Condividi:

“Questo Papa porta in sé l’eredità di Adalberto”

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it

«Già nell’Omelia che pronunziai a Gniezno, il 3 giugno 1979, non potei non attestare pubblicamente la riconoscenza che tutti i Popoli slavi, e la mia Patria in particolare, debbono al Santo Vescovo e martire boemo… nella medesima Omelia, aggiunsi: “Questo Papa porta in sé stesso l’eredità di Adalberto”… L’esempio di Sant’Adalberto e degli altri grandi fondatori dell’Europa cristiana ci incoraggia a cercare e trovare “una piattaforma di incontro tra le varie tensioni e le varie correnti di pensiero, per evitare ulteriori tragedie e soprattutto per dare all’uomo, al “singolo” che cammina per veri sentieri verso la Casa del Padre, il significato e la direzione dell’esistenza”.
S. Adalberto è il modello dell’intellettuale divenuto Vescovo, evangelizzatore e riformatore, e che, in una totale donazione della propria vita, giunge al martirio per la causa di Cristo. Egli fu pieno di misericordia verso tutti, ma anche pronto a difendere con forza la dignità e i diritti di ogni uomo contro le oppressioni e vessazioni dei potenti. Egli ci è di esempio anche nel modo di impegnarci per la vera riconciliazione tra gli uomini e i cristiani» (Messaggio di Giovanni Paolo II al Vescovo di Verona per le celebrazioni in onore di Sant’Adalberto, 2 aprile 1983).
«Il suo “Non abbiate paura” non era fondato sulle forze umane, né sui successi ottenuti, ma solamente sulla Parola di Dio, sulla Croce e sulla Risurrezione di Cristo. Via via che egli veniva spogliato di tutto, da ultimo anche della stessa parola, questo affidamento a Cristo è apparso con crescente evidenza. Come accadde a Gesù, pure per Giovanni Paolo II alla fine le parole hanno lasciato il posto all’estremo sacrificio, al dono di sé. E la morte è stata il sigillo di un’esistenza tutta donata a Cristo, a Lui conformata anche fisicamente nei tratti della sofferenza e dell’abbandono fiducioso nelle braccia del Padre celeste. “Lasciate che vada al Padre”, queste - testimonia chi gli fu vicino - furono le sue ultime parole, a compimento di una vita totalmente protesa a conoscere e contemplare il volto del Signore» [Benedetto XVI nel III anniversario della morte del Servo di Dio Giovanni Paolo II, 2 aprile 2008].

Chi, anche nell’esercizio del ministero petrino, nutriva una fede straordinaria nella Persona di Cristo Risorto e con Lui intratteneva una conversazione intima, singolare e ininterrotta aveva luce per il percorso da compiere. Percorso che troviamo descritto in un messaggio “Al Venerabile Fratello GIUSEPPE AMARI Vescovo di Verona” del 2 aprile 1983 in occasione della celebrazione in forma solenne del millesimo anniversario della consacrazione episcopale, avvenuta nella città scaligera, di Sant’Adalberto a Vescovo di Praga, evangelizzatore dell’Ungheria, della Polonia.
Questo avvenimento - scriveva il Servo di Dio -desta nel mio animo una profonda gioia spirituale. Si tratta di una ricorrenza estremamente significativa per mettere in luce il legame tra le Nazioni dell’Occidente e dell’Oriente Europeo nella fede cristiana, base di un’unica cultura e civiltà”.

