2017 05 03 Venezuela - Madagascar - India ...
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Le notizie drammatiche che giungono dal mondo e in particolare dal Venezuela, al centro del pensiero di Papa Francesco al Regina Coeli di domenica scorsa.
“Non cessano di giungere drammatiche notizie sulla situazione in Venezuela”, esordisce il Papa, e l’aggravarsi nel Paese degli scontri, con morti, feriti e persone arrestate.
“Mentre mi unisco al dolore dei familiari delle vittime, per le quali assicuro preghiere di suffragio, rivolgo un accorato appello al Governo e a tutte le componenti della società venezuelana affinché venga evitata ogni ulteriore forma di violenza, siano rispettati i diritti umani e si cerchino soluzioni negoziate alla grave crisi umanitaria, sociale, politica ed economica che sta stremando la popolazione”.
Nella drammatica situazione del Venezuela la Chiesa non tace. Per questo è attaccata.
VENEZUELA - inizia la persecuzione della Chiesa
di Marinellys Tremamunno 27-04-2017 LNBQ
(…) La Chiesa venezuelana è sotto attacco. Già il 30 gennaio 2017 aveva annunciato il Presidente della Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV), monsignore Diego Padron, durante un’intervista radio: “gli attacchi contro le istituzioni religiose in diversi punti del Paese non sembrano casi isolati; sembrano invece azioni preparate per intimidire la Chiesa cattolica”.
Polizia e gruppi “Colectivos” si sono schierati contro i sacerdoti. Proprio il giorno prima della denuncia del Presidente della CEV, la Chiesa San Pedro Claver del “23 de Enero”, quartiere popolare di Caracas, è stata assediata da gruppi filogovernativi durante la messa arcidiocesana: “Si sono presentati i colectivos, hanno chiuso la chiesa e costretto tutti a sentire il loro discorso aggressivo contro la Chiesa. I fedeli hanno protetto Mon. Jesus Gonzalez de Zarate, vescovo ausiliare di Caracas, che con coraggio è riuscito ad affrontare la situazione”, ha raccontato il giornalista ed ex portavoce della Mud (coalizione di partiti di opposizione) Jesús Torrealba. Una situazione simile era accaduta nella parrocchia Claret di Maracaibo, quando la Polizia Nazionale (PNB) ha interrotto l’omelia di Don Ovidio Duarte e senza spiegazione hanno tentato di cacciare i fedeli dalla Chiesa. Da ricordare in quei giorni gli attacchi contro le residenze dell’Arcivescovo di Barquisimeto, Mons. José Antonio López Castillo, e dell’Arcivescovo Adam Ramirez a Caracas.
La Via Crucis è continuata anche durante la Pasqua. Il mercoledì santo è stato uno dei giorni più difficili per l’episcopato venezuelano: un gruppo di persone identificate con il “chavismo” hanno fatto irruzione nella Basilica di Santa Teresa, mentre il cardinale Urosa Savino presiedeva l’omelia: costui ha dovuto andare via con la protezione dei fedeli che hanno affrontato la situazione anche con lo scontro fisico pur di garantire la sicurezza dell’alto prelato; quello stesso giorno, sono apparse scritte sui muri di diverse chiese di San Cristobal (Tachira) con minacce di morte contro i sacerdoti e sotto l’acronimo “PSUV” (Partito Socialista Unito del Venezuela). Ma l’attacco più blasfemo di quei giorni è quello sofferto dall’immagine del Nazareno della Cattedrale di Valencia, trovato la mattina del sabato 8 aprile coperto da escrementi umani.
Ma cosa ha scatenato l’ira governativa? La CEV è la unica voce autorevole che denuncia la grave situazione del Venezuela. “Di fronte al peggioramento della situazione economica, politica e sociale degli ultimi tre anni, abbiamo elencato alcuni degli errori che fa il Governo, e abbiamo fatto ripetute richieste di un cambiamento di rotta. Questa è la ragione degli attacchi contro di me, contro il cardinale Baltazar Porras e, in generale, contro l’episcopato. Il governo non tollera alcuna critica”, ha detto il cardinale Jorge Urosa Savino in un’intervista pubblicata da Aciprensa il 21 aprile 2017.
