Nel cuore dobbiamo tutti rimanere giovani
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«E’ bello essere giovani ed oggi tutti vogliono essere giovani, rimanere giovani, e si mascherano da giovani, anche se il tempo della giovinezza è passato, visibilmente passato. E mi domando - ho riflettuto - perché è bello essere giovani? Perché il sogno della perenne giovinezza? Mi sembra che ci siano due elementi determinanti.
La gioventù ha ancora tutto il futuro davanti a sé, tutto è futuro, tempo di speranza. Il futuro è pieno di promesse. Ad essere sinceri, dobbiamo dire che per molti il futuro è ancora oscuro, pieno di minacce. Non si sa: troverò un posto di lavoro? Troverò una casa? Troverò l’amore? Che sarà il mio vero futuro? E davanti a queste minacce, il futuro può anche apparire come un grande vuoto. Perciò oggi, non pochi vogliono arrestare il tempo, per paura di un futuro nel vuoto. Vogliono consumare tutte le bellezze della vita. E così l’olio nella lampada è consumato, quando comincerebbe la vita.
Perciò è importante scegliere le vere promesse, che aprono al futuro, anche con rinunce. Chi ha scelto Dio, ancora nella vecchiaia ha un futuro senza fine e senza minacce davanti a sé. Quindi, è importante scegliere bene, non distruggere il futuro. E la prima scelta fondamentale deve essere Dio, Dio rivelatosi nel Figlio Gesù Cristo, e nella luce di questa scelta, che ci offre allo stesso tempo una compagnia nel cammino, una compagnia affidabile che non mi lascia mai, nella luce di questa scelta si trovano i criteri per le altre scelte necessarie. Essere giovane implica essere buono e generoso. E di nuovo la bontà in persona è Gesù Cristo. Quel Gesù che voi conoscete o che il vostro cuore cerca. Lui è l’Amico che non tradisce mai, fedele fino al dono della vita in croce. Arrendetevi al suo amore! Come portate scritto sulle magliette preparate per questo incontro: “scioglietevi” davanti a Gesù, perché Lui solo può sciogliere le vostre ansie e i vostri timori e colmare le vostre attese» [Benedetto XVI, Incontro con i giovani a Genova, 18 maggio 2008].
Benedetto XVI, nell’incontro con i Giovani in Piazza Matteotti a Genova, ha riproposto il n. 30 della Spe salvi, adattandola a loro. Ogni uomo ha, nel succedersi dei giorni molte speranze - più piccole e più grandi - diverse nei diversi periodi della sua vita. Da giovani si è pieni di speranze, di promesse. A volte può sembrare che una di queste speranze possa soddisfare totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. Da giovani può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell’uno e dell’altro successo determinante per il resto della vita. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà il tutto, anche se fanno intravedere e anticipano il tutto. Si rende evidente che ogni uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre, che può bastargli solo qualcosa di infinito per apprezzare anche il finito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che si può raggiungere. Ma soprattutto i giovani hanno bisogno di tante speranze - più piccole e più grandi, che giorno per giorno, li mantengono in cammino, in azione per migliorare il mondo. Ma senza la grande speranza esse non bastano. Questa grande speranza, originariamente nel cuore di tutti come il grande desiderio, può essere colmata solo da Dio, che abbraccia l’universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Dio è il fondamento della speranza - non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Egli ha dato la vita per noi, per ciascuno di noi. Può tradire la nostra fiducia? Può condurci per sentieri sbagliati quando le sue sono vie della vita, quelle che portano ai pascoli dell’anima, anche se salgono verso l’alto e sono ardite, capaci di giustificare la fatica del cammino. Occorre coltivare la vita spirituale (sentire, intendere, volere) perché Gesù ha detto: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Gesù non fa giri di parole, è chiaro e diretto e rivela la realtà in tutti gli ambiti cioè la verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza sul sapere da dove veniamo e dove andiamo, chi siamo. Tutti lo comprendono e prendono posizione. La vita di ogni anima vive solo nell’incontro con Lui, in Lui e di Lui, volto concreto di Dio; è preghiera silenziosa e perseverante, soprattutto è vita sacramentale, è Vangelo meditato, è accompagnamento spirituale, è appartenenza cordiale, tramite concreti vissuti fraterni di amicizia e comunione, alla Chiesa, attraverso le comunità ecclesiali, le parrocchie. La meta non è un al di là immaginario, posto in futuro che non arriva mai; la meta si fa già presente là dove la Persona di Gesù Cristo incontrato è amato e dove il suo amore ci raggiunge attraverso l’attrattiva uomo - donna, volti fraterni, un amore che non muore mai, una vita di amore veramente vita. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, mantenendo il cuore sempre giovane in un mondo che, per sua natura, è imperfetto. E il suo amore è per ogni giovane la garanzia che esiste ciò che il suo cuore solo vagamente intuisce attraverso tutte le piccole speranze e nell’intimo desidera: la vita che è “veramente” vita cioè l’amore.
