Come vivere? Come morire?
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«…da una parte, capiamo di non poter sperare in un prolungamento infinito della vita biologica e tuttavia, dall’altra parte, desideriamo bere alla fonte stessa della vita per godere di una vita senza fine, proprio a questo punto interviene il Signore e ci parla nel Vangelo dicendo, “Io sono la Risurrezione e la Vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. “Io sono la Risurrezione”: bere alla fonte della vita è entrare in comunione con questo amore infinito che è la fonte della vita. Incontrando Cristo, entriamo in contatto, anzi in comunione, con la vita stessa e abbiamo già attraversato la soglia della morte, perché siamo in contatto, al di là della vita biologica, con la vita vera.
I Padri della Chiesa hanno chiamato l’Eucaristia farmaco dell’immortalità. Ed è così, perché nell’Eucaristia entriamo in contatto, anzi in comunione, con il corpo risorto di Cristo, entriamo nella vita già risorta, della vita eterna. Entriamo in comunione con questo corpo che è animato dalla vita immortale e siamo così già da ora e per sempre nello spazio della vita stessa. E così questo Vangelo (della risurrezione di Lazzaro) è anche una profonda interpretazione di che cos’è l’Eucaristia e ci invita a vivere realmente dell’Eucaristia per poter essere così trasformati nella comunione dell’amore. Questa è la vera vita. Il Signore nel Vangelo di Giovanni dice: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Vita in abbondanza non è, come alcuni pensano, consumare tutto, poter fare tutto ciò che si vuole. In quel caso vivremo per le cose morte, vivremmo per la morte. Vita in abbondanza è essere in comunione con la vera vita, con l’amore infinito. E’ così che entriamo realmente nell’abbondanza della vita e diveniamo portatori della vita anche per gli altri» [Benedetto XVI al Centro Internazionale Giovanile San Lorenzo, 9 marzo 2008].
Benedetto XVI si è introdotto nella comprensione del Vangelo di Giovanni che nella liturgia della quinta Domenica di quaresima rende attuale il semplice ritorno miracoloso alla nostra vita terrena ponendo un grande, fondamentale tema: cosa è la vita? Che cosa è la morte? Come vivere? Come morire? San Giovanni, per farci capire questo mistero della vita e la risposta di Gesù, usa per questa unica realtà della vita due parole diverse per due dimensioni: la parola bios e la parola zoé. Bios, significa questo grande biocosmo, questa biosfera che va dalle singole cellule primitive fino agli organismi più organizzati, più sviluppati; questo grande albero della vita, nel quale tutte le possibilità di questa realtà bìos si sono sviluppate. A questo albero della vita appartiene l’uomo; egli fa parte di questo cosmo della vita che comincia con un miracolo: nella materia inerte si sviluppa un centro vitale; la realtà che noi chiamiamo organismo.
Ma l’uomo, pur essendo parte di questo grande biocosmo, lo trascende perché è parte di quella realtà che san Giovanni chiama zoé. E’ un nuovo livello della vita, in cui l’essere si apre alla conoscenza, al logos, al cogliere il senso, il significato della vita. Certo, l’uomo è sempre uomo con tutta la sua dignità, anche nel sonno, anche in stato di coma, anche allo stadio di embrione, ma se egli vive solo biologicamente, non sono realizzate e sviluppate tutte le potenzialità del suo essere. Ogni uomo è chiamato ad aprirsi a nuove dimensioni. Egli è un essere che conosce. Certo anche gli animali conoscono, ma solo le cose che sono interessanti per la loro vita biologica. La conoscenza dell’uomo va oltre: egli vuol conoscere tutto, tutta la realtà, la realtà, la realtà nella sua totalità; vuol sapere che cosa è questo suo essere dono nel proprio e altrui essere, come di tutto il mondo che lo circonda e se non debba esserci un Donatore di tutto, un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte di ogni essere dono. Ha sete di una conoscenza dell’infinito, vuole arrivare alla fonte della vita, al Logos creatore, a ricondurre ad esso la propria intelligenza e la propria libertà, vuole bere a questa fonte, trovare la vita stessa, il vero, il bene.
Ma ogni uomo non è solo un essere dono nel proprio e altrui essere, come nel mondo che lo circonda, un essere che conosce fino a cogliere l’esigenza del Logos creatore. Egli vive il proprio e altrui essere dono donandosi senza misura in relazione di amicizia, di amore. Costitutivo del suo essere dono di un Donatore divino non è solo la conoscenza della realtà in tutti fattori cioè della verità che lo libera dalla schiavitù dell’ignoranza del proprio e altrui essere, di tutto ciò che esiste, inseparabile da questa conoscenza, costitutiva è anche la relazione di amore. E qui ogni uomo si avvicina maggiormente fino a toccare, partecipare della fonte della vita che è Logos e Amore, dalla quale vuol bere per avere la veramente vita in abbondanza, per avere la vita stessa, la vita eterna. Potremmo dire che tutta la scienza è una tensione, un’unica grande lotta per la vita; lo è soprattutto la medicina. In fin dei conti, la medicina è ricerca di contrapporsi alla morte, è ricerca di immortalità. Ma possiamo trovare la medicina che ci assicuri l’immortalità? Proviamo ad immaginare che la medicina arrivi a trovare la ricetta contro la morte, contro il cessare della vita terrena, la ricetta dell’immortalità. Anche in quel caso, si tratterebbe pur sempre di una medicina che si collocherebbe entro la biosfera, una medicina certamente utile anche per la nostra vita spirituale e umana, ma di per sé una medicina confinata entro questa biosfera. E’ facile immaginare quel che succederebbe se la vita biologica di ogni uomo fosse senza fine, fosse immortale: ci troveremmo un mondo invecchiato, un mondo pieno di vecchi, un mondo che non lascerebbe più spazio ai giovani, al rinnovarsi della vita. Comprendiamo così che questo non può essere quel tipo di immortalità a cui aspiriamo; non è questa la possibilità di bere alla fonte della vita che tutti desideriamo.
A questo punto Benedetto XVI ha trattato della Risurrezione, della vita da risorti, dell’Eucaristia come farmaco di immortalità con cui entriamo in comunione con la vera vita, con l’amore infinito.
I prigionieri di guerra che erano in Russia per dieci anni e più, esposti al freddo e alla fame, dopo essere ritornati hanno detto: “Potevo sopravvivere perché sapevo di essere aspettato. Sapevo che c’erano persone che mi aspettavano, che ero necessario e atteso”. Questo amore che li aspettava è stata l’efficace medicina della vita contro tutti i mali. In realtà, noi tutti siamo aspettati. Il Signore ci aspetta e non solo ci aspetta; è presente e ci tende la mano. “Accettiamo - ha concluso Benedetto XVI - la mano del Signore e preghiamo di concederci di vivere realmente, di vivere l’abbondanza della vita e di poter così comunicare anche ai nostri contemporanei la vera vita, la vita in abbondanza. Amen”.