L'unità non è un optional
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«Vi esorto - scrive Paolo alla comunità cristiana di Efeso - a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto… cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace (Ef 4, 1-3). Quindi al termine del suo appassionato appello all’unità, Paolo ricorda ai suoi lettori che Gesù, una volta asceso al cielo, ha riversato sugli uomini tutti i doni necessari all’edificazione del Corpo di Cristo (Ef 4,11-13) (che è la Chiesa sul fondamento del corpo nato da Maria, del corpo del crocifisso risorto che è l’eucaristia, culmine e fonte di tutti i sacramenti).
Con non minore forza risuona oggi l’esortazione di Paolo. Le sue parole infondono in noi certezza che il Signore non ci abbandonerà mai nella nostra ricerca dell’unità. Ci invitano altresì a vivere in modo da rendere testimonianza al quel “cuore ed anima sola” (At 4.32), che è sempre stato il tratto caratteristico della koinonia cristiana (At 2,42), e la forza che attrae coloro che sono al di fuori ad entrare a far parte della comunità dei credenti in modo che possano anch’essi condividere le “imperscrutabili ricchezze di Cristo” (Ef 3,8).
La globalizzazione ha posto l’umanità tra due estremi. Da una parte, il crescente senso di interrelazione e interdipendenza tra i popoli anche quando - parlando in termini geografici e culturali - sono tra loro distanti. Questa nuova situazione offre la possibilità di migliorare il senso della solidarietà globale e della condivisione delle responsabilità per il bene dell’umanità. D’altra parte, non si può negare che i rapidi cambiamenti che avvengono nel mondo presentano anch’essi alcuni segni molesti di frammentazione e di ripiegamento nell’individualismo. L’impiego sempre più esteso dell’elettronica nel mondo delle comunicazioni ha paradossalmente comportato un aumento dell’isolamento. Molti - inclusi i giovani - cercano per questa ragione forme più autentiche di comunità. E’ anche fonte di grave preoccupazione il diffondersi dell’ideologia secolarista che mina e addirittura rigetta la verità trascendente. La stessa possibilità di una rielezione divina, quindi della fede cristiana, è spesso messa in discussione da mode di pensiero ampiamente presenti negli ambienti universitari, nei mass- media e nell’opinione pubblica. Per questi motivi, è quanto mai necessaria una fedele testimonianza del Vangelo. Si chiede ai cristiani di rendere ragione con chiarezza della speranza che è in essi (1 Pt 3,15)» [Benedetto XVI, Incontro ecumenico nella Chiesa di St. Joseph di New York, 18 aprile 2008].
Si tratta, oggi, di nuovi problemi drammatici per tutte le confessioni cristiane che provocano l’urgenza, addirittura la necessità di affrontarli insieme. Troppo spesso i non Cristiani, che osservano la frammentazione delle comunità cristiane tra loro e al loro interno, restano a ragione confusi circa lo stesso messaggio del Vangelo da chiunque venga annunciato. Credenze e comportamenti cristiani fondamentali vengono a volte modificati in seno alle comunità da cosiddette “azioni profetiche” fondate su un’ermeneutica non sempre in consonanza con il dato della Scrittura e della Tradizione. Di conseguenza le comunità rinunciano ad agire come corpo unito, e preferiscono invece operare secondo il principio delle “opzioni locali”. In tale processo, si smarrisce da qualche parte il bisogno di una koinonia diacronica -la comunione con la Chiesa di tutti i tempi poiché lo strumento della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità. Si chiama Tradizione - proprio nel momento in cui il mondo ha smarrito l’orientamento e ha bisogno di testimonianze comuni e convincenti del potere salvifico del Vangelo (Rm 1, 18-23).
Di fronte a queste drammatiche difficoltà sia all’interno della Chiesa cattolica e sia a livello ecumenico dobbiamo in primo luogo ricordarci che l’unità della Chiesa deriva dalla perfetta unità della Trinità. Il Vangelo di Giovanni ci dice che Gesù ha pregato il Padre perché i suoi discepoli possano essere una cosa sola, “come tu… sei in me e io in te” (Gv 17,21). Questo passo riflette la ferma convinzione della comunità cristiana delle origini che la sua unità era frutto e riflesso dell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ciò, a sua volta, mostra che la coesione reciproca dei credenti era fondata sulla piena integrità della confessione del loro credo (1 Tm 1, 3-11). In tutto il Nuovo Testamento noi troviamo che gli Apostoli furono ripetutamente chiamati a rendere ragione della loro fede sia ai Gentili (At 17, 16 - 34) che ai Giudei (At 4,5-22; 5,27-42). Il nucleo centrale della loro argomentazione fu sempre il fatto storico della risurrezione corporea del Signore dalla tomba (At 17,16-34). L’efficacia ultima della loro predicazione non dipendeva dalla “parole ricercate” o da “sapienza umana” (1 Cor 2,13), ma piuttosto dall’azione dello Spirito (Ef 3,5) che confermava l’autorevole testimonianza degli Apostoli (1 Cor 15,1-11). Il nucleo della predicazione di Paolo e della Chiesa delle origini non era altro che Gesù Cristo, e “questi crocefisso” (1 Cor 2,2). E questa proclamazione doveva essere garantita dalla purezza della dottrina espressa nelle formule di fede - i simboli - che articolavano l’essenza della fede cristiana e costituivano il fondamento dell’unità dei battezzati (1 Cor 15,3-5; Unitatis redintegratio, 2).
