tutta la vostra Chiesa sono particolarmente legati al Principe degli Apostoli. A lui, come all’inizio ha ricordato il vescovo, la tradizione fa risalire il primo annuncio del Vangelo in questa terra. Il Pescatore, pescato da Gesù, ha gettato le reti fin qui, e noi oggi rendiamo grazie per essere stati oggetto di questa “pesca miracolosa”, che dura da duemila anni, una pesca che, come scrive Pietro, “ci ha chiamati dalle tenebre alla ammirabile luce di Dio” (1 Pt 2,9). Per diventare pescatori con Cristo bisogna prima essere “pescati” da Lui. San Pietro è testimone di questa realtà, come lo è san Paolo, grande convertito, di cui tra pochi giorni inaugureremo il bimillenario della nascita. Come successore e vescovo della Chiesa fondata sul sangue di questi due apostoli, sono venuto a confermarvi nella fede in Gesù Cristo, unico salvatore dell’uomo e del mondo» [Benedetto XVI, Visita pastorale in Puglia, 14 giugno 2008].
A questo punto Benedetto XVI ha espresso quello che gli sta sempre a cuore e cioè che “la fede di Pietro e la fede di Maria si coniugano”, attingendo al “duplice principio dell’esperienza cristiana: quello mariano e quello petrino”. Entrambi aiutano continuamente a “ripartire da Cristo”, a rinnovare la fede, perché risponda alle esigenze del nostro tempo. Bisogna ascoltare convinti che la Persona di Gesù Cristo cammina con noi, anzi occorre restare, come Maria e con Maria, sempre in ascolto del Signore nel silenzio della preghiera, ad accogliere con generosa disponibilità la sua Parola col profondo desiderio di offrire se stessi a Dio, la vita concreta di ogni momento, affinché il Verbo eterno, per la potenza dello Spirito Santo, possa ancora “farsi carne oggi nel volto dei suoi per tutti, nella nostra storia”. Contemplando Cristo con Maria in una vita silenziosa, umile e nascosta, la Chiesa tutta va educata a seguire Gesù con fedeltà, ad unirsi a Lui nell’offerta del Sacrificio, a portare nel cuore la gioia della “mutazione” veramente accaduta cioè della sua Risurrezione che interessa ognuno di noi, l’umanità, la storia, il mondo, e a vivere in costante docilità al dono di Lui risorto cioè lo Spirito della Pentecoste. L’ascolto della Parola di Dio cioè di Gesù Cristo, uomo e Dio, nella fede diventa in ogni credente comprensione, meditazione, comunione, condivisione, attuazione e questo è il principio mariano dell’esperienza cristiana che va integrato con quello complementare petrino: esso insegna a “sentire e credere con la Chiesa, saldi nella fede cattolica; vi porterà ad avere il gusto e la passione dell’unità, della comunione, la gioia di camminare insieme con i pastori; e al tempo stesso, vi parteciperà l’ansia della missione, di condividere il Vangelo con tutti, di farlo giungere fino agli estremi confini della terra”.
La Chiesa è nata a Pentecoste, è nata universale e la sua vocazione è parlare tutte le lingue del mondo.
La Chiesa accade, esiste - secondo l’originaria vocazione e missione rivelata ad Abramo - per essere una benedizione a beneficio di tutti i popoli (Gn 12,1-3); per essere, con il linguaggio del Concilio Ecumenico Vaticano II, segno e strumento di unità per tutto il genere umano (Lumen gentium, 1). Tutte le Chiese particolari hanno questa vocazione per rafforzare la propria fede, pur in modi diversi a seconda delle circostanze. “Spiccata” questa vocazione per la Chiesa che è in Puglia, con il Santuario “de finibus terrae” (Santa Maria di Leuca), il cui nome riecheggia una delle ultime parole missionarie di Gesù ai suoi discepoli. Proteso tra l’Europa e il Mediterraneo, tra l’Occidente e l’Oriente, il Santuario ci ricorda che la Chiesa non ha confini, è universale. E i confini geografici, culturali, etnici, addirittura i confini religiosi sono per la Chiesa un invito all’evangelizzazione nella prospettiva della “comunione delle diversità”. E’ questa la sensibilità che va promossa insieme al genuino spirito evangelico: per rafforzare la propria fede occorre annunciarla, comunicarla. Il Signore Gesù, però, è stato molto chiaro nel dire da questo vi riconosceranno come miei amici: l’efficacia della testimonianza è proporzionata all’intensità dell’amore. “ A nulla vale proiettarsi fino ai confini della terra, se prima non ci si vuol bene e non ci si aiuta reciprocamente gli uni gli altri all’interno della comunità cristiana…non solo nella vita di famiglia ecclesiale, ma anche nell’impegno di animazione della realtà sociale”
In un contesto che tende ad incentivare sempre l’individualismo, il primo servizio della Chiesa è quello di educare al senso sociale, all’attenzione per il prossimo, alla solidarietà e alla condivisione
Una delle conseguenze più terribili della drammatica frattura tra Vangelo e cultura è la perdita della coscienza del “bene comune” a livello sociale, economico e politico. Il bene umano vero è sempre comune. E’ un bene condiviso in cui ogni uomo ragionevole si riconosce, mentre gli interessi individuali dividono. Ma il bene comune nella coscienza civile può essere solamente frutto di ottime teorizzazioni? E’ struggente il grido che oggi l’uomo rivolge alla Chiesa: ridateci la possibilità di vivere una vera comunione, senza la quale periamo nella solitudine, la cui sofferenza è infernale. E Benedetto XVI sottolinea: “La Chiesa, dotata com’è dal suo Signore di una carica spirituale che continuamente si rinnova, si rivela capace di esercitare un influsso positivo anche sul piano sociale, perché promuove un’umanità rinnovata e rapporti umani aperti e costruttivi, nel rispetto e nel servizio in primo degli ultimi e dei più deboli”.
Le comunità ecclesiali sono luoghi dove le giovani generazioni possono imparare la speranza, non come utopia, ma come fiducia tenace nella forza del bene. “Il bene - ecco il giudizio di fede, di speranza e di carità di Benedetto XVI - vince e, se a volte può apparire sconfitto dalla sopraffazione e dalla furbizia, in realtà continua ad operare nel silenzio e nella discrezione portando frutti nel lungo periodo. Questo è il rinnovamento sociale cristiano, basato sulla trasformazione delle coscienze, sulla formazione morale, sulla preghiera; sì, perché la preghiera dà la forza di credere e di lottare per il bene anche quando umanamente si sarebbe tentati di scoraggiarsi e di tirarsi indietro… la comunità cristiana non può e non vuole mai sostituirsi alle legittime e doverose competenze delle istituzioni, anzi, le stimola e le sostiene nei loro compiti e si propone sempre di collaborare con esse per il bene di tutti, a partire dalle situazioni di maggiore disagio e difficoltà”.