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Capire la storia della Chiesa

Autore:
Oliosi, Don Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
Studio e descrizione della storia della Chiesa non possono che rivelarsi favorevoli ad essa e all’umanità

«…Leone XIII, di fronte a una storiografia orientata dallo spirito del suo tempo e ostile alla Chiesa, pronunciò la nota frase: “Non abbiamo paura della pubblicità dei documenti” e rese accessibile alla ricerca l’archivio della Santa Sede… Leone XIII era convinto del fatto che lo studio e la descrizione della storia della Chiesa non potessero che rivelarsi favorevoli ad essa.
Da allora il contesto culturale ha vissuto un profondo cambiamento. Non si tratta più solo di affrontare una storiografia ostile al cristianesimo e alla Chiesa. Oggi è la storiografia stessa ad attraversare una crisi più seria, dovendo lottare per la propria esistenza in una società plasmata dal positivismo e da materialismo. Entrambe queste ideologie hanno condotto a uno sfrenato entusiasmo per il progresso che, animato da spettacolari scoperte e successi tecnici, malgrado le disastrose esperienze del secolo scorso, determina la concezione della vita di ampi settori della società. Il passato appare, così, solo come sfondo buio, sul quale il presente e il futuro risplendono con ammiccanti promesse. A ciò è legata ancora l’utopia di un paradiso sulla terra, a dispetto del fatto che l’utopia si sia dimostrata fallace.
Tipico di questa mentalità è il disinteresse per la storia, che si traduce nell’emarginazione delle scienze storiche. Dove sono attive queste forze ideologiche, la ricerca storica e l’insegnamento della storia nell’università e nelle scuole di ogni livello e grado vengono trascurati. Ciò produce una società che, dimentica del suo passato e quindi sprovvista di criteri acquisiti attraverso l’esperienza, non è più in grado di progettare un’armonica convivenza e un comune impegno nella realizzazione di obiettivi futuri. Tale società si presenta particolarmente vulnerabile alla manipolazione ideologica.
Il pericolo cresce in misura sempre maggiore a causa dell’eccessiva enfasi data alla storia contemporanea, soprattutto quando le ricerche in questo settore sono condizionate da una metodologia (secolarista, antimetafisica) ispirata al positivismo e alla sociologia. Vengono ignorati, altresì, importanti ambiti della realtà storica, perfino intere epoche. Ad esempio, in molti piani di studio l’insegnamento della storia inizia solamente a partire dagli eventi della Rivoluzione francese. Prodotto inevitabile di tale sviluppo è una società ignara del proprio passato e quindi priva di memoria storica. Non è chi non veda la gravità di una simile conseguenza: come la perdita della memoria provoca nell’individuo la perdita dell’identità, in modo analogo questo fenomeno si verifica per la società nel suo complesso» [Benedetto XVI ai Membri del Pontificio Comitato di Scienze storiche, 7 marzo 2008].

E’ evidente come tale oblio storico comporti un pericolo per l’integrità della natura umana in tutte le sue dimensioni. La Chiesa, chiamata da Dio Creatore ad adempiere al dovere di difendere ogni uomo e la sua umanità, ha a cuore una cultura storica autentica, un effettivo progresso delle scienze storiche. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di auto costruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose e le luci sorte lungo la storia della fede cristiana fino a percepire Gesù Cristo che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia. Nel tempo moderno si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere: sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità di ogni uomo, e di questo possiamo essere solo grati. La ricerca storica ad alto livello rientra infatti anche in senso più stretto nello specifico interesse della Chiesa. Pur quando non riguarda la storia propriamente ecclesiastica l’analisi storico - critica concorre comunque alla descrizione di quello spazio vitale in cui la Chiesa ha svolto e svolge la sua missione attraverso i secoli. Indubbiamente la vita e l’azione ecclesiali sono sempre state determinate, facilitate o rese più difficili dai diversi contesti storici. La Chiesa non è di questo mondo ma vive in esso e per esso; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande la Chiesa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità. In una positiva laicità, pur negando a dottrine religiose, a ragioni confessionali, il carattere della ragione “pubblica”, non si può ragionevolmente, in nome di una analisi storico critica secolaristicamente indurita, buttare nel cestino una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi secoli sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina: è il riconoscimento ragionevole che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni cioè il fondo storico dell’umana sapienza sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato.

