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Indicare la via umana alla Verità e alla Vita ed offrire una compagnia di fede per percorrerla

Autore:
Oliosi, Gino
Fonte:
CulturaCattolica.it
«Dio non si conosce solo con la ragione, ma anche con la volontà e con il cuore. Per questo la conoscenza di Dio, la conoscenza di Cristo, è un cammino in cui è interpellata la totalità del nostro essere. La più bella rappresentazione del nostro essere in cammino la offre Luca nel racconto dei discepoli di Emmaus. E’ un essere in cammino con la parola vivente di Cristo, che ci spiega la parola scritta, la Bibbia; la fa diventare essa stessa il cammino che rende ardente il cuore e, così alla fine gli occhi si aprono. La Scrittura, il vero albero della conoscenza, ci apre gli occhi, se noi allo stesso tempo mangiamo del vero albero della vita, Cristo. Allora diventiamo davvero ardenti, e allora viviamo davvero» [Joseph Ratzinger - Benedetto XVI, Vi ho chiamato amici. La compagnia nel cammino della fede, Edizioni san Paolo 2006, pp. 107-110].

Tre cose fan parte del cammino ecclesiale di fede: la comunità dei discepoli, la Scrittura, la presenza vivente di Cristo in vissuti fraterni di amicizia. Questo cammino dei discepoli di Emmaus è allora, allo stesso tempo, anche una descrizione della Chiesa - una descrizione di come maturi in noi la conoscenza che ci avvicina a Dio nel volto umano di Gesù crocifisso risorto e quindi al Padre nello Spirito Santo. Questa conoscenza accade e diviene comunione vicendevole, sfocia nello spezzare il pane, in cui l’uomo diviene ospite di Dio e Dio dà ospitalità. Cristo - qui lo si vede con chiarezza - non lo si può avere solo per se stessi. Egli non solo ci conduce fino a Dio, ma gli uni verso gli altri in vissuti fraterni di comunione ecclesiale autorevolmente guidata. Per questo Cristo, crocefisso e risorto e la Chiesa formano un insieme, come un unico corpo, così come Chiesa e Bibbia formano un insieme. Realizzare questa grande comunione nelle singole comunità della diocesi, della parrocchia, dei movimenti ecclesiali è e resta il compito centrale della Chiesa, ieri, oggi, e domani in unità di chi crede oggi con chi da due mila anni ha creduto e con chi crederà dopo di noi. Così la Chiesa è cattolica e deve diventare sperimentabile come compagnia che sostiene il nostro cammino di fede, con le nostre preoccupazioni, con Dio che fa risuonare viva quella parola scritta cioè la Bibbia, con Cristo crocifisso risorto presente, e introdurci all’incontro con Lui nel sacramento, in cui continuerà a essere anticipato il banchetto nuziale di Dio con tutta l’umanità.
Parlare di Cristo non è un tema proprio, un secondo tema accanto al tema di Dio, ma è il modo, la via umana in cui il tema di Dio si fa per noi pienamente concreto, ci incalza fisicamente e urge nell’anima, nell’io, in ogni cuore che naturalmente, originariamente lo desidera. E, a sua volta, il tema Chiesa non è un terzo tema, un tema proprio ma la continuità della via umana dell’incarnazione: la Chiesa è la compagnia nel cammino con Lui crocefisso risorto e verso di Lui, per lasciarci assimilare a Lui, amare con il dono divino del suo amore, e solo come via umana a Lui, Verità e Vita, la comprendiamo correttamente; allora possiamo anche amarla davvero pur nei limiti dell’umano che la costituisce, così come si amano dei compagni, degli amici di cammino.

Incontrare, ascoltare, parlare, invocare, sentirsi amati e amare Cristo cioè pregare
Se tutto nella Chiesa rimanda alla presenza di Dio dal volto umano in Gesù Cristo crocefisso risorto l’incontro, l’ascolto, l’invocazione di Lui cioè la preghiera è costitutiva perché solo la preghiera assimila a Lui, dona il suo amore divino, rende cristiano il cristiano. Nella preghiera Dio ci è sempre davanti e si rivela Padre, amico, dono. Il cristianesimo non parte dal comportamento morale ma è l’avvenimento della consapevolezza di Dio che ci viene incontro, comunque ridotti, poi noi possiamo andare a Lui, ricevere in dono il Suo Spirito e le nostre energie interiori si liberano dal peccato, dall’egoismo e ci danno la tensione per giusti comportamenti in ogni ambito o santità. Ci dà la possibilità di tentare e ritentare con fiducia e speranza anche quando non riusciamo, garantendoci che se trovati all’opera nel momento terminale di questa vita Lui porterà a compimento per cui nessuno è escluso perché la buona volontà è possibile a tutti e sempre. Nella preghiera esperimentiamo che Cristo risorto viene prima dei nostri sforzi, viene prima il nostro interiore rapporto con Lui, la tensione per giusti comportamenti in ogni ambito o santità. Pretendere pastoralmente di teorizzare tutto, prevedere tutto, programmare tutto per ogni persona, senza alcun spazio all’avvenimento mai totalmente prevedibile, fa andare incontro al fallimento lasciando nell’animo un avvilente senso di frustrazione. Al di sopra del nostro attivismo occorre tornare al primato dell’io, dell’anima del cuore, dell’interiorità personale, della vigilanza per continui possibili avvenimenti, cioè la componente mistica del vissuto cristiano deve nuovamente guadagnare forza.