Le comuni radici cristiane della Nazioni europee
Sant’Adalberto è di origine slava: il suo nome di Battesimo era “Vojtech”, che significa “consolazione dell’esercito”, e sotto questo nome è soprattutto conosciuto presso gli Slavi. La sua prima formazione dipese dalla spiritualità cirillo - metodiana, irradiata nella Boemia dalla confinante Grande Moravia. Successivamente, a tale spiritualità si congiunse, nella sua persona, quella occidentale, rappresentata al suo tempo dal movimento cluniacense, facente capo a San Benedetto. Secondo Giovanni Paolo II, si tratta di due forme di cultura diverse, ma allo stesso tempo profondamente complementari: la cultura benedettina, “più logica e razionale”;quella dei due Santi Fratelli greci, “più mistica e intuitiva”. Sembra una profezia della caratteristica del servo di Dio Giovanni Paolo II, dotato, tra le tante qualità umane e soprannaturali, di una eccezionale sensibilità spirituale e mistica, e il suo successore che porta il nome di Benedetto che accentua nel connubio di Logos e Amore, il logos, la ricerca della ragione. Queste due forme di cultura hanno concorso allora e devono concorrere oggi, in forza di tale loro mutua complementarietà di fede - ragione - amore, al mantenimento e al rafforzamento dell’unità spirituale e culturale dell’Europa con l’unica Chiesa di Cristo che respira con il polmone orientale e occidentale.
Urge ritrovare le antiche comuni sorgenti, affinché “la consapevolezza di questa comune ricchezza, diventata su strade diverse patrimonio delle singole città del Continente europeo, aiuti le generazioni contemporanee a perseverare nel reciproco rispetto dei giusti diritti di ogni Nazione e nella pace, non cessando di rendere i servizi necessari al bene comune di tutta l’umanità e al futuro dell’uomo su tutta la terra” (Lett. Apost. “Egregiae virtutis”, 31 Dicembre 1981).
Per Giovanni Paolo II l’esempio di Sant’Adalberto si presenta oggi più che mai valido in un’Europa che, pur conservando il tesoro inestimabile della Verità cristiana, vede tuttavia risorgere nel proprio seno, in varie forme, i fermenti di dissoluzione propri di quel pensiero pagano senza Dio e senza speranza che era stato superato dalla novità del Vangelo, grazie all’opera generosa ed eroica dei primi missionari, tra i quali appunto il Santo Patrono di Praga.

Il dramma attuale della frattura tra Vangelo e cultura in Europa e in tutto l’Occidente
Questo giudizio il cardinal Vojtyla l’aveva espresso nell’intervento introduttivo e conclusivo al Sinodo del 1974 sull’Evangelizzazione del mondo contemporaneo, giudizio recepito e fatto proprio dall’Esortazione post- sinodale Evangelii nuntiandi di Paolo VI, cui contribuì molto l’arcivescovo di Cracovia. Occorre oggi riproporre il medesimo messaggio, in forme certo adatte agli uomini del nostro tempo come ha richiesto il Concilio Vaticano II ed esemplarmente offerto prima dal teologo Ratzinger per esempio con Introduzione al Cristianeismo e oggi in uno stile magisteriale essenziale da Benedetto XVI; si tratta di mostrare come il Cristianesimo non è una esperienza storica superata, da nuove forme di redenzione umana e quindi da buttare nel cestino, ma è, resta e sarà sempre la più grande “mutazione” mai accaduta nella storia, un fatto cioè il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazaret, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo. Mentre le dottrine nascono, i ritrovati della scienza e della tecnica che l’uomo con le sole sue forze può escogitare fanno fortuna, incantano magari anche per secoli, poi decadono e muoiono il cristianesimo è essenzialmente un fatto: Cristo è risorto ed è vivo, ci comunica l’unica speranza affidabile di una vita veramente vita, una divinizzazione del nostro essere per l’eternità, in virtù del quale possiamo affrontare il presente, anche un presente faticoso, che può essere vissuto e accettato perché conduce verso una meta sicura, una meta così grande da giustificare la fatica del cammino. E proprio perché un fatto, il cristianesimo resta indipendentemente dall’accoglienza e dal numero delle adesioni che riceve.
La storia ci documenta che il cedere alla tentazione di lasciarlo per le “ideologie” di questo mondo, pensando di trovarle “più avanzate” o più efficaci, in realtà non fa andare avanti, ma tornare indietro. “Questo - è il giudizio storico del Servo di Dio - dovrebbe insegnarci la recente storia europea, nella quale si può costatare che l’acconsentire a quella tentazione non è stato senza rapporto con le catastrofi nelle quali essa è precipitata, sperimentando forme di barbarie sconosciute agli stessi antichi pagani”.
Per Giovanni Paolo II l’esempio di Sant’Adalberto e degli altri grandi fondatori dell’Europa cristiana incoraggia a cercare e a trovare una piattaforma d’incontro tra l varie tensioni e le varie correnti di pensiero per evitare ulteriori tragedie e soprattutto per dare all’uomo, al “singolo” che cammina per vari sentieri verso la Casa del Padre, il significato e la direzione dell’esistenza. Questa grandiosa luce e forza spirituale Egli la traeva da due sorgenti che non sapeva distinguere: una profonda sete di studio, di contemplazione e di vita austera da una parte; e, dall’altra, una assoluta fedeltà alla Chiesa e al Sommo Pontefice. Gli spostamenti stessi che egli compì nella sua vita testimoniano sensibilmente di questo duplice movimento del suo spirito tra il momento dell’azione missionaria e quello della quiete contemplativa accanto al Vicario di Cristo, a Roma, dove visse alcuni anni in un monastero sull’Aventino. Egli stesso, ritornato i Boemia, fondò presso Praga il monastero di Brevnov (992 - 993), che dette un forte impulso all’irradiazione del cristianesimo verso est. Quanto il servo di Dio ha fatto, sull’esempio di Sant’Adalberto perché le generazioni odierne raccogliessero l’insegnamento del Patrono di Praga, come di tutti i Santi che si sono mossi nello stesso spirito, a cominciare da Benedetto, Cirillo e Metodio per trovare in essi i criteri e i maestri di una nuova speranza e di un nuovo avvenire per l’Europa cristiana e, attraverso di essa, per il mondo intero, per attuare un vero e pieno rispetto di ogni persona umana fatta ad immagine di Dio.