Lo strumento più grande della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità. Si chiama Tradizione.
Teologicamente la storia è costitutiva per la fede. La Tradizione è la coscienza della comunità, garantita dal magistero ordinario e straordinario, che vive ora, ricca della memoria di tutta la sua vicenda storica. Il Papa, nella catechesi del 12 marzo 2008, parlando di Marco Aurelio Cassiodoro, ha ricordato che egli concepì l’idea di affidare proprio ai monaci il compito di recuperare, conservare e trasmettere ai posteri l’immenso patrimonio culturale degli antichi, perché nulla andasse perduto. Egli dispose che anche quei monaci che non avevano una formazione intellettuale non dovevano occuparsi solo del lavoro materiale, dell’agricoltura, ma anche trascrivere manoscritti e così aiutare nel trasmettere la grande cultura alle future generazioni. Compito della scienza delle fede cioè della teologia è la complessa missione di indagare e chiarire quel processo di ricezione e trasmissione attraverso il quale si è sostanziata, nel corso dei secoli, la ragione d’essere della Chiesa. Soggetto della Tradizione è il Popolo di Dio dell’Antico e del Nuovo Testamento attraverso il quale Dio si rivela in continuità attraverso la testimonianza della Scrittura ispirata e il noi della comunione ecclesiale dove ciascuno l’accoglie personalmente con fede. La Tradizione è sempre ricordata prima della Scrittura, per rispettare l’ordine cronologico, dal momento che, all’origine di tutto, c’è questa Tradizione che viene in continuità dagli Apostoli, ed è all’interno di una comunità già costituita che i libri santi sono stati composti o ricevuti.
E così argomenta Giussani in Perché la Chiesa - Il segno efficace del divino nella storia: “La comunità cristiana, come Chiesa, è come una persona che crescendo prenda coscienza della verità che Dio le ha messo dentro e intorno. La memoria è un elemento fondamentale della sua personalità, così come per il singolo uomo; la mancanza di memoria al contrario costituirebbe un grave sintomo di irrigidimento mentale, la sclerosi. Ecco perché l’unità del cristiano con la tradizione è una delle grandi controprove della sua autenticità religiosa. Egli dovrebbe essere appassionato di quella vita e quell’insegnamento che percorre i secoli da duemila anni, e fiero di essere l’erede di tale tradizione.
“L’importanza della tradizione è decisiva, perché se la tradizione ci viene attraverso la vita della comunità, essendo quest’ultima il progredire di Cristo nella storia, quanto adesso insegna non può essere in contrasto rispetto a quanto insegnava mille anni fa, non può essere in contrasto, come annuncio di verità, come significati ultimi - non necessariamente formulazioni o usi rituali - una decadenza del suo primitivo messaggio”.
In questa luce va presa la domanda di Benedetto XVI il 22 dicembre del 2005: “Perché la ricezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o - come diremmo oggi - dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della ricezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L’una ha causato confusione, l’altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste una interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità o della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass - media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall’altra parte c’è “l’ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto - Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto del Popolo di Dio in cammino”. Se strumento della comunicazione del vero nella vita della Chiesa è la sua stessa continuità viva, dinamica, l’alternativa tra le due ermeneutiche è evidente e non può esserci una terza via.

Il rischio di accostare la Bibbia con il solo metodo storico - critico secolarizzato
Padre Raniero Cantalamessa, nella quarta predica di Quaresima, ha affermato che “la secolarizzazione del sacro in nessun caso si è rivelata tanto acuta come nella secolarizzazione del Libro sacro. Una certa esegesi oggi esita persino a parlare di Cristo, non lo scorge praticamente più nell’Antico Testamento, o almeno ha paura di dire che lo scorge, per timore di ‘squalificarsi scientificamente…Quando ci si chiede il perché della povertà e aridità spirituale che regnano in alcuni seminari e luoghi di formazione non si tarda a scoprire che una delle cause principali è il modo in cui è insegnata la Scrittura. La Chiesa vive di lettura spirituale della Bibbia; troncato questo canale che alimenta la vita di pietà, la fede, allora tutto inaridisce e langue. Non si capisce più la liturgia che è tutta costruita su un uso spirituale della Scrittura, oppure la si vive come un momento staccato dalla vera formazione personale e smentito da quello che si è imparato il giorno prima in classe”.
Ha poi precisato che dire lettura spirituale della Bibbia non significa dire lettura edificante, mistica, soggettiva o peggio ancora fantasiosa, in opposizione alla lettura scientifica che sarebbe invece oggettiva. L’esegesi moderna, basata sul metodo storico critico, ci ha dato e continua a darci molto ma non può identificarsi con la Rivelazione, soprattutto quando è usato dalla cosiddetta visione secolaristica del mondo, secondo la quale Dio non può agire in continuità nella storia e quindi tutto quel che riguarda interventi di Dio deve essere collocato nell’ambito di ciò che è soggettivo, non reale. “Partecipando a incontri biblici e di preghiera - ha confidato - resto stupito nell’ascoltare riflessioni sulla parola di Dio del tutto analoghe a quello che facevano Origene, Agostino o Gregorio Magno, anche se in linguaggio più semplice”. Vale sempre che all’esser cristiani, all’accostare la testimonianza biblica oggettiva, necessaria per la Parola di Dio, occorre che accada l’avvenimento soggettivo dell’incontro con la Persona di Gesù Cristo che parla qui e ora come parlava allora.

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