Dal rapporto intimo con Lui alla preghiera liturgica comune, in primo luogo l’Eucaristia domenicale
La domenica come giorno della risurrezione e l’Eucaristia come incontro con il Risorto costituiscono un insieme, un tutt’uno. Il tempo ha bisogno di un suo ritmo interno. Ha bisogno della corrispondenza tra il momento intimo del rapporto con Lui e il quotidiano del nostro lavoro e l’incontro festivo, comunitario con Cristo nella Chiesa, nel sacramento. Urge riguadagnare la Domenica, giorno nel quale Dio, dal quale sappiamo che viene ogni bene, lo sentiamo il punto di partenza e il punto di arrivo verso cui siamo destinati. E nello stesso tempo la Domenica è anche il giorno della comunità umana, il giorno della famiglia, in piccolo, e il giorno in cui si forma la grande famiglia, la famiglia di Dio nella Chiesa, e la Chiesa diventa esperienza di vita, di vissuto fraterno, di amicizia. Dove la Chiesa conosce solo riunioni, discussioni dialettiche e pezzi di carta, lì non si esperimenta, non si conosce. Lì essa diventa scandalo, perché si riduce a oggetto del nostro fare e quindi non ci soddisfa o appare come qualcosa di imposto dall’esterno, qualcosa di estraneo che ci porta alla ribellione. Noi, che oggettivamente siamo Chiesa fin dal Battesimo, dalla Cresima, dal partecipare all’Eucaristia almeno domenicale, la conosciamo dall’interno, soggettivamente solo se la esperimentiamo nel punto dove essa va oltre se stessa e rimanda a Lui, dove il Signore entra in lei la rende la sua casa e, per ciò stesso, noi non solo oggettivamente siamo ma soggettivamente ci sentiamo suoi fratelli. Per questo è anche importante una fedele e degna celebrazione dell’Eucaristia, in cui appare questa auto espropriazione della comunità che conviene. Non siamo noi a fare la liturgia. Noi non inventiamo qualcosa, come fanno i comitati organizzatori di feste, di celebrazioni o i conduttori di quiz. Il Signore viene. La liturgia giunge a noi da Lui, maturata a partire dagli apostoli nella continuità dinamica della fede della Chiesa; noi entriamo in essa, e non la facciamo noi. Solo così ha luogo l’avvenimento di una festa vera, e la festa, come anticipazione della libertà futura, è indispensabile per ogni persona umana, per il cuore che tende alla verità, all’amore, alla giustizia, alla gioia. Si potrebbe anche dire: questo è il compito della Chiesa verso ogni cuore, donarci l’avvenimento della festa. Non si può vivere felici senza la festa ed essa è sorta in tutta la storia dell’umanità come evento cultuale e non è pensabile senza la presenza consapevole del divino. La sua piena grandezza si verifica quando il Dio dal volto umano in Gesù Cristo crocefisso risorto diventa realmente nostro ospite e ci invita al suo banchetto in vissuti fraterni di amicizia.                    
Benedetto XVI ci aiuta a superare ogni dualismo tra fede e ragione, tra verità e bellezza, bontà. Certo è un guardiano della ragione che sostiene una fondazione razionale della fede, ma allo stesso tempo è critico del fideismo, che produce terrore, e della ragione sola, che cancella il rispetto per la dignità di ogni vita, nel suo essere dono unico e irripetibile. Argomentando le due forme di amore in Dio, agape ed eros, fa scoprire tutto il valore dell’umano, della relazione maschio - femmina, di ogni vissuto fraterno di amicizia. E’ un Papa molto teologico, metafisico, ma con un forte senso storico e del presente. Ecco perché riesce ad andare sempre al cuore delle cose. E’ Lui che invita i cristiani a mobilitarsi culturalmente e politicamente di fronte alla manipolazione degli embrioni: ogni embrione è una persona umana, un essere dono unico e irripetibile, con cui il Figlio di Dio con l’incarnazione si è in qualche modo unito e tutti ci sentiamo impegnati perché si sviluppi in un essere umano completo, invitato con al banchetto eucaristico terreno ed eterno.

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