Il confronto colla cultura secolare e il rapporto colle religioni
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Fin dall’inizio del discorso di Benedetto XVI ai Professori e Studenti della Pontificia Università Gregoriana è emerso che “la fatica dello studio e dell’insegnamento, per avere senso in relazione al Regno di Dio, deve essere sostenuta dalle virtù teologali. Infatti, l’oggetto immediato della scienza teologica, nelle sue diverse specificazioni, è Dio stesso, rivelatosi in Gesù Cristo, Dio con un volto umano. Anche quando, come nel Diritto canonico e nella Storia della Chiesa, l’oggetto immediato è il Popolo di Dio nella sua dimensione visibile e storica, l’analisi approfondita della materia risospinge alla contemplazione, nella fede, del mistero di Cristo risorto. E’ Lui, presente nella sua Chiesa, la conduce tra gli eventi del tempo verso la pienezza escatologica, un traguardo verso cui camminiamo sostenuti dalla speranza. Non basta, però, conoscere Dio; per poterlo realmente incontrare, lo si deve anche amare. La conoscenza deve divenire amore. Lo studio della teologia, del Diritto canonico e della Storia della Chiesa non è solo conoscenza delle proposizioni della fede nella loro formulazione storica e nella loro applicazione pratica, ma è anche sempre intelligenza di esse nella fede, nella speranza e nella carità. Solo lo Spirito scruta le profondità di Dio (1 Cor 2,10), quindi solo nell’ascolto dello Spirito si può scrutare la profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio (Rm 11,33). Lo Spirito si ascolta nella preghiera, quando il cuore si apre alla contemplazione del mistero di Dio, che ci si è rivelato nel Figlio Gesù Cristo, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), costituito Capo della Chiesa e Signore di tutte le cose (Ef 1,10; Col 1,18)”.
Qui emerge la concezione cattolica della Rivelazione. Il Concilio Vaticano II ha descritto la rivelazione di Dio in termini di dialogo e di amicizia: “Con questa rivelazione infatti Dio invisibile per la ricchezza del suo amore parla agli uomini come amici e si intrattiene con loro, per invitarli e ammetterli alla comunione con sé” (Dei Verbum, n. 2). Avendo deciso di rivelarsi, Dio ha parlato agli uomini e ha adottato il linguaggio umano dell’amicizia con una finalità ben precisa: portare l’uomo alla comunione di vita con lui mediante la partecipazione alla sua natura divina. “Dio che abita una luce “inaccessibile” (1 Tm 6,16), vuol e comunicare la propria vita divina agli uomini da lui liberamente creati, per farne figli adottivi nel suo unico Figlio. Rivelando se stesso, Dio vuole rendere gli uomini capaci di rispondergli, di conoscerlo e di amarlo ben più di quanto sarebbero capaci da sé stessi” (CCC, n. 52).
L’insegnamento conciliare ha posto in evidenza gli elementi specifici del compimento della rivelazione, intesa come manifestazione che Dio fa di se stesso all’uomo. E’ il risultato della libera e assoluta iniziativa di Dio. Il suo oggetto è Dio stesso e i propositi della sua volontà, vale a dire che Dio non ci fa semplicemente conoscere qualche cosa, bensì se stesso, come Dio vivente in Gesù Cristo, suo Figlio, La sua finalità è la comunione e la partecipazione di vita con il Padre, resa possibile mediante Gesù Cristo per opera dello Spirito Santo che ci fa figli nel Figlio. La pienezza della rivelazione avviene in Gesù Cristo unico Salvatore di tutti gli uomini e nella Chiesa sacramento necessario di salvezza per tutta l’umanità. Di conseguenza la concezione cattolica della rivelazione sottolinea tanto il suo carattere gratuito e radicalmente nuovo, quanto il suo carattere completo e definitivo (Eb 1,1-2). Dalla comprensione corretta della rivelazione del Figlio dipende tutto l’edificio della fede, ciò che viviamo, che professiamo e che elaboriamo scientificamente come è chiamata a fare la teologia, scienza della fede con le proprie radici storiche da non perdere e “insieme apertura alla realtà attuale per rispondere, dopo un attento discernimento, con spirito creativo alle necessità della Chiesa e del mondo d’oggi”.
