Incontro o scontro di culture?
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«Boezio nato a Roma nel 480 circa dalla nobile stirpe degli Anici, entrò ancor giovane nella vita pubblica, raggiungendo già a venticinque anni la carica di senatore. Fedele alla tradizione della sua famiglia, si impegnò in politica convinto che si potessero temperare insieme le linee portanti della società romana con i valori dei popoli nuovi. E in questo nuovo tempo dell’incontro delle culture considerò come sua propria missione quella di riconciliare e di mettere insieme queste due culture, la classica romana con la nascente del popolo ostrogoto. Fu così attivo in politica anche sotto Teodorico, che nei primi tempi lo stimava molto. Nonostante questa attività pubblica, Boezio non trascurò gli studi, dedicandosi in particolare all’approfondimento di temi di ordine filosofico – religioso. Ma scrisse anche manuali di aritmetica, di geometria, di musica, di astronomia: tutto con l’intenzione di trasmettere alle nuove generazioni, ai nuovi tempi, la grande cultura greco – romana. In questo ambito, cioè nell’impegno di promuovere l’incontro delle culture, utilizzò le categorie della filosofia greca per proporre la fede cristiana, anche qui in ricerca di una sintesi fra il patrimonio ellenistico romano e il messaggio evangelico. Proprio per questo, Boezio è stato qualificato come l’ultimo rappresentante della cultura romana antica e il primo degli intellettuali medioevali» [Benedetto XVI, Udienza Generale, 12 marzo 2008].
L’opera principale di Boezio è il De consolatione philosophiae, che egli compose in carcere per dare un senso alla sua ingiusta detenzione. Processato e condannato a morte, fu giustiziato il 23 ottobre del 524, a soli 44 anni e Pavia lo celebra come martire della fede. E proprio per questa sua drammatica fine, egli può parlare dall’interno della propria esperienza anche all’uomo contemporaneo e soprattutto alle tantissime persone che subiscono la sua stessa sorte a causa dell’ingiustizia presente in tanta parte della ‘giustizia umana’, persone che sono porta d’ingresso alla contemplazione del misterioso Crocifisso del Golgota. In quest’opera, nel carcere cerca la consolazione, cerca la luce, cerca la saggezza. E dice di aver saputo distinguere, proprio in questa situazione, tra i beni apparenti – nel carcere essi scompaiono – e i beni veri, come l’autentica amicizia che anche nel carcere non scompaiono. Il bene più alto è Dio. Boezio imparò – e lo insegna anche a noi osserva il Papa – a non cadere nel fatalismo, che spegne la speranza. Egli ci insegna che non governa il fato, governa la Provvidenza ed essa ha un volto. Con la Provvidenza anche in carcere si può parlare, perché la Provvidenza è Dio. Così, anche nel carcere gli rimane la possibilità della preghiera, del dialogo con il Tu che ci salva. Nello stesso tempo alla preghiera e al soffrire come luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza congiunge l’agire e anche in questa situazione conserva il senso della bellezza della cultura e richiama l’insegnamento dei grandi filosofi antichi greci e romani ed anche dei poeti.
La filosofia, nel senso della ricerca del logos, del senso, della vera saggezza è la vera medicina dell’anima e l’uomo può esperimentare l’autentica felicità unicamente nella propria interiorità. Riesce a trovare un senso nel pensare alla propria tragedia personale alla luce di un testo sapienziale dell’Antico Testamento con cui Dio gli parla nel carcere: “Contro la sapienza la malvagità non può prevalere. Essa si estende da un confine all’altro con forza e governa con bontà eccellente ogni cosa” (Sap 7,30-8,1). La cosiddetta malvagità dei malvagi, pertanto, si rivela menzognera, e si evidenzia la natura provvidenziale della fortuna avversa. Le difficoltà della vita non soltanto rivelano quanto quest’ultima sia effimera e di breve durata, ma si dimostrano perfino utili per individuare, mantenere gli autentici rapporti tra gli uomini, permettendo di discernere i falsi amici dai veri e di far capire che nulla è più prezioso per l’uomo di una amicizia vera. Accettare fatalisticamente una condizione di sofferenza è assolutamente pericoloso perché “elimina la radice, la possibilità stessa della preghiera e della speranza teologale che stanno alla base del rapporto dell’uomo con Dio.
Il Papa conclude citando la perorazione finale del De consolatione philosophiae, sintesi dell’intero insegnamento che Boezio rivolge a se stesso e a tutti coloro che si dovessero trovare nelle sua stesse condizioni: “Combattete dunque i vizi, dedicatevi ad una vita virtuosa orientata dalla speranza che spinge in alto il cuore fino a raggiungere il cielo con le preghiere nutrite di umiltà. L’imposizione che avete subito può tramutarsi, qualora rifiutate di mentire, nell’enorme vantaggio di avere sempre davanti agli occhi il giudice supremo che vede e sa come stanno veramente le cose”.