“Mentre offriamo per la sua anima eletta il Sacrificio redentore, lo preghiamo di continuare a intercedere dal Cielo per ciascuno di noi, per me in modo speciale, che la Provvidenza ha chiamato a raccogliere la sua inestimabile eredità spirituale, di proseguire fedelmente senza compromessi la sua missione evangelizzatrice, diffondendo senza stancarsi l’amore misericordioso di Cristo, sorgente di vera pace per il mondo intero”.
In questa invocazione conclusiva di Benedetto XVI alla celebrazione del III anniversario rileviamo una fiducia, una speranza che non viene meno nella drammaticità della “dittatura del relativismo” in tutto l’occidente con una rivoluzione culturale in cui Dio sembra divenuto superfluo anzi estraneo, insignificante la fede. Sta esplodendo in tutto l’occidente una trasformazione del modo di pensare, di sentire e di agire che punta a creare una società che non abbia altro orizzonte che il nostro mondo e la sua storia nella quale soltanto la capacità creatrice e trasformatrice dell’Uomo ha spazio. Sarebbe assurdo pensare ancora a Dio; assurdo osservare i comandamenti di Dio. Si è spinti ad assumere un orizzonte di vita e di significato in cui non c’è più nulla in sé e per se stessa di vero, di buono e giusto. Eppure un fiume ininterrotto di pellegrini ha reso e continua a rendere omaggio alla salma del servo di Dio Giovanni Paolo II e i suoi funerali hanno testimoniato la stima e l’affetto che egli aveva conquistato nell’animo di tantissimi credenti e di persone d’ogni parte della terra.
Può essere significativo un fioretto raccontato da Andrea Tornielli su Il Giornale del 3 aprile: “Il volto più autentico del globetrotter di Dio, del Papa “combattente”, è quello dell’uomo che sapeva far brillare la luce del soprannaturale nelle cose umane, di ogni giorno. Come quella volta che doveva pranzare con un vescovi italiano. Il prelato giunse in ritardo nell’appartamento papale e si scusò con Giovanni Paolo II raccontando di aver incrociato in San Pietro un suo ex sacerdote, divenuto da 17 anni un barbone e di essersi fermato a parlare con lui. Il Papa gli disse di andarlo a cercare e portarlo a tavola. Il barbone, imbarazzato e impacciato, pranzò con Wojtyla. A fine pasto, il pontefice gli chiese: “Vuoi confessarmi?”. Il barbone disse di sì, con l’incredulità e la gioia dipinte sul volto. Dopo quell’incontro, senza che nulla gli venisse chiesto sul suo passato, il barbone tornò a fare il prete. Questo era Karol, l’uomo “immerso in Dio”, notizia chiara e pulita della Divina misericordia. Solo la Divina Misericordia è infatti in grado di porre un limite al male attuale; solo l’amore onnipotente di Dio può sconfiggere la prepotenza dei malvagi e il potere distruttivo dell’egoismo e dell’odio. Per questo, durante l’ultima visita in Polonia, tornando nella sua terra natale ebbe a dire: “Non c’è altra fonte di speranza per l’uomo che la misericordia di Dio”.

Vai a "L'insegnamento del Papa oggi"