Preghiera per i cristiani perseguitati
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Pasqua in carcere per Asia Bibi: il suo appello a Papa Francesco
Asia Bibi, la donna cristiana pakistana accusata di blasfemia e condannata a morte, ha trascorso anche questa Pasqua nel carcere di Multan. Al suo tutore Joseph Nadeem ha affidato una preghiera accorata in cui risuona forte un appello a Papa Francesco. Intanto in Pakistan si allunga la lista delle condanne di chi è accusato di offendere Maometto, ma il governo di Sharif prosegue nella volontà di una revisione della legge sulla blasfemia. (di Cecilia Seppia)
“Ti prego Gesù di donarmi la libertà, spezza le mie catene, fa’ che il mio cuore possa librarsi al di là di queste sbarre”. E’ un passaggio della preghiera scritta da Asia Bibi, dal carcere di Multan dove è rinchiusa da otto anni per l’accusa di blasfemia. Nella sua cella, giovedì scorso, ha celebrato la Pasqua in compagnia di suo marito Ashiq e del tutore della sua famiglia, Joseph Nadeem: una cena frugale, lo scambio di auguri e poi Asia ha voluto scrivere la sua supplica a Dio su un pezzo di carta dove invoca la resurrezione e chiede al Padre di rimuovere gli ostacoli, alleviando le sue sofferenze indicibili. Poi prega di nuovo, come aveva fatto già a Natale, per i suoi nemici e perdona coloro che le hanno fatto del male. Infine rivolge un appello al Papa chiedendogli di non dimenticarsi di pregare per lei.
Paul Bhatti, ex ministro federale pakistano per l’Armonia Nazionale e fratello del ministro cattolico Shahbaz Bhatti ucciso nel 2011 da un estremista islamico:
“Questo, il Papa lo fa sempre, non solo per Asia Bibi ma per tutti i cristiani, anche per i musulmani che sono vittime di ingiustizia. Perché Papa Francesco più volte ha detto che la nostra fede onora la dignità dell’uomo. Quando un uomo soffre, per noi non conta che sia cristiano o musulmano; quello che conta è la giustizia per quell’uomo e la sua libertà. Per questo io credo che il Vaticano e il Santo Padre abbiano fatto il possibile: è sempre stato aperto al dialogo, lo ha promosso e appoggia anche noi, in tutti i sensi; e poi il Papa appoggia quelle persone, in maniera particolare i cristiani, che sono perseguitati per la loro fede”.
2.860 giorni in cella, alcuni in isolamento in attesa del giudizio finale della Corte Suprema pachistana che tra rinvii e dimissioni dei giudici sembra non arrivare più mentre la fondazione che cura il caso di Asia sta finendo i soldi per le spese legali.
Ancora Paul Bhatti:
“Nessuno purtroppo può interferire finché la Corte non lo decide, anche se noi siamo convinti che prima o poi la decisione sarà favorevole. Purtroppo ci dispiace che è ancora in carcere e soffre ancora persino in questa Santa Pasqua. Questo caso si è complicato per vari motivi, nazionali, internazionali e di conseguenza lei non ha trovato giustizia. Ma noi siamo convinti che prima o poi la troverà”.
Intanto in Pakistan si allunga la lista delle esecuzioni extragiudiziali motivate da presunta blasfemia: 66 negli ultimi 27 anni.
L'augurio di Paul Bhatti:
“Io faccio tantissimi auguri ad Asia Bibi e a tutti quelli che sono stati perseguitati per la stessa situazione. Noi tutti crediamo che la nostra fede cattolica, cristiana considera che sia che siamo in Pakistan, in Africa o in qualunque altra parte, siamo una famiglia. E una famiglia, chiaramente, prima di tutto, si unisce in particolare in questo momento della nostra attesa di Pasqua. Inoltre lancia questo messaggio di pace perché il nostro obiettivo è che tutti quelli che sono nel mondo possano vivere in pace senza avere timore di un’altra religione, di un’altra persona e possono professare... Per noi non è importante che qualcuno sia cristiano o cattolico, è importante che sia libero di professare che non danneggi gli altri, che non minacci gli altri.
