Solo nell’incontro con Cristo possiamo riconoscere noi stessi
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Nell'incertezza di questo periodo storico e di questa società, nell'urgenza di risanare una situazione che sta danneggiando, per influsso della secolarizzazione, anche la vita ecclesiale Benedetto XVI, nelle catechesi del mercoledì, presenta la certezza della fede completa della Chiesa e mostra come la sua chiarezza e la sua bellezza rendono luminosa la vita dell'uomo anche oggi facendo percorrere l'itinerario che porta dall'avvenimento dell'incontro con Cristo alla gioia che Egli comunica.
Pur attento anche ai risultati di una lettura storico-critica della Sacra Scrittura come un qualunque libro storico, accentua la necessità di leggerla come preghiera cioè parola che il Signore dice a noi, in continuità con la comunione di fede della Chiesa, come parlò allora con Tommaso.
Certo oggi alcune argomentazioni teologiche non sufficientemente fondate e usate nella catechesi rappresentano un ostacolo, come ricordano i Vescovi spagnoli in "Teologia e secolarizzazione in Spagna. A quarant'anni dalla chiusura del concilio Vaticano II" (27-31/3/2006), alla percezione di dove si trovi realmente la vera origine della gioia cristiana. Ma il Papa, pur avendo presente certe infermità di cui soffrono alcuni gruppi e fedeli, punta alla cura: la salute si recupera ravvivando con entusiasmo l'essenzialità della comunione nella professione della fede, così come è confessata e celebrata nella e dalla Chiesa e come la propone il Compendio e il Catechismo della Chiesa cattolica. Occorre prioritariamente recuperare l'avvenimento dell'incontro con Cristo cioè il cuore della vita cristiana. Certo con una presentazione di Cristo carente e non conforme alla comunione ecclesiale anche la vita cristiana manca di qualche cosa.
Pur nell'essenzialità di una Catechesi il Papa in positivo offre degli spunti che noi offriamo per cogliere i limiti di certe argomentazioni bibliche e teologiche, come in riferimento alla catechesi di mercoledì 27 settembre 2006 ritraendo qualche lineamento significativo della personalità di san Tommaso. E la prima annotazione l'ha tratta rivivendo un momento critico della vita di Tommaso quando Gesù aveva deciso di andare a Betania per risuscitare Lazzaro e così avvicinandosi pericolosamente a Gerusalemme. "In quell'occasione Tommaso disse ai suoi condiscepoli: "Andiamo anche noi e moriamo con lui" (Gv 11,16). Questa determinazione nel seguire il Maestro è davvero esemplare e ci offre un prezioso insegnamento: rivela la totale disponibilità ad aderire a Gesù, fino ad identificare la propria sorte con quella di Lui ed a voler condividere con Lui la prova suprema della morte". Come può accadere che la disponibilità a morire insieme, vivere insieme, stare nel suo cuore come Lui sta nel nostro stia insieme con una concezione razionalista della fede cioè con una ragione autolimitata all'immanenza? con un umanesimo immanentista applicato a Gesù Cristo, solo ispiratore di un codice di comportamento? con una interpretazione non sacramentale ma meramente sociologica della Chiesa? con un soggettivismo e relativismo secolarizzato in morale? "Ciò che unisce tutte queste argomentazioni non sufficientemente fondate - rilevano i Vescovi spagnoli al n. 5 della loro Nota - è l'abbandono e il non riconoscimento dell'essenza specificamente cristiana, in special modo del valore definitivo e universale di Cristo nella sua rivelazione, nella sua condizione di Figlio di Dio vivente, nella sua presenza reale nella Chiesa, e nella sua vita offerta e promessa come paradigma della condotta morale". "Analogamente - sempre i Vescovi spagnoli al n. 25 -, la missione di Cristo è stata intesa come un evento meramente terreno, quando non politico-rivoluzionario, negando così la sua volontà di morire sulla croce per gli uomini. La Chiesa ha ribadito che è stato lo stesso Cristo che ha accettato e si è assunto liberamente la sua passione e morte per la salvezza dell'umanità". "D'altronde - Catechesi di Benedetto XVI -, quando i Vangeli usano il verbo "seguire" è per specificare che dove si dirige Lui, là deve andare anche il suo discepolo. In questo modo, la vita cristiana si definisce come una vita con Gesù Cristo, una vita da trascorrere insieme con Lui. San Paolo scrive qualcosa di analogo, quando così rassicura i cristiani di Corinto: "Voi siete nel nostro cuore, per morire insieme e insieme vivere" (2 Cor 7,3). Ciò che si verifica tra l'Apostolo e i suoi cristiani deve, ovviamente, valere prima di tutto per il rapporto tra i cristiani e Gesù stesso: morire insieme, vivere insieme, stare nel suo cuore come Lui sta nel nostro".