La conoscenza spinge all’amore e l’amore stimola la conoscenza
Per trovare l’amore con Cristo, perché i giovani lo possano trovare realmente come compagno della loro vita devono incontrare adulti o altri giovani che lo testimonino e lo offrano come ipotesi da verificare e accogliere liberamente: è l’educazione, è la cultura in famiglia, in parrocchia, in ambienti di vita, nella scuola, nella società. Proprio come quei due discepoli che sentendo le parole del testimone, di Giovanni Battista, verificano la verità dell’annuncio, lo seguono e dicono in modo timido: “Rabbì, dove abiti?”, perché vogliono conoscerlo da vicino, vogliono verificare se è l’attesa del loro cuore. Ed è lo stesso Gesù che, parlando con i discepoli, distingue: “Chi dice la gente che io sia”, riferendosi a coloro che lo conoscono da lontano, per così dire, “di seconda mano”, per sentito dire, e “Chi dite voi che io sia?”, riferendosi a coloro che lo conoscono di “prima mano”, avendo vissuto con Lui, essendo entrati realmente nella sua vita personalissima fino ad essere testimoni del suo colloquio con il Padre, della sua orazione. Così anche per noi è importante non ridurci semplicemente, formalmente alla superficialità di tanti che hanno sentito parlare di Lui, di qualche cosa di Lui - che era una grande personalità di due mila anni fa, ecc. - ma entrare in una relazione personale attraverso il dono del Suo Spirito per conoscerlo realmente. E questo esige la conoscenza della Scrittura, dei Vangeli soprattutto, attraverso cui il Signore come parlava allora parla con noi qui e ora. Non sempre sono facili queste parole, anima della preghiera, della liturgia, della catechesi, ma entrando progressivamente in esse, entrando in ascolto e dialogo con Lui, bussando alla porta delle parole, dicendo con il cuore, con il bisogno Signore aprimi, troviamo realmente parole di vita eterna cioè di amore, parole vive cioè di Lui per oggi, attuali come lo erano in quel momento e come lo saranno in futuro. Questo colloquio reciproco con il Signore attraverso la Scrittura deve essere sempre anche un colloquio non solo individuale, ma comunionale, nella grande comunione ininterrotta della Chiesa, dove la Persona di Cristo è sempre presente, nella comunione della liturgia, dell’incontro personalissimo della Santa Eucaristia e del sacramento della Riconciliazione, dove il Signore dice a me “Ti perdona”. Lo si incontra anche aiutando i poveri bisognosi, avendo tempo per l’altro. Ci sono tante dimensioni per entrare in rapporto con Lui, nella conoscenza di Gesù. Utilissime le vite dei Santi che ci aiutano a cogliere chi e come si è lasciato assimilare a Lui in modo significativo anche per noi. Solo così in un rapporto personale con Lui, conoscendo personalmente Gesù, possiamo comunicare questa amicizia agli altri, come ipotesi da verificare e liberamente accogliere, è l’educazione, è la cultura. Possiamo superare una delle più terribili negatività cioè l’indifferenza propria di chi dà l’impressione di non aver bisogno di un Dio, pur percependo l’inquietudine di chi esperimenta che manca molto alla loro vita. Solo avendo scoperto Gesù ci si rende conto di ciò che manca: “era proprio quello che aspettavo”. E noi, quanto più siamo realmente amici di Gesù consapevolmente, tanto più possiamo aprire il cuore anche agli altri, essere testimoni, perché anche loro diventino veramente giovani, avendo cioè davanti a sé un grande futuro.
La fiducia, la speranza, l’amore cioè la vita eterna si rafforza annunciando Cristo Signore, unica speranza del mondo
Benedetto XVI ha dato un mandato missionario: “Andate, carissimi giovani, negli ambienti di vita, nelle vostre parrocchie, nei quartieri più difficili, nelle strade! Annunciate Cristo Signore, speranza del mondo. Quanto più l’uomo si allontana da Dio, la sua Sorgente, tanto più smarrisce se stesso, la convivenza umana diventa difficile, e la società si sfalda. State uniti tra voi, aiutatevi a vivere e crescere nella fede e nella vita cristiana, per poter essere testimoni arditi del Signore. State uniti, ma non rinchiusi. Siate umili, ma non pavidi. Siate semplici, ma non ingenui. Siate pensosi, ma non complicati. Entrate in dialogo con tutti, ma siate voi stessi. Restate in comunione con i vostri Pastori: sono ministri del Vangelo, della divina Eucaristia, del perdono di Dio. Sono per voi padri e amici, compagni della vostra strada. Voi avete bisogno di loro, e loro - noi tutti - abbiamo bisogno di voi”.