(Radio Vaticana 17 04 2017)
Venezuela - attacchi alle chiese e minacce contro i sacerdoti
La comunità internazionale, con in testa l’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), è in attesa di una risposta chiara del governo venezuelano di Nicolas Maduro perché trovi i meccanismi democratici necessari per rispondere alle richieste della popolazione che, da due settimane, manifesta ogni giorno sulle strade di tutto il Paese. Ad oggi, la violenta repressione delle proteste ha causato la morte di cinque giovani vite, un centinaio di feriti e oltre 250 detenuti. Ma la popolazione non demorde e chiede elezioni libere, il rispetto del potere legislativo rappresentato nell’Assemblea Nazionale, la tutela dei diritti umani, la liberazione dei prigionieri politici e l’apertura di un canale umanitario per sopperire alla mancanza di alimenti e medicine.
“Il problema è la rottura della filo conduttore democratico”
Il presidente della Conferenza episcopale venezuelana, mons. Diego Padrón, intervistato dall’agenzia SIR, ha spiegato che il problema fondamentale è la “rottura del filo conduttore democratico costituzionale” attuato dallo stesso governo e dalla Corte suprema di giustizia. “È stato considerato – continua il presule - come un golpe di Stato giudiziario che porta alla concentrazione di tutti i poteri in mano all’esecutivo, insieme a una forte repressione contro ogni forma di manifestazione e dissenso”. “La Chiesa – ha detto mons. Padrón - continuerà l’accompagnamento della popolazione per una protesta pacifica e non violenta nonostante le intimidazioni”.
“Pressione internazionale e appoggio alla popolazione”
L’arcivescovo di Cumaná ha indicato la strada di una maggiore “pressione internazionale e appoggio alla popolazione”. Infatti mons. Padrón ritiene che la pressione esterna sia in sintonia con la resistenza interna e con l’atteggiamento interno di rifiuto di queste modalità del governo. Il presidente dell’episcopato ha affermato, tuttavia, che il governo di Maduro ha i mezzi per mantenersi nel potere. “Ha molto denaro, tutti i poteri nelle mani - compreso quello giudiziario - e può contare su una parte della popolazione armata, i così detti “colectivos”, e sui militari”. Quindi, mons. Padrón è dell’avviso che il governo non ha intenzioni di aprire la strada elettorale e non ci sono le condizioni per aprire un nuovo tavolo di negoziazioni come il tentativo sostenuto dalla Santa Sede, e poi fallito alcuni mesi fa.
Settimana di “passione” anche per i fedeli
Le chiese non sono state risparmiate dalla violenza e dalla polarizzazione sociale che vive il Paese. Negli ultimi giorni, militanti governativi del Partito Socialista Unito del Venezuela hanno scritto minacce di morte contro sacerdoti sui muri di alcune chiese dello Stato Táchira. Gruppi violenti simpatizzanti del governo sono entrati in chiesa gridando slogan politici, imprecando e provocando risse. Cosi è stato il Mercoledì Santo nella basilica di Santa Teresa, durante la celebrazione del Gesù Nazareno presieduta dall’arcivescovo di Caracas, cardinale Jorge Urosa, che è dovuto uscire dal luogo di culto, scortato da fedeli e sacerdoti. Nei minuti prima, durante l’omelia, il porporato aveva manifestato il rifiuto alla “violenza politica” ed esortato il governo a “fermare la repressione delle manifestazioni ed evitare gli eccessi dei corpi di sicurezza dello Stato”. “Dobbiamo – aveva detto nell’omelia - ritrovare il rispetto e la convivenza, e concentrarci sui Comandamenti, sulla Costituzione Nazionale”.
“Il Paese cammina per una strada di vetri a piedi nudi”.