L’episcopato venezuelano lotta senza sosta per la difesa dei diritti umani nel Paese. Lo scorso 12 aprile, abbiamo visto il Cardinale Urosa denunciare in conferenza stampa l’azione di gruppi armati, i cosiddetti “colectivos”, contro le manifestazioni pacifiche. “Queste bande armate sono illegali e certamente commettono crimini”, ha detto il secondo Vice Presidente della Conferenza Episcopale Venezuelana. (…)
È davvero sconvolgente l’ondata di violenza contro la Chiesa venezuelana. Ecco il bilancio degli ultimi tre mesi: “le diocesi sono state bersaglio di rapine e distruzione di vari beni, per esempio nelle diocesi di Guarenas e Maracay (le cui curie sono state vittima di razzie), a Maracaibo nella chiesa della Consolazione hanno sottratto le ostie consacrate e nel Convento della stessa città hanno rubato il Santissimo Sacramento; l’Invecapi (istituto venezuelano venezuelano di educazione professionale della chiesa cattolica) presso la sede della CEV hanno portato via condizionatori e materiali didattici, distruggendo parte delle installazioni. A Guayana hanno sequestrato e imbavagliato un sacerdote, prima che la polizia riuscisse a liberarlo; sempre a Guayana molte chiese sono state prese d’assalto, nello stato di Guarico si sono verificati vari furti e sono comparse diverse scritte sulle chiese con messaggi minacciosi a favore del governo”.
Un pesante bollettino di guerra. Si aggiunge il tragico omicidio avvenuto martedì santo di un frate residente nella città La Victoria, stato di Aragua: il francescano della Croce Bianca, Diego Begolla, è stato sgozzato per rubare i computer della casa di accoglienza per anziani che dirigeva. Sono queste scene tristemente note alle cronache europee per i fatti che hanno coinvolto il sacerdote francese Jacques Hamel, barbaramente ucciso da estremisti dell’Isis il 26 luglio 2016. Due mesi dopo il francese è stato dichiarato martire, invece lo sgozzamento del frate venezuelano è passato inosservato.
Ma come vive l’episcopato venezuelano questa atmosfera intimidatoria? “I vescovi sono sbigottiti di fronte a questa ondata di violenza ma mantengono la loro voce profetica, la loro voce energica per denunciare cosa accade in Venezuela. Anzi, queste minacce hanno incoraggiato l’episcopato e, oggi più che mai, la chiesa è presente con i suoi pastori in ogni comunità, accompagnando il popolo nelle sue sofferenze”, ha concluso padre Pedro Pablo Aguilar.
“C’è un gemito segreto nel cuore che non è avvertito da alcuno” (San Agostino). (…)Da quando sono iniziate le proteste contro l’esautoramento del Parlamento, il 4 aprile scorso, si contano 30 morti, circa duemila arresti e centinaia di feriti.
MADAGASCAR - Ucciso un padre cappuccino nell’assalto al suo convento, ferito un diacono
Un cappuccino malgascio di 46 anni, p. Lucien Njiva, è stato ucciso nella notte tra sabato 22 e domenica 23 aprile, nel convento di Ambendrana Antsohihy.
Secondo quanto riferisce all’Agenzia Fides Don Eric Franck Randriamiandrinirinarivo, Direttore di Radio Don Bosco Madagascar, “intorno all’una di notte almeno cinque banditi hanno assalito il convento, aggredendo e ferendo un giovane diacono di 26 anni, Jérémy. Sentendo le grida del diacono p. Lucien è accorso brandendo un fucile da caccia, ma i banditi lo hanno freddato sparandogli con un fucile Kalashnikov”.
“Il diacono è stato trasferito in una struttura ospedaliera nella capitale Antananarivo, mentre le forze dell’ordine hanno annunciato l’arresto di alcune persone in relazione all’omicidio di p Lucien” riferisce don Franck.
I banditi volevano impadronirsi della campana del convento. I cappuccini erano riusciti a sventare un primo tentativo di furto durante la Settimana Santa, quando i banditi avevano assalito il convento sempre di notte, ma erano stati messi in fuga dalla reazione dei religiosi. La campana era stata nascosta ma questo non è bastato a far desistere i malviventi.