Anche il vissuto fraterno di amicizia fra Professori e Docenti, studenti, personale non docente, benefattori e amici “è impegnato a sentire in Ecclesia et cum Ecclesia. E’ un impegno che nasce dall’amore per la Chiesa, nostra Madre e Sposa di Cristo. Noi dobbiamo amarla come Cristo stesso l’ha amata, assumendo su di noi le sofferenze del mondo e della Chiesa per completare quello che manca ai patimenti di Cristo nella nostra carne (Col 1,24)”. Solo così si possono formare le nuove generazioni di sacerdoti, di religiosi, di laici impegnati. “E’ doveroso infatti domandarsi a che tipo di sacerdote si vuole formare gli studenti, a che tipo di religioso o di religiosa, di laico o di laica. Certamente è vostro intento, cari Professori e Docenti, formare sacerdoti dotti, ma pronti al tempo stesso a consumare la loro vita nel servire con cuore indiviso, nell’umiltà e nell’austerità della vita, tutti coloro che il Signore affiderà al loro ministero. Così intendete offrire una formazione intellettuale solida ai religiosi e religiose, affinché sappiano vivere nella gioia la consacrazione di cui Dio ha fatto loro dono, e proporsi come segno escatologico di quella vita futura cui tutti siamo chiamati. Ugualmente, voi volete preparare laici e laiche, che con competenza sappiano svolgere servizi e uffici nella Chiesa e, innanzitutto, essere fermento del Regno di Dio nella sfera temporale. In questa prospettiva, proprio quest’anno l’Università ha dato inizio ad un programma interdisciplinare per formare laici a vivere la loro vocazione specificamente ecclesiale di impegno etico nella sfera pubblica”, in mezzo a una società che si sente tentata da una apostasia silenziosa da Dio.
Benedetto XVI punta a sostenere persone che intendono svolgere la loro missione ecclesiale nell’ambito della teologia, che si pongono nel loro ruolo di teologi cattolici, sia in merito alla dottrina sia per il loro atteggiamento ecclesiale, in sintonia con il magistero e a servizio del popolo di Dio, sforzandosi di mantenere un dialogo aperto di fronte alle sfide e sollecitazioni di un mondo secolarizzato poiché, nonostante tutte le contraddizioni della nostra società, il cuore di ogni uomo - ed è l’insistenza continua di Benedetto XVI - non smette di sperare e cercare.
Richiamandosi alla specificità carismatica della Compagnia di Gesù, espressa istituzionalmente nel quarto voto di disponibilità totale al Romano Pontefice in qualsiasi cosa, chiede che cresca lo spirito della collaborazione nell’ambito della ricerca e dell’insegnamento, una sua apertura diffusa a tutto il popolo di Dio nel vincolo inscindibile fra la teologia e la vita cristiana, un dialogo più fluido tra vescovi e teologi superando quel dissenso silenzioso che promuove e difende disaffezione verso la Chiesa.
Come ha ricordato al Convegno ecclesiale di Verona occorre sviluppare “anime ecclesiali”, imparare a resistere “a quella “secolarizzazione interna” che insidia la Chiesa nel nostro tempo, in conseguenza dei processi di secolarizzazione che hanno profondamente segnato la civiltà europea”.
Segni di questa secolarizzazione interna li possiamo vedere nella tendenza ad una concezione razionalista della fede e della rivelazione; un umanesimo immanentista applicato a Gesù Cristo; un’interpretazione meramente sociologica della Chiesa; un soggettivismo e relativismo secolarizzato nella morale cattolica.
Il Papa spinge a recuperare l’essenza specificamente cristiana con il valore definitivo e universale di Figlio di Dio vivente, nella sua presenza reale nella Chiesa, e nella sua vita offerta e promessa come paradigma della condotta morale o vita in Cristo.
Inoltre la rivelazione non può essere equiparata a quella che alcuni chiamano “rivelazioni” di altre religioni. Tale equiparazione non tiene conto del fatto che la profonda verità di questa rivelazione risplende a noi in Cristo, il quale nello stesso tempo è il mediatore e la pienezza dell’intera rivelazione. Gesù Cristo, il Figlio eterno del Padre fatto uomo nel seno purissimo della vergine Maria per opera e grazia dello Spirito santo, è la parola definitiva all’umanità. In Cristo “si dà la piena e completa rivelazione del mistero salvifico di Dio” (Dei Verbum n. 6). Pretendere che le “rivelazioni” di altre religioni siano equivalenti o complementari alla rivelazione di Gesù Cristo significa negare la verità stessa della incarnazione e della redenzione. Certo “non si può prescindere dal rapporto con le altre religioni, che si rivela costruttivo solo se evita ogni ambiguità che in qualche modo indebolisca il contenuto essenziale della fede cristiana in Cristo unico Salvatore di tutti gli uomini e nella Chiesa sacramento necessario di salvezza per tutta l’umanità”.