“La Settimana Santa dovrebbe diventare un impegno ad aprire le porte della convivenza nel pluralismo, dove tutti abbiano il diritto di esprimersi, dove si rispettino le istituzioni e le autorità elette. Non si può cadere in una dittatura che tenta di azzittire tutti, che impone un pensiero unico. Abbiamo bisogno di un regime democratico, istituzionale e libero”. Queste le parole di mons. Ovidio Pérez, vescovo emerito de Los Teques, dove ieri sera si sono verificati episodi di violenza, saccheggi nei negozi e incendi. “Si sta distruggendo il Paese - ha detto mons. Ovidio ai microfoni di Union Radio - senza produzione, senza alimenti, senza medicine, senza convivenza, le proteste scaturiscono anche dalla disperazione”. Il vescovo emerito ha chiesto ai fedeli di pregare il Signore perché tenda “il suo braccio potente” verso il popolo venezuelano. “Il Paese non può continuare a camminare su una strada di vetri a piedi nudi, un Paese convulso perché sono state chiuse le porte ad una soluzione democratica, pacifica e costruttiva”. (A cura di Alina Tufani)
(Radio Vaticana 15 04 2017)
INDIA - Settimana Santa segnata da episodi di intolleranza religiosa
I cristiani in India temono nuovi episodi di intolleranza e di disturbo alle celebrazioni nel periodo delle liturgie pasquali. Come appreso da Fides, infatti, in sei stati indiani, si sono registrati episodi di molestie e abusi compiuti da gruppi estremisti indù durante la celebrazione della Domenica delle Palme, il 9 aprile scorso.
Nel Madhya Pradesh, tre Pastori evangelici sono stati arrestati su istigazione di fondamentalisti indù, mentre guidavano una liturgia, con l’accusa di “conversioni forzate” e fascino. I pastori sono in carcere, in attesa di cauzione.
In Tamil Nadu, una riunione di preghiera domestica di 24 ore è stato interrotto dalla polizia sulla base della mancanza di un “permesso” che non è richiesto dalla legge. Il Pastore Gunasekharan, che guidava l'incontro di preghiera, è stato costretto a promettere che non terrà futuri incontri di preghiera.
Nello stato di Chattisgar, i fedeli di tre chiese situate alla periferia della capitale Raipur sono stati minacciati e terrorizzati dai gruppi fondamentalisti indù. Circa 20 uomini in motocicletta sono entrati nei locali delle chiese durante la messa del mattino, deridendo e intimidendo i fedeli.
In Uttar Pradesh, un fondamentalista indù ha aggredito fisicamente un Pastore e i membri del movimento giovani indù “Yuva Vahini” hanno fatto irruzione in una chiesa, fermando la preghiera, mentre interruzioni alle celebrazioni di culto sono segnalate anche negli stati di Rajasthan e Haryana, con accuse di presunte campagne di conversioni.
L’Ong "Christian Solidarity Worldwide" nota a Fides: “E 'preoccupante sentire che i cristiani nella democrazia più popolosa del mondo si trovano ad affrontare aggressioni da parte di gruppi fondamentalisti indù e perfino delle forze dell'ordine: la libertà di coscienza e il diritto di professare liberamente la propria fede è garantito dalla Costituzione indiana. Esortiamo il governo indiano ad agire con fermezza contro i gruppi fondamentalisti e invitiamo le forze dell'ordine a proteggere, e non a colpire, le minoranze religiose”. (PA) (Agenzia Fides 12/4/2017)
Isola di Riunione - profanata la statua della Vergine nera
Lo scorso 3 aprile la statua della Vergine nera di Santa Maria è stata profanata.
E’ accaduto presso l’isola della Riunione, regione francese in pieno Oceano Indiano. I fiori sono stati tolti e sparpagliati a terra, poi la pur pesante statua in ferro è stata rovesciata, strappata dal suo piedistallo e gettata al suolo, andando in frantumi, le dita della mano destra si sono sbriciolate, danneggiata anche la corona. La croce, presente nella nicchia che custodiva il manufatto, è stata invece rovesciata ed infissa nel terreno. Evidente l’intento sacrilego degli autori della vile azione. Vasto lo sconcerto tra i tanti fedeli, subito giunti sul posto, rimasti choccati dall’accaduto.
La Gendarmeria ha subito aperto un’inchiesta, per individuare i colpevoli.
(06 aprile 2017)