Il Direttore di Radio Don Bosco Madagascar spiega che “da tempo si sono moltiplicati i furti di campane delle chiese al fine di estrarne i metalli con le quali sono fatte e rivenderli al mercato nero. È un affare molto lucroso”.
L’assalto al convento di Ambendrana Antsohihy è solo l’ultimo di una serie di assalti a conventi e chiese cattoliche. Prima dell’omicidio di p. Lucien, l’episodio più grave è stato l’assalto nella notte del 1° aprile al convento delle Sœurs de Notre Dame de la Salette di Antsahatanteraka Antsirabe, con violenze sessuali nei confronti di alcune religiose e postulanti (vedi Fides 8/4/2017). Secondo la stampa locale in cinque settimane sono stati registrati quattro assalti con saccheggio ad altrettanti conventi. (L.M.) (Agenzia Fides 26/4/2017)
INDIA - cattolici di Mumbai indignati per demolizione croce
Nonostante la tenace opposizione della comunità cattolica locale, le autorità municipali di Mumbai, in India, hanno demolito una croce in Bazaar Road, nel quartiere di Bandra.
Il card. Gracias condanna la demolizione come una provocazione
Dura la condanna dell’arcivescovo della città, card. Oswald Gracias, che all’agenzia Asianews parla di un’azione “illegale” e di una “provocazione”. L’antica croce, risalente a più di 100 anni fa, afferma, “sorgeva sul muro di una proprietà privata. Essa non era elemento di disturbo per nessuno e non recava alcun danno”, oltre ad aver avuto un significato “storico e religioso importante”.
Ultimo di una serie di episodi contro i simboli religiosi cristiani in India
La demolizione è avvenuta il 29 aprile scorso ed è solo l’ultimo di una serie di episodi di intimidazione contro i cristiani e i loro simboli religiosi avvenuti di recente nella città: a febbraio una statua della Vergine Maria era stata vandalizzata e decapitata; a metà aprile una croce era stata profanata con una ghirlanda di pantofole attorcigliate al corpo di Cristo.
Un contenzioso che risale al 2010
Il contenzioso sulla croce di Bazaar Road risale al 2010, quando contro di essa fu stato presentato un esposto di fronte all’Alta Corte di Mumbai. Le gerarchie ecclesiastiche lamentano che la distruzione sia avvenuta nonostante esse avessero prodotto i documenti richiesti da Sharad Ughade, il commissario incaricato della vicenda. Tali carte attestano che la croce era situata nel terreno privato di un cristiano, in possesso di tutti i permessi previsti per le strutture religiose.
I cattolici mobilitati contro la demolizione
Contro la decisione della municipalità si sta mobilitando la comunità cattolica locale che ha eretto una nuova croce di fortuna. Secondo il card. Gracias, la demolizione “ha ferito non solo il nostro sentimento religioso ma anche quello di tutte le altre fedi. Tali azioni non sono un bene per la nostra città e per il nostro Paese. Esse - conclude il porporato - minano l’armonia comunitaria e l’integrazione sociale e religiosa”. (L.Z.)
(Radio Vaticana 02 05 2017)
SIRIA - Suor Yola: l’unità di cristiani e musulmani dà fastidio ai jihadisti e a chi li paga
Sono circa sei milioni i bambini che in Siria hanno subito il trauma della guerra, una iniziativa dei cristiani di Damasco per aiutarli a riprendere fiducia. L’intervista a suor YOLA GIRGIS
“Per favore, riporti tutto come le ho detto, non come fanno sempre i giornali quando parlano della Siria, ribaltando tutto e inventandosi le cose” dice suor Yola Girgis, superiora della Comunità di Damasco delle Suore Francescane Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, a Roma per la presentazione del progetto di collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II e l’Ospedale Bambin Gesù rivolto ai piccoli siriani colpiti da disturbi post-traumatici da stress.
Ha ragione da vendere suor Yola, che accusa i media occidentali di perseguire gli obiettivi delle loro leadership politiche: indicare in Assad il diavolo da abbattere e sostenere gli jihadisti.
