Fede cristiana e sfera pubblica
- Autore:
- Fonte:
Affinché fede e ragione si integrino nella sfera pubblica c’è un nuovo appello del Papa attraverso il neosegretario di Stato, il cardinale Tarcisio Bertone, che ha inviato un telegramma ai partecipanti al Convegno “Religione e spazio pubblico”, organizzato il 23 settembre 2006 a Norcia dalla Fondazione Magna Carta.
Totalmente in linea con l’intervento del Pontefice a Ratisbona, l’arcivescovo di Bologna, cardinale Carlo Caffarra, nel suo intervento al Convegno ha reso ragione della verità, cioè dell’universalità della prospettiva cattolica trattando non di tutte le religioni ma di “Fede cristiana e sfera pubblica”.
Innanzitutto ha richiamato alcune premesse: il suo intervento ha voluto limitarsi solo alla fede cristiana nel rapporto reciproco con la sfera pubblica; questo aspetto della presenza cristiana nella sfera pubblica non esaurisce il significato della fede nel vissuto umano e non è nemmeno l’aspetto più importante in rapporto alla speranza principale nel destino eterno dell’uomo; sono da difendere e promuovere tutte le affermazioni che costituiscono il contenuto fondamentale della laicità: libertà religiosa (nel senso della nostra Carta costituzionale); distinzione fra peccato e reato; principio maggioritario ultimamente deliberativo nella sfera pubblica, fatti salvi i tre valori umani non negoziabili perché a fondamento della stessa democrazia.
E con chiarezza l’arcivescovo ha invitato, citando P. Donati, a mettere da parte “i vecchi slogan della modernità, come ad esempio “libera Chiesa in libero Stato” (modello europeo, modello americano): essi sono ormai diventati obsoleti. La libertà si rivela sempre più come un fenomeno relazionale, come interazione fra... (…) Una sfera pubblica edificata come “libertà reciproca fra Chiesa e Stato” (…) rigioca completamente il problema dell’universalità che qualifica la sfera pubblica” (Multiculturalismo e identità, Milano 2002, pp. 104-105).
La sfida culturale odierna, concreta, è precisamente questa: come sviluppare, senza negazioni, quei valori civili che la storia degli ultimi secoli dell’Occidente ci ha trasmesso e che riteniamo veri valori?
La risposta punta ad evitare due rischi in agguato: sia la riduzione della fede alla sfera privata che genera la configurazione secolaristica della sfera pubblica, oggi fatta propria soprattutto dall’ultraliberismo agnostico, sia il “sequestro” della sfera pubblica da parte della fede cui punta ogni progetto di integralismo fondamentalista.
E allora come deve configurarsi la presenza della fede cristiana nella sfera pubblica?
Nel porre la domanda l’Arcivescovo di Bologna presuppone la dimostrazione della necessità di questa presenza, richiamata dal Concilio Vaticano II nel n. 7 dell’Apostolicam actuositatem e nel n. 36 della Gaudium et spes. Occorre ricordare che la “condensazione” della verità ebraico-cristiana della creazione con l’interrogarsi greco e il patrimonio romano ha mutato sostanzialmente il modo di essere da parte dell’uomo nel mondo, generando un nuovo ethos di felicità: negativamente nessuna creatura possiede una sacralità solo immanente, positivamente ogni creatura ha una propria verità, bontà e bellezza relativa al Creatore. Si tratta di una dissacrazione che libera dal peso di essere “divini”, assoluti, attribuzione che è l’essenza di ogni idolatria di ieri e di oggi: come l’assolutizzazione della ragione tecnica, e la morale del relativismo. Ma nello stesso tempo si coglie la consistenza della realtà ontologica in tutti i fattori, salvaguardata nel proprio essere dalla relazione con Dio creatore. Certo la dissacrazione operata dalla fede (è il senso positivo della secolarizzazione intesa dal Concilio), per cui senza la relazione con Dio creatore qualunque realtà rimane nel non – senso, nel vuoto, nel caos (anche chi non crede ma ha fiducia nella realtà è costretto a pensare e ad agire come se Dio ci fosse), è ben diversa dalla visione secolarizzata attuale con l’esito inevitabile di una autonomia radicale di tutta la realtà. Questo fa scoppiare le zone d’ombra in cui fioriscono magia e superstizione (ultimo residuo del sacro), ideologia evoluzionista (ben distinta dalla teoria scientifica dell’evoluzione sulla quale vedano gli scienziati) o reazioni fondamentaliste al secolarismo radicale che sequestrano ogni realtà dentro l’esperienza religiosa che colonizza con la forza tutto e tutti.
