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Gregorio: la bocca di Cristo

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Non una “sua” dottrina, una sua originalità, ma papa Gregorio è eco dell’insegnamento tradizionale della Chiesa

«Nei suoi scritti, Gregorio non si mostra preoccupato di delineare una “sua” dottrina, una sua originalità. Piuttosto, egli intende farsi eco dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, vuole semplicemente essere la bocca di Cristo e della sua Chiesa sul cammino che si deve percorrere per giungere a Dio. Esemplari sono a questo proposito i suoi commenti esegetici. Egli fu un appassionato lettore della Bibbia, a cui si accostò con intendimenti non semplicemente speculativi: dalla Sacra Scrittura, egli pensava, il cristiano deve trarre non tanto conoscenze teoriche, quanto piuttosto il nutrimento quotidiano per la sua anima, per la sua vita di uomo in questo mondo. Nelle Omelie su Ezechiele, ad esempio, egli insiste fortemente su questa funzione del testo sacro: avvicinare la Scrittura per soddisfare il proprio desiderio di conoscenza significa cedere alla tentazione dell’orgoglio ed esporsi così al rischio di scivolare nell’eresia. L’umiltà intellettuale è la regola primaria per chi cerca di penetrare le realtà soprannaturali partendo dal Libro sacro. L’umiltà, ovviamente, non esclude lo studio serio; ma per far sì che questo risulti spiritualmente proficuo, consentendo di entrare realmente nella profondità del testo, l’umiltà resta indispensabile. Solo con questo atteggiamento interiore si ascolta realmente e si percepisce finalmente la voce di Dio. D’altra parte, quando si tratta di Parola di Dio, comprendere non è nulla, se la comprensione non conduce all’azione. In queste omelie su Ezechiele si trova anche quella bella espressione secondo cui “il predicatore deve intingere la sua penna nel sangue del suo cuore; potrà così arrivare anche all’orecchio del prossimo”. Leggendo queste sue omelie si vede che realmente Gregorio ha scritto con il sangue del suo cuore e perciò ancora oggi parla a noi» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 4 giugno 2008].

Benedetto XVI esemplifica questi criteri di Gregorio attingendo dal Commento morale a Giobbe. Seguendo la tradizione patristica, egli esamina il testo sacro nelle tre dimensioni del suo senso:
- la dimensione letterale;
- la dimensione allegorica;
- la dimensione morale.
Sono tre dimensioni, però, dell’unico senso della Sacra Scrittura, anche se Gregorio attribuisce una netta prevalenza al senso morale attraverso alcuni binomi significativi:
- saper - fare
- parlare - vivere
- conoscere - agire
nei quali evoca i due aspetti della vita umana che dovrebbero essere complementari, ma che spesso finiscono per essere antitetici. La tensione morale cioè il tentare e ritentare con fiducia e speranza anche quando non si riesce, consiste nel realizzare un’armoniosa integrazione tra parola e azione, pensiero e impegno, preghiera e dedizione ai doveri del proprio stato; è questa la strada per realizzare quella sintesi grazie a cui il divino discende progressivamente nell’uomo e l’uomo si eleva progressivamente nella immedesimazione con Dio lasciandosi assimilare a Cristo. “Il grande Papa - osserva Benedetto XVI - traccia così per l’autentico credente (che professa, celebra, prega la fede) un completo progetto di vita (fede vissuta); per questo il Commento morale a Giobbe costituirà nel corso del medioevo una specie di Summa della morale cristiana.

Farsi “predicatori” di quanto si è esperimentato nella fede celebrata, vissuta e pregata
Di rilievo sono pure le Omelie sui Vangeli. Il principio ispiratore, che lega insieme i vari interventi, si sintetizza nella parola “predicator”: non solo il ministro di Dio, ma anche ogni cristiano, ha il compito di farsi “predicatore” di quanto ha esperimentato nel proprio intimo, sull’esempio di Cristo che s’è fatto uomo per portare a tutti l’annuncio della salvezza. E l’orizzonte di questo impegno e di quello escatologico cioè la meta, il destino, il compimento, ultimo da raggiungere ma da avere sempre presente in ogni scelta: l’attesa della speranza affidabile in Cristo di tutte le cose è pensiero costante del grande Pontefice e finisce per diventare ispiratore di ogni suo pensiero e di ogni sua attività. Da qui scaturiscono i suoi incessanti richiami alla vigilanza e all’impegno nelle buone opere.

La figura del vescovo ideale, maestro e guida del suo gregge
Ma il testo più organico di Gregorio Magno è la Regola pastorale, scritta nei primi anni di Pontificato. In essa Gregorio si propone di tratteggiare la figura del Vescovo ideale, maestro e guida del suo gregge. A tal fine illustra la gravità dell’ufficio di pastore della Chiesa e i doveri che esso comporta: pertanto, quelli che a tale compito non sono stati chiamati non lo ricerchino con superficialità, quelli invece che l’avessero assunto senza la debita riflessione sentano nascere nell’animo una doverosa trepidazione. Riprendendo il tema prediletto, egli afferma che il Vescovo è innanzitutto il “predicatore” per eccellenza; come tale egli deve essere innanzitutto di esempio agli altri, così che il suo comportamento possa costituire un punto di riferimento per tutti cioè un educatore. Un’efficace azione pastorale richiede poi che egli conosca i destinatari e adatti suoi interventi alla situazione di ognuno: Gregorio si sofferma ad illustrare le varie categorie di fedeli con acute puntuali annotazioni, “che - osserva Benedetto XVI - possono giustificare la valutazione di chi ha visto in questa opera un trattato di psicologia. Da qui si capisce che egli conosceva realmente il suo gregge e parlava di tutto con gente del suo tempo e della sua città”.
Ma ciò su cui insiste Benedetto XVI è che il grande Pontefice insiste sul dovere che il Pastore ha di riconoscere ogni giorno la propria miseria, in modo che l’orgoglio non renda vano, dinnanzi agli occhi del Giudice supremo, luogo di apprendimento e di esercizio della speranza, il bene compiuto. Non possiamo dimenticare le prime parole di Benedetto XVI da papa: “Servo della Vigna del Signore…strumento insufficiente”, parole che evocano la regola di san Benedetto. Per questo il capitolo finale della Regola è dedicato all’umiltà: “Quando ci si compiace di aver raggiunto molte virtù è bene riflettere sulle proprie insufficienze ed umiliarsi: invece di considerare il ben compiuto, bisogna considerare quello che si è trascurato di compiere”.