Il Papa esprimendo il sincero apprezzamento per l’inestimabile opera di tutti coloro che sono impegnati nell’ecumenismo e sottolineando il contributo offerto al movimento ecumenico dai Cristiani degli Stati Uniti a tutto il mondo, ha detto: “Miei cari amici, la forza del kerigma non ha perso nulla del suo interiore dinamismo. Pur tuttavia dobbiamo chiederci se il suo pieno vigore non sia stato attenuato da un approccio relativistico della dottrina cristiana simile a quello che troviamo nelle ideologie secolarizzate, che, con il sostenere che solo la scienza è “oggettiva”, relegano completamente ogni confessione religiosa nella sfera soggettiva del sentimento dell’individuo. Le scoperte scientifiche e le loro realizzazioni attraverso l’ingegno umano offrono senza dubbio all’umanità nuove possibilità di miglioramento. Questo non significa, tuttavia, che il “conoscibile” sia limitato a ciò che è empiricamente verificabile, né che la religione sia confinata nel regno del mutevole della “esperienza personale”.
L’accettazione distruttiva di questa erronea linea di pensiero porterebbe tutti i Cristiani a concludere che nella presentazione della fede cristiana non è necessario sottolineare la verità oggettiva, perché non si deve che seguire la propria coscienza e scegliere quella comunità che meglio incontra i propri gusti personali. Il risultato è riscontrabile nella continua proliferazione di comunità che sovente evitano strutture istituzionali e minimizzano l’importanza per la vita cristiana di ogni contenuto dottrinale, annullando così ogni problema ecumenico perché si dissolvono tutte le confessioni.
In questo generale contesto culturale anche all’interno del movimento ecumenico i Cristiani possono mostrarsi riluttanti ad asserire il ruolo della dottrina per timore che esso possa soltanto esacerbare piuttosto che curare le ferite della divisione. Malgrado ciò, una chiara e convincente testimonianza resa alla salvezza operata per noi in Cristo Gesù non può non basarsi che sulla nozione di un insegnamento apostolico normativo - un insegnamento che davvero sottolinei la parola ispirata di Dio e sostenga la vita sacramentale dei Cristiani di oggi. Soltanto “restando saldi” all’insegnamento sicuro (2 Ts 2,15) possiamo riuscire a rispondere alle sfide con cui tutti siamo chiamati a confrontarci in un mondo che cambia. Soltanto così possiamo dare una testimonianza ferma alla verità del Vangelo e al suo insegnamento morale. Questo è il messaggio che il mondo si aspetta da noi. “Così come i primi Cristiani - ha concluso il Papa nell’incontro ecumenico -, abbiamo la responsabilità di dare una testimonianza trasparente delle “ragioni della nostra speranza”, così che gli occhi di tutti gli uomini di buona volontà possano aprirsi per vedere che Dio ha manifestato il suo volto (2 Cor 3,12-18) e ci ha permesso di accedere alla sua vita divina attraverso Gesù Cristo. Lui solo è la nostra speranza! Dio ha rivelato il suo amore per tutti i popoli attraverso il mistero della passione e morte del suo Figlio, e ci ha chiamati a proclamare che è veramente risorto, si è seduto alla destra del Padre e “ di nuovo verrà”, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti”.
Come all’interno della Chiesa cattolica muoverci insieme uniti verso quel vero rinnovamento voluto dal Concilio?