Certo anche il sociale umano ha – per usare un argomentare conciliare –”leggi e valori propri, che l’uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare”.
Ogni persona umana è originariamente alla ricerca della pienezza di vita con l’inclinazione prima dell’uomo per la donna e della donna per l’uomo. L’uomo esce così dal male della solitudine originaria solo quando si trova con la sua donna, per cui la prima società è la famiglia naturale fondata sul matrimonio. Ma ogni inclinazione naturale dell’uomo a vivere in società in tutti gli ambiti è buona o cattiva? Quando è buona e quando è cattiva? Questo è il giudizio della ragione che interpreta le inclinazioni naturali della persona. Certo l’opera della ragione, quindi la legge che consegue alla evidenza della ragione, non può prescindere dal riferimento alle naturali inclinazioni della persona e non è neppure la sola registrazione del dato biologico o psichico. Il bene umano della società, il suo ethos è il bene, la felicità di ogni persona come tale che la ragione scopre.
Il Cardinal Caffarra dice che la pagina biblica che narra la collocazione della persona umana uomo-donna nel giardino di Dio resta, argomentando anche con l’ala della ragione quella conoscenza che deriva dall’ala della fede: quindi comprensibile e dicibile a tutti, il grande ethos cui l’Europa, l’Occidente e tutto il mondo civile si sono rifatti e si rifanno. Il Papa, nella lettera inviata all’allora Presidente del Senato M. Pera in data 11 ottobre 2005, dice che i valori umani fondamentali cui tutti si rifanno “non vengono creati dal legislatore, ma sono iscritti nella natura stessa della persona umana, e sono pertanto rinviabili ultimamente al Creatore (…) Appare legittima e proficua una sana laicità dello Stato, in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo norme loro proprie, alle quali appartengono anche quelle istanze etiche che trovano il loro fondamento nell’essenza stessa dell’uomo”.
Una sfera pubblica completamente neutrale, agnostica dal punto di vista etico è impensabile; è impraticabile; è da evitarsi. Se infatti il prezzo da pagare dal credente per l’ingresso nella sfera pubblica è la rinuncia pura e semplice alla sua identità religiosa di appartenenza ecclesiale, non sarebbe solo violato il diritto alla libertà religiosa (di poter essere credenti in privato e in pubblico), ma soprattutto verrebbe negata l’identità culturale delle persone per un ideale democratico di una società di anonimi, agnostici, individui astrattamente concepiti e sradicati dall’identità della loro appartenenza, come rischia oggi di essere l’unica scuola, quella di Stato.
La dittatura “liberal” dell’ultraliberismo agnostico, oggi egemone soprattutto nel potere economico mondiale, punta alla dittatura della razionalità tecnica, ritenendo che nel processo di produzione e di sviluppo non sia ammissibile alcun ethos, cioè indisponibilità umana nei valori non negoziabili. Ma il solo fatto di essere un individuo appartenente alla specie umana basta per porre in essere la sua indisponibilità etica e giuridica a ridursi a strumento per altri o per altro: il dettato “non uccidere l’innocente” non ammette eccezioni dall’embrione al termine naturale della vita. Interventi genetici non terapeutici sono violazioni al principio di indisponibilità.
Parlare di neutralità di fronte al dimorfismo sessuale umano (un linguaggio migliore di eterosessualità) è un non senso: l’humanum si realizza o mascolinamente o femminilmente: l’imparzialità nei confronti del matrimonio e di qualsiasi altra forma di convivenza è un grave vulnus etico inferto al principio di indisponibilità.
Parlare di indisponibilità e proporsi di costruire un sociale nel quale in linea di principio non è consentito a tutti e a ciascuno di partecipare in modo ugualmente libero alla deliberazione pubblica cioè di tutti, è una contraddizione.
L’integrazione di reciproco aiuto e controllo tra le due ali di fede e ragione nella sfera pubblica – ha concluso il cardinale Caffarra – per custodire luminosa l’evidenza etica basilare in Europa, in Occidente, nel Mondo, richiede un cristianesimo profondamente radicato nella consapevolezza della presenza sacramentale di Gesù crocifisso e risorto, che sappia “dare le proprie ragioni” con l’argomentazione dell’ala della ragione, di fronte a un secolarismo che rischia di dilapidare tutto il nostro patrimonio umanistico.