Una seconda annotazione, dopo aver ricordato la celebre definizione di chi è Gesù "Io sono la via, la verità, la vita" (Gv 14,6), il Papa la fa invitando a mettersi "col pensiero al fianco di Tommaso e ad immaginare che il Signore parli anche con noi come parlò con lui. Nello stesso tempo, la sua domanda conferisce anche a noi il diritto, per così dire, di chiedere spiegazioni a Gesù. Noi spesso non lo comprendiamo. Abbiamo il coraggio di dire: non ti comprendo, Signore, ascoltami, aiutami a capire. In tal modo, con questa franchezza che è il vero modo di pregare, di parlare con Gesù, esprimiamo la pochezza della nostra capacità di comprendere, al tempo stesso ci poniamo nell'atteggiamento fiducioso di chi si attende luce e forza da chi è in grado di donarle". Ma chi parlando della sintesi con l'ellenismo della prima inculturazione, compiutasi nel Nuovo Testamento e nella storia dei dogmi, parla di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio originale del Nuovo Testamento per una nuova inculturazione (una teoria "grossolana ed imprecisa", l'ha definita Benedetto XVI a Ratisbona), giunge a ritenere che la preesistenza della persona divina di Cristo sia una mera deformazione filosofica del dato biblico. Ma quando questo si è verificato la Chiesa non ha smesso di professare la vera fede, riaffermando la validità del linguaggio con cui proclama che "Gesù Cristo ha due nature, la divina e la umana, non confuse, ma unite nell'unica Persona del Figlio di Dio". Così il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 481. E questa è "norma di fede" anche nella nuova evangelizzazione, non una teologia romana in rapporto ad altre teologie.
Terza annotazione della Catechesi, in riferimento alla apparizione del Risorto a Tommaso, è la sua reazione "con la più splendida professione di fede di tutto il Nuovo Testamento: "Mio Signore e mio Dio" (Gv 20,28) (…) Il caso dell'apostolo Tommaso è importante per noi per almeno tre motivi: primo, perché ci conforta nelle nostre insicurezze; secondo, perché ci dimostra che ogni dubbio può approdare a un esito luminoso oltre ogni incertezza; e, infine, perché le parole rivolte a lui da Gesù ci ricordano il vero senso della fede matura e ci incoraggiano a proseguire, nonostante la difficoltà, sul nostro cammino di adesione a Lui".
In Benedetto XVI c'è in positivo una risposta essenziale a presentazioni incomplete, quando non deformate, del mistero di Cristo quasi il sospetto che l'umanità di Gesù sia minacciata se si afferma la sua divinità,la rottura tra il "Gesù storico" e il "Cristo della fede", come se quest'ultimo fosse il risultato di differenti esperienze della figura di Gesù, dagli apostoli fino ai nostri giorni; soprattutto la negazione del carattere reale, storico e trascendente della risurrezione di Cristo, ridotta a una mera esperienza soggettiva degli apostoli; l'oscuramento di nozioni fondamentali della professione di fede nel mistero di Cristo quali, tra le altre, la sua preesistenza, la filiazione divina, la coscienza di sé, della sua morte e della missione redentrice, della risurrezione, dell'ascensione e della glorificazione. "Questo modo di procedere - sempre i Vescovi spagnoli al n. 28 - porta a conseguenze difficilmente compatibili con la fede, quali:
- svuotare di contenuto ontologico la filiazione divina di Gesù;
- negare che nei Vangeli si affermi la preesistenza del Figlio;
- e considerare che Gesù non ha vissuto la sua passione e morte come missione redentrice, ma come fallimento".
Gesù, incontrato in ogni avvenimento sacramentale, è Dio, verità ultima e definitiva; mi svela chi è ogni uomo, chi sono io come figlio nel Figlio, in quanto ci rivela la relazione necessaria e appropriata con Dio; è la verità assoluta della storia e della creazione. Solo nell'incontro e nella comunione ecclesiale con Cristo possiamo riconoscere veramente noi stessi.