La santità è sempre è possibile, anche in tempi difficili
Significativa è pure l’altra opera, i Dialoghi, in cui all’amico e diacono Pietro, convinto che i costumi fossero ormai così corrotti da non consentire il sorgere di santi come nei tempi passati, Gregorio dimostra il contrario: la santità è sempre possibile, anche in tempi difficili. E lo documenta narrando la vita di persone contemporanee o scomparse da poco, che ben potevano essere qualificate sante, anche non canonizzate. San Paolo, davanti ai romani ricchi e potenti ma senza amore e misericordia chiedeva: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”. Poi elenca tutti gli ostacoli più tremendi:”Forse la tribolazione, l’angoscia, al persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada, cioè il martirio?” E risponde: “In tutte queste circostanze siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati” (Rm 8,35-37). Questa è la reazione di fede davanti a circostanze che fanno ostacolo alla nostra vita spirituale e al nostro apostolato: avere l’animo da vincitori, da più che vincitori. Tutto dipende dall’atteggiamento che assumiamo. O crediamo veramente nella Parola del Signore fatta continuamente carne nella Chiesa per tutti e per tutto, il quale ci dice di entrare sin d’ora nel suo Regno di risorto e di far entrare la gente. Allora andiamo avanti, il Signore ci aiuta e siamo degni di fede per i rapporti con Dio, perché siamo pieni di fede. Altrimenti ci lasciamo sopraffare dalle difficoltà, dagli ostacoli che incontriamo, ingigantendoli, e la nostra vita diventa triste e sterile. Non siamo più degni di fede, perché manchiamo di fede; la mancanza di fede è il peccato radicale, quello che sta alla radice di tanti altri peccati. La narrazione è accompagnata da riflessioni teologiche e mistiche che fanno del libro un testo agiografico singolare, capace di affascinare intere generazioni di lettori. La materia è attinta alle tradizioni vive del popolo e ha lo scopo di edificare e formare, attirando l’attenzione di chi legge su una serie di questioni quali il senso del miracolo, l’interpretazione della Scrittura, l’immortalità dell’anima, l’esistenza dell’inferno, la rappresentazione dell’al di là, temi tutti che abbisognano di essere ricordati e di opportuni chiarimenti. Il libro II è interamente dedicato alla figura di Benedetto da Norcia ed è l’unica testimonianza antica sulla vita del santo monaco, la cui bellezza spirituale appare nel testo in tutta evidenza.

Papa Gregorio è rimasto semplice monaco nel suo cuore, orientando pastori e fedeli nell’itinerario spirituale di una lectio divina illuminata e concreta, collocata nel contesto della propria vita
Ai suoi occhi l’evento dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo costituiva un avanzamento del Regno di Dio di cui tratta la Scrittura. Secondo lui le guide della comunità devono essere servi servorum Dei - servus servorum Dei, parola da lui coniata come vera manifestazione del suo modo di vivere e di agire - colpiti dalla non spettacolarità degli interventi di Dio per non provocare atteggiamenti costretti, non liberi, senza amore, umiltà che in Cristo Dio si è fatto nostro servo, ci ha lavato e ci lava i piedi sporchi. Il suo desiderio era di vivere, pur nella fedeltà a tutti gli impegni amministrativi, da monaco in permanente colloquio con la Parola di Dio, ma per amore di Dio seppe farsi servitore di tutti in un tempo pieno di tribolazioni e sofferenze. Ed offre, nelle Omelie su Ezechiele, le indicazioni per quell’atteggiamento interiore per cui si ascolta realmente attraverso la testimonianza del Libro sacro e si percepisce qui e ora finalmente la voce di Dio:
- dalla Sacra Scrittura il cristiano deve trarre non tanto conoscenze teoriche, quanto piuttosto il nutrimento quotidiano per la sua anima, per la sua vita di uomo in questo mondo;
- avvicinare la Scrittura semplicemente per soddisfare il proprio desiderio di conoscenza significa cedere alla tentazione dell’orgoglio ed esporsi così al rischio di scivolare nell’eresia;
- l’umiltà intellettuale è la regola primaria per chi cerca di penetrare le realtà soprannaturali partendo dal Libro sacro;
- l’umiltà, ovviamente, non esclude lo studio serio;
- per far sì che questo risulti spiritualmente proficuo, consentendo di entrare realmente nella profondità del testo, l’umiltà resta indispensabile;
- quando si tratta della Parola di Dio, comprendere non è nulla, se la comprensione non conduce all’azione;
- “il predicatore” deve intingere la sua penna nel sangue del suo cuore; potrà così arrivare anche all’orecchio del prossimo”.

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