“Le bombe americane? Senta: Damasco esiste da 7mila anni, ha una storia e una civiltà che hanno resistito a tutte le guerre, pensa ci faccia paura un paese che non ha neanche 500 anni di storia?” dice ancora, mostrando il coraggio da vendere che ha permesso a questo popolo di resistere a sei anni di carneficina.
Il progetto, che accoglie bambini cristiani e musulmani (“Perché noi abbiamo vissuto sempre di amore dei concordia e lo facciamo ancora adesso nonostante le bombe”) si rivolge a quei 6 milioni di bambini siriani che vivono sotto i bombardamenti. Di questi, circa 3 milioni sono cresciuti vedendo solo la guerra (fonte UNHCR). Una generazione di bambini colpiti dalla guerra e dalle sue conseguenze come gravissimi disturbi post-traumatici da stress.
Suor Yola, ci spiega di cosa si tratta questo progetto che siete venuti a presentare all’Ospedale Bambin Gesù di Roma?
E’ un progetto già iniziato che grazie alla Fondazione San Giovanni Paolo II ha adesso le risorse per continuare. Noi accogliamo bambini dai 6 agli 8 anni dando loro un sostegno psico-sociale attraverso metodi come il disegno, la recitazione, la condivisione. Abbiamo preparato dei giovani istruttori che aiutano i bambini a esprimere i loro sentimenti riguardo al trauma subìto per via della guerra. Purtroppo la guerra e la violenza lasciano nei bambini segni devastanti. Con il nostro lavoro li aiutiamo a esprimere le loro paure, le loro gioie, li aiutiamo a riavere fiducia in se stessi.
Molti di loro saranno anche orfani.
Alcuni sono orfani, altri hanno il padre che è al fronte a combattere. Vedendo tanti soldati morti la notizia che aspettano ogni giorno, invece di sapere se il padre sta tornando a casa, è se il loro papà è morto. E’ questo che si aspettano, la morte del loro papà.
Sono bambini sia cristiani che musulmani?
Certamente, non facciamo alcuna differenza. Anzi, visti i risultati straordinari sui bambini musulmani l’anno prossimo aumenteremo ancora la loro quota, facendo 50 più 50 per cento. Per loro cose come l’oratorio, il campeggio, la condivisione guidata non esistono, i musulmani non hanno queste cose, stanno in strada da soli. Abbiamo visto come il nostro modello educativo li abbia colpiti e affascinati.
Ed è la possibilità di ricostruire un dialogo?
Questa realtà condivisa in Siria è sempre esistita. Io sono nata qui, i musulmani per noi cristiani sono siriani e niente altro. Abbiamo giocato insieme, abbiamo fatto le stesse scuole. Adesso cerchiamo di ricucire questa ferita che la guerra ha cercato di produrre per dividerci, ma senza riuscirci.
Come è la situazione adesso a Damasco?
La gente continua a fare le sue cose, a vivere la sua vita, ma c’è sempre l’attesa che accada qualcosa di brutto. Tranquilli non lo siamo mai. Spesso di notte mi affaccio alla finestra del convento e prego perché ho paura che un terrorista entri nel convento, loro vogliono prendere Damasco. Però la vita va avanti, le scuole sono sempre rimaste aperte e le attività delle chiese vanno avanti anche sotto i missili.
Quando l’America vi ha bombardati vi siete sentiti traditi?
Tutto il mondo ci ha abbandonati. Anche l’embargo di medicine è una cosa orribile, la gente muore di cancro perché non ci sono medicine. Ringraziamo l’Italia che con iniziative come questa ci sta vicino, ci dà speranza, ci dice che Dio è vicino.
E il papa?
Il papa è la voce di Dio. A volte io dico: Dio perché stai in silenzio, perché non fermi questa guerra? Ma ogni volta che sento il papa sento la voce di Dio, che dice: non preoccupatevi io sono sempre con voi. Possono distruggere le nostre case ma la nostra cultura non la distruggerà neanche Trump.
(Paolo Vites) Pubblicazione: lunedì 1 maggio 2017 ilsussidiario.net