Carità per tutti, ma senza concessioni sulla verità
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(Benedetto XVI, Udienza generale, 11 ottobre 2006).
Qui a Verona ho vissuto l’attesa di Papa Giovanni Paolo II il 16 aprile 1988 e devo dire che allora c’era un’altra atmosfera: veniva per Verona e l’attesa era più fervida ed il clima di maggiore consapevolezza.
Ma c’è un’altra ragione. Un Papa, che non parla per trovare applausi o accomodante di fronte alla dittatura delle opinioni, in certe sfere non suscita molto calore.
Ma ai semplici, anche a Verona, piace proprio questo Papa che fa il Papa. Il carisma principale della Chiesa non è immediatamente politico, ma immediatamente credere alla verità con la sola forza della verità e all’amore con la sola forza dell’amore.
Mettendo al primo posto un Dio dal volto umano in Gesù Cristo, risorto, da incontrare nel settenario sacramentale e nel volto dei suoi, un Dio amore, Amore senza misura fino al perdono per cui nessuna situazione personale e sociale è fatale, Benedetto XVI è a servizio di Dio che parla cioè della Verità e della Vita, che rivela il peccato, la colpa, il male, l’errore per guarirlo.
La settimana scorsa ha detto ai teologi che Dio non è oggetto della teologia ma Soggetto e che parlare per seguire le mode culturali è come prostituirsi nel servizio della Parola di Dio e nell’anima.
Ai fedeli laici che non possono, in forza della loro fede, non impegnarsi come cittadini anche nella politica, mentre la Chiesa come Popolo di Dio di fedeli-pastori, fedeli-laici, fedeli-consacrati non può impegnarsi immediatamente nella politica pur non indifferente alla giustizia, ma nella carità, nella formazione delle coscienze e di vissuti fraterni di comunione, pur legittimo oggi anche in Italia differenziarsi in proposte alternative, occorre l’unità nei valori non negoziabili.
E a tutti i politici va ricordando che non tutte le religioni, non in se stesse ma per le diversità antropologiche e quindi sociali, possono vantare lo stesso significato pubblico.
Evidenzia le secche della dittatura del relativismo per cui oggi la fede, una delle due ali per contemplare la realtà in tutti i fattori o verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza sul senso di ogni vita, del cosmo, della storia, fa l’avvocato dell’altra ala della ragione di cui nessuno, tanto meno il cattolico, può far a meno.
Evidenzia, con argomenti di ragione accessibili a tutti, che l’“omosessualità”, pur nella massima comprensione della dignità di chi si trova, per motivi naturali e culturali, in queste pulsioni con la tensione all’autocontrollo, è un “disordine” in relazione alla famiglia naturale fondata sul matrimonio, la sola che può garantire un futuro civile.
Certo tutti questi richiami rendono più impegnativo e difficile il mediare politico e può divenire indigesto a chi è abituato ad atteggiamenti accomodanti.
D’altra parte la trasmissione della fede non è mai una questione di controllo e di potere cioè di possibilità politica. L’unico criterio per il carisma di un Papa può essere solo notizia chiara e pulita della presenza e della parola di Cristo crocefisso e risorto cui rimanda: donare agli uomini la luce di Cristo per diagnosticare certe “infermità” di cui soffrono alcuni gruppi e fedeli, infermità amplificate dai potenti mezzi di comunicazione, ravvivando sempre la speranza che nonostante tutte le contraddizioni della nostra società in questo tempo, il cuore di ogni uomo, comunque ridotto, non smette di sperare e di cercare quell’incontro con Gesù risorto, sacramentalmente presente, che libera e che salva.
Ai piccoli, ai semplici, anche a Verona che lo attendono con calore, piace un Papa non accomodante, pur non negando a nessuno l’avvenimento dell’incontro con Cristo risorto che rende possibile ricominciare continuamente fino al momento terminale della vita.