Nell’omelia della Messa nella cattedrale di Saint Patrick davanti a Vescovi, sacerdoti, diaconi, uomini e donne di vita consacrata, seminaristi degli Stati Uniti Benedetto XVI ha fatto una confessione che fa molto pensare: “Una delle grandi delusioni che seguirono il Concilio Vaticano II, con la sua esortazione ad un più grande impegno nella missione della Chiesa per il mondo, sia stata per tutti noi l’esperienza di divisione tra gruppi diversi, generazioni diverse e membri diversi della stessa famiglia religiosa. Possiamo andare avanti solo se insieme tutti fissiamo il nostro sguardo su Cristo! Nella luce della fede scopriremo allora la sapienza e la forza necessarie per aprirci verso punti di vista che eventualmente non coincidono del tutto con le nostre idee o i nostri presupposti. Così possiamo valutare i punti di vista di altri, siano essi più giovani o i più anziani di noi, e infine ascoltare “ciò che lo Spirito dice” a noi e alla Chiesa (Ap 2,7). In questo modo ci muoveremo insieme verso quel vero rinnovamento spirituale che voleva il Concilio, un rinnovamento che, solo, può rinforzare la Chiesa nella santità e nell’unità indispensabili per la proclamazione del Vangelo nel mondo di oggi”.
C’è la necessità di riconoscere e rispettare i doni di ogni singolo membro del corpo come “manifestazione dello Spirito per l’utilità comune” (1 Cor 12,7)
Il Papa ha tratto lo spunto dall’unità di una cattedrale gotica che non è l’unità statica di un tempio classico, ma un’unità nata dalla tensione dinamica di forze diverse che spingono l’architettura in alto, orientandola verso il cielo. Anche qui possiamo vedere un simbolo dell’unità della Chiesa che è unità come san Paolo ci dice - di un corpo vivo composto da molte membra diverse, ognuno con il proprio ruolo e la propria determinazione. Anche qui vediamo la necessità di riconoscere e rispettare i doni di ogni singolo membro del corpo come “manifestazioni dello Spirito per l’utilità comune” (1 Cor 12,7). Certo, nella struttura della Chiesa voluta da Dio occorre distinguere tra i doni gerarchici e quelli carismatici (Lumen gentium, 4). Ma proprio la varietà e la ricchezza delle grazie concesse dallo Spirito ci invitano costantemente a discernere come questi doni debbano essere inseriti in modo giusto nel servizio della missione della Chiesa. Il Papa si è quindi rivolto alle varie vocazioni. “Voi, cari sacerdoti, mediante l’ordinazione sacramentale siete stati conformati a Cristo, Capo del Corpo. Voi, cari diaconi siete stati ordinati per il servizio di questo Corpo. Voi, cari religiosi e religiose, sia contemplativi che dediti all’apostolato, avete consacrato la vostra vita alla sequela del Maestro divino nell’amore generoso e nella piena fedeltà al suo Vangelo. Tutti voi che oggi riempite questa cattedrale, così come i vostri fratelli e sorelle anziani, malati o in pensione che uniscono le loro preghiere e i loro sacrifici al vostro lavoro, siete chiamati ad essere forze di unità all’interno del Corpo di Cristo. Mediante la vostra testimonianza personale e la vostra fedeltà al ministero o all’apostolato a voi affidato preparate la via allo Spirito. Poiché lo Spirito non cessa mai di effondere i suoi doni abbondanti, suscitare nuove vocazioni e nuove missioni e di guidare la Chiesa alla verità tutta intera (Gv 16,13). Volgiamo dunque il nostro sguardo in alto! E con grande umiltà e fiducia chiediamo allo Spirito di metterci ogni giorno di crescere nella santità che ci renderà pietre vive nel tempio che Egli sta innalzando proprio adesso in mezzo al mondo. Se dobbiamo essere forze vere di unità, allora impegniamoci ad essere i primi a cercare una riconciliazione interiore mediante la penitenza! Perdoniamo i torti subiti e soffochiamo ogni sentimento di rabbia e di contesa! Impegniamoci ad essere i primi a dimostrare l’umiltà e la purità di cuore necessarie per avvicinarci allo splendore della verità di Dio! In fedeltà al deposito della fede affidato agli Apostoli (1 Tm 6,20), impegniamoci ad essere gioiosi testimoni della forza trasformatrice del Vangelo!”
Invitando tutti, in conformità con le tradizioni più nobili della Chiesa che è negli Stati Uniti, ad essere i primi amici del povero, de profugo, dello straniero, del malato e di tutti i sofferenti, ha detto: “Agite come fari di speranza, irradiando la luce di Cristo nel mondo ed incoraggiando i giovani a scoprire la bellezza di una vita donata completamente al Signore e alla sua Chiesa! Rivolgo questo appello in modo speciale ai tanti seminaristi e giovani religiose e religiosi qui presenti. Ciascuno di voi ha un posto particolare nel mio cuore. Non dimenticate mai che siete chiamati a portare avanti, con tutto l’entusiasmo e la gioia che vi dona lo Spirito, un’opera che altri hanno cominciato, un patrimonio che un giorno anche voi dovete passare ad una nuova generazione. Lavorate con generosità e gioia, perché Colui che